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 2020  luglio 06 Lunedì calendario

Biografia di Roberto D’Agostino


Roberto D’Agostino, nato a Roma il 7 luglio 1948 (72 anni) • «Quello di Dagospia» (Antonio Dipollina, la Repubblica, 1/6/2016) • «Come dovremmo definirlo, D’Agostino? Scrittore? Giornalista? Personaggio televisivo? Collezionista e critico d’arte?» (Filippo Facci, Libero, 29/5/2017) • «Se dovessi definirlo in qualche modo, lo definirei uno dei più importanti artisti contemporanei, perché D’Agostino ha seguito più o meno consapevolmente (ma dubito sia inconsapevole di qualcosa) il precetto di Marcel Duchamp: fare di se stesso un’opera d’arte […] È un’opera d’arte il corpo di D’Agostino, ricoperto di tatuaggi, il codino, il lungo pizzetto bianco, gli occhiali scuri sfumati, dal nero all’azzurrino, scarpe e giacche tra le più estrose e ricercate, un meraviglioso guru della commistione tra alto e basso. È un’opera d’arte vederlo discutere con politici a Porta a porta, temuto dagli altri ospiti più di qualsiasi giornalista o intellettuale. È un’opera d’arte quando si mette a fare libri, dal rarissimo Libidine, la guida sintetica a una vera degenerazione fisica e morale, con copertina gonfiabile, uscito per Mondadori nel 1987, ai più recenti volumi di Cafonal e Ultra Cafonal con il fotografo Umberto Pizzi che hanno mostrato la dissoluzione fisica e morale del vip. È un’opera d’arte la sua trasmissione su Sky, Dago in the Sky. È un’opera d’arte infine, ovviamente, Dagospia, che riprende duchampianamente, come fossero dei readymade, articoli di giornale che nessuno ha voglia di leggere sui giornali e te li trasforma con i suoi formidabili titoli in stampatello in qualcosa di imperdibile» (Massimiliano Parente, Il Giornale, 23/5/2020) • «Ogni giorno fornisce la rassegna stampa del meglio pubblicato sui giornali, sapientemente condita con un mix di goliardia, sesso e pettegolezzi. Guai a definirlo un sito di gossip: Roberto D’Agostino s’inalbera. “È un bollettino d’informazione, punto e basta”, mi disse quando lo intervistai nel decennale di apertura» (Stefano Lorenzetto, l’Arena, 3/1/2016) • «C’è chi lo ama e chi lo detesta. Chi tenta, invano, di lisciargli il pelo e chi lo combatte apostrofandolo come un “testa di...”. Chi lo legge quotidianamente e chi, mentendo, sostiene di non farlo» (Pierluigi Diaco, Oggi, 2/11/2016) • È stato bancario, critico musicale, dj, regista, sceneggiatore, presentatore televisivo • «Il suo ufficio è come un quadro pop-art: Elvis è appeso al muro e suona a ogni cader di ora; la foto con Renzo Arbore, o quelle nude di Patty Pravo. Forme falliche ovunque. Santini. Falce e martello, il vecchio computer della Apple diventato un soprammobile. Una Simmenthal gigante come tavolino» (Alessandro Ferrucci, Il Fatto Quotidano, 8/7/2018) • Famoso per i nomignoli con cui sbeffeggia i potenti: la mummia sicula, per Sergio Mattarella; Bellanapoli, per Giorgio Napolitano; Bertinight, per Bertinotti; Marpionne, per Marchionne, il Gattosardo, per Francesco Cossiga; Pitti-Bimbo, per Matteo Renzi; Cainano, per Silvio Berlusconi; PierFurby, per Pierferdinando Casini; WalterEgo, per Walter Veltroni, etc. • Famoso anche per quella volta che, al Maurizio Costanzo Show, visto che Carmelo Bene continuava a ripetere di non esistere, lui gli domandò: «Se lei non esiste, perché si tinge i capelli?» • Nella storia la rissa con Vittorio Sgarbi, cui dette uno schiaffo durante una puntata de L’istruttoria di Giuliano Ferrara (1991) • Lui di sé dice: «Ho avuto un’intensa vita mondana. Mi è facile perciò parlare a tu per tu con altolocati che incontro spesso nelle cene. Di qui, le esclusive. Ogni scoop mi dà un orgasmo» (a Giancarlo Perna, Libero 13/6/2015).
Titoli di testa «L’ultima volta che l’ho incontrato era a un aperitivo a Roma, a Piazza di Pietra, lui aveva uno dei suoi cani, gli ho chiesto “Cos’è, un labrador?” e lui mi fa: “E che te sembra, Parente, un chihuahua?”, e avrebbe risposto così anche al presidente della Repubblica» (Parente).
Vita Nato a Roma, quartiere San Lorenzo. «All’epoca aveva una geografia rurale. Un borgo delimitato dalla ferrovia, dal cimitero e dalla ferita mai rimarginata del bombardamento del ’43. In pizzeria si andava con i cibi propri. C’erano le bische, i ladruncoli, la vita semplice» (Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano, 6/7/2014) • Suo padre è operaio, saldatore impiegato alla Breda. Sua madre confeziona busti e reggiseni • Roberto, da piccolo, balbetta e porta gli occhiali. «Oggi sembra incredibile, ma a metà degli Anni 50 avere gli occhiali ti esponeva al linciaggio dei compagni: “Cecato”, “Quattrocchi”, mi gridavano di tutto. Durante l’interrogazione poi era l’inferno. Mi bloccavo su una sillaba, sudavo, e al culmine del calvario, mentre pronunciavo sillabe scomposte: “Mbb, mbb, mbb”, alle mie spalle sghignazzavano. Siccome il lato positivo del cancro esiste sempre e con me non voleva parlare nessuno, ne approfittai per leggere. Qualche Dostoevskij toccò anche a me. Poi mia madre mi mandò da un logopedista, imparai a respirare e anche se ancora adesso dico pissicologia, migliorai» (Pagani) • Con gli amici, Roberto inizia a frequentare la sede Rai di via Asiago. Sono gli anni di Bandiera Gialla, una trasmissione nuova che propone rock e rhythm and blues, e occorre pubblico giovane per applaudire e ballare. «Lì incontro Arbore e Gianni Boncompagni, che era il conduttore. Non ci siamo più lasciati» (a Paolo Bracalini, Il Giornale, 9/7/2018) •  «“Frequentavo l’oratorio, Azione cattolica, boy scout. Poi scoprii un oratorio laico: il Piper. Ballavo con Patty Pravo, la Bertè, Paolo Zaccagnini, Alberto Dentice”. E Renato Zero. “Allora si chiamava Renato Fiacchini, Zero fu un’invenzione di Boncompagni. Figlio di un poliziotto, viveva in un condominio di poliziotti: usciva vestito da cristiano e veniva nell’androne di casa mia a vestirsi da Renato Zero”» (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 14/11/2017) • A Roberto piace la musica, ma in casa non c’è una lira: non appena prende il diploma di ragioniere, va subito a lavorare. «Il giorno del mio primo stipendio, mamma piangeva di felicità» • Lavora in una fabbrica di legname, poi nella contabilità alla Breda. A vent’anni, grazie a sua madre, che confeziona i reggiseni dell’amante di un leader socialdemocratico, riesce a farsi raccomandare e trova un posto alla Cassa di risparmio di Roma. «Entrare in banca per me voleva dire sedici mensilità di stipendio, avere il frigorifero pieno, potere aiutare la famiglia, comprare la prima Fiat 500. Ero la persona più felice del mondo, mi attaccavo al lampadario dalla felicità. Ci rimasi dodici anni. Certo, le mie passioni erano altre» (a Bracalini) • Lavora in banca dalla mattina alla sera. Poi, la sera, appena finisce il turno, corre in radio. «Iniziai a collaborare con qualche rivista e mi proposero di fare il dj. Per un paio di meravigliose stagioni misi dischi sul piatto e animai le serate del Titan. Provavamo a ballare con Bob Marley e i Rolling Stones al di là delle ideologie. Mi ricordo ancora lo slogan: It’s only rock and roll. Erano anni in cui la disco music era considerata roba da fascisti, i compagni che volevano ballare rischiavano il pestaggio» (Pagani) • Gli piacciono anche i libri. Legge Sulla strada, di Keruac, rimane folgorato dalla prefazione di Fernanda Pivano. «Saputo che era scesa all’hotel Hassler, andai a conoscerla. Ci vestimmo da on the road, quasi da zingari, con gilet e tutto: non ci fecero entrare. “Ma noi abbiamo un appuntamento con la signora Pivano!”. “Eccola”. La donna che aveva scoperto la Beat Generation era una sciura con caschetto, tailleur, borsetta Gucci e filo di perle. Diventammo molto amici» (a Cazzullo) • D’Agostino si sposa per la prima volta a 24 anni. «“Mia madre morì a 50 anni per un tumore, mio padre, saldatore alla Breda, la pagò con un cancro al polmone. Volevo una famiglia” Grandi festeggiamenti? “In chiesa con i familiari e serata in casa con gli amici. Bisboccia ‘rovinata’ dalla mitica Pivano; a un certo punto, chiede silenzio: ‘Ora i maschietti vanno in cucina a lavare i piatti, pulire i bicchieri, mettere a posto. Noi restiamo qua a chiacchierare’ […] Matrimonio finito per…? “Anche per eccessi sessuali: allora è successo di tutto” Vuol dire? “Totale sregolatezza, comprese le droghe: c’erano persone che tornavano dall’India con le palline di oppio in tasca, i finanzieri neanche capivano” In banca come la guardavano? “[…] dopo un anno si erano abituati alle mie stravaganze, compresi i capelli lunghi; l’unico accenno d’insofferenza, per gli zoccoli olandesi: troppo rumore”» (Ferrucci) • In banca ci rimane fino alla fine degli anni Settanta, poi decide di andarsene. «L’obiettivo era trovare un lavoro piacevole, costruito intorno a una passione, solo così la fatica non arriva» (Ferrucci) • Inizia a lavorare per vari giornali. Per un po’ scrive su Lotta Continua, ma lascia perdere la politica quando vede un corteo assaltare un’armeria: «Roba da Far West» • Collabora con l’Europeo, Centocose, Vogue Uomo, poi Panorama e L’Espresso. «Dalla cintola in su sono gay, ossia etero nei pantaloni ma omo di testa. I giornali che facevano per me erano i femminili, meno bacchettoni dei quotidiani politici. Scrivevo di costume. Delle tribù sociali –yuppie, fricchettoni, ecc. – che si formavano negli anni ’80 per reazione agli anni di piombo» (Perna) • Così, quando, nel 1985, Arbore e Boncompagni lo chiamano per Quelli della Notte. D’Agostino diventa il lookologo. «Vestito come un clown, mettevo in scena la look parade, individuazione che oggi potremmo dire antropologica di modelli umani: l’intellettuale triste, il gay con la gonna, quello che girava con L’insostenibile leggerezza dell’essere, libro che salvò il fatturato dell’Adelphi, ma che non avevo manco letto. Improvvisammo il primo casting a Villa Borghese, con gente di passaggio. L’esperimento era dentro quel tempo. Visti oggi, gli anni 80 sono decisivi sul piano tecnologico, guai a ridurli ai craxiani, se Bettino rubava o non rubava» (a Filippo Ceccarelli, la Repubblica, 7/5/2019) • «Dopo Quelli della notte scrivo un libro, Come vivere, e bene, senza i comunisti. La prima guida a ciò che conta veramente nella vita. Mi creò qualche problema dentro L’Espresso, erano giornali ultra ideologici e nell’87, titolare così un libro sembrava una bestemmia […] Poi feci il colpo che mi alienò tutto il mondo culturale, cioè il libro di plastica. Libidine era un libro in plastica gonfiabile, con dei racconti comico-erotici, che vendette tantissimo in quella estate del 1985, ma fu considerato da Umberto Eco un pezzo di m... galleggiante. Nel ’91 girai il mio primo film da regista, Mutande pazze, dove ho lanciato Raoul Bova, che poi non ha mai ringraziato, anzi si vergogna pure di quel film» (a Bracalini) • Inizia a frequentare i salotti romani. Conosce Moravia, Scola, Fellini, Arbasino, Giancarla Rosi, Irene Ghergo, Paolo Villaggio. «Che mondo era? “Un mondo fantastico. Tutti mi dicono che ho avuto un gran culo ad andarci, ma in realtà, quando ci andavo, tornavo a casa sudato, stanchissimo […] erano delle belve. Non potevi dire ‘che bello il salotto e che divertimento!’. Se ci andavi e non avevi una cultura non sai che fine facevi […] le racconto lo scherzo che si faceva al salotto della Ghergo al nuovo arrivato. Quella iena geniale che era Ettore Scola appena entrava ci vedeva e faceva: ‘quanta brutta gente, quanta brutta gente’. Quando arrivava uno nuovo, iniziava lo scherzo: Moravia chiedeva ai presenti se avevano letto il nuovo romanzo di un tale di nome Tubino, un altro rispondeva, magari, che era una delle cose più belle lette fino a quel momento, quasi vicino a Proust, e un altro ancora diceva invece che era più vicino a Capote. Fino ad arrivare al nuovo arrivato, a cui veniva chiesto: e tu, caro, che ne pensi? Il malcapitato finiva col parlarne anche lui e ma loro ridevano, e anche forte, perché non esisteva nessun Tubino […] Un’altra sera, sempre da Giancarla Rosi, arrivò Robert Altman che era reduce dal successo di Nashville. Arrivò ubriaco come tutti gli americani e tutti lo prendevano per il culo finché la grande Giancarla fece silenzio e disse: ‘Questo ubriaco ha fatto Nashville, voi da sobri non avete fatto un cazzo’. Il salotto era una continua battaglia dialettica di qua e di là […] quando certa gente se ne andava, dovevo prendere il Moment per riprendermi» (Fantasia) • «Quando nella vita fai incontri del genere, provi proprio la sensazione di non valere un cazzo. Mi convinsi a leggere di più, a studiare, ad andare nei musei e a stare coi piedi per terra, perché davanti al vero genio ci si rende conto di essere una pippa!”» (Marco Lomonaco, Il Giornale, 24/11/2018) • A Roberto il pettegolezzo piace moltissimo. «Non c’è comunicazione sociale né cultura alta che non nasca e proliferi sul racconto dei cazzi degli altri. Di più: il pettegolezzo è il fondamento di qualunque società civile» (Pagani) • «Il pettegolezzo è letteratura. Proust era un portinaio, facendosi il giro della vita mondana di Parigi. È sempre stato così. Arbasino è sempre stato il mio faro di civiltà. E poi Penna. E Tondelli» (a Michele Masneri, Studio, 11/11/2016) • «Quando il pettegolezzo dura nel tempo, diventa storia» • Tutto questo confluisce in una rubrica su L’Espresso, che si chiama Spia. «Una specie di zibaldone di cinque pagine di mondanità e cattiverie vare». Una battuta, però, rischia di essergli fatale. «Dopo una visita di Agnelli a Luna Rossa durante l’America’s Cup ad Aukland ebbi la sventura di scrivere, su suggerimento di quel maledetto toscano di Bertelli, che l’avvocato portava sfiga. Fu un attimo. Alain Elkann, per guadagnare punti, avvertì Agnelli, che a sua volta chiamò Caracciolo, suo cognato, che si precipitò a telefonare all’allora direttore Giulio Anselmi. Di fatto la mia storia con la carta stampata terminò quel giorno» (a Giuliano Malatesta) • «Nel giro di qualche giorno la mia rubrica passò da cinque pagine a una. Me ne andai. Barbara Palombelli, che allora aveva aperto uno dei primi blog giornalistici, mi consigliò di trasferirmi sul web» (a Vittorio Zincone, Sette 23/12/2016) • È l’era pre-Google. «Internet subito mi ricordò la mia gioventù. Io avevo vent’anni nel 1968, frequentavo Lotta Continua e c’era l’uso del ciclostile: quella si chiamava controinformazione, internet mi sembrava il ciclostile elettronico» (ad Azzurra Della Penna, Chi, 27/5/2015) • D’Agostino ha un’idea ma nessuno vuole finanziargliela. Molti non si fidano di questa internet (Paolo Mieli dice che «la rete è come un borsello, una moda stagionale»). Lui decide di fare da sé, investe dieci milioni di lire di risparmi suoi e si crea il suo sito • «Ho voluto in qualche modo essere autarchico […] come Moretti che, dopo varie vicissitudini con i produttori, a un certo punto si comprò la pellicola, la macchina da presa, affittò quello che è oggi il Nuovo Sacher a Trastevere e iniziò a produrre tutto sotto il suo controllo senza avere nessuno sopra di sé. La stessa cosa è capitata a me» (a Fantasia) • «Non ne potevo più di direttori e capiredattori che non sapevano nulla, non capivano niente. Sono diventato padrone di me stesso. Io ho avuto ragione, loro sono stati licenziati» (a Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 27/11/2014) • Nelle sue intenzioni, Dagospia dovrebbe essere solo un sito di costume. «Era quello il mio lavoro» • La svolta arriva quando Francesco Cossiga si mette in contatto con lui. «Sapeva tutto della Chiesa, dei Servizi, di Mediobanca» (Perna) • «Per me è stato molto più di un semplice informatore, ma una guida spirituale. Bussò alla mia porta che era già considerato pazzo, nemmeno l’Ansa gli passava più i comunicati, ma grazie a lui ho compiuto un apprendistato politico, imparai a convivere con un certo tipo di mondo e a conoscere il significato della parola potere, prima di incontrarlo non sapevo neanche chi fosse Enrico Cuccia» (Malatesta) • «Appresi che la macchina del potere è complessa e intricata e che nessuno riesce a comprenderne i meccanismi fino in fondo. I politici di oggi, ad esempio, confondono Palazzo Chigi con il vero potere. Non è così, evidentemente. Il gioco della politica è così complesso che coloro che siedono a Palazzo Chigi non sono altro che inquilini di passaggio. Il potere non risiede lì, ma negli ingranaggi che smuovono la macchina» • «Tutta la stampa è piena di robaccia, che per me è roba buona. Io leggo e taglio di tutto. E pubblico. Forzando un po’ il titolo. I quotidiani ammorbidiscono i titoli. Io li ravvivo. Prendi il Sole 24 Ore. Nemmeno quando cade il governo titolano “Prodi è caduto”. Sono formidabili: riescono a fare titoli senza la minima asperità» (Sabelli Fioretti) • D’Agostino riceve una montagna di querele, ma in pochi anni il suo diventa uno dei siti di informazione più seguiti d’Italia. Ci lavorano cinque persone. Un algoritmo tarato sui clic decide a quale pezzo dare più importanza. «E ci campa? “Guadagno di più che a fare il pupazzo in tv. Però è stata dura. I primi inserzionisti pubblicitari venivano minacciati dai colleghi: ‘Ah, ma come, mantieni il nostro carnefice?’”» (Lorenzetto) • «La definitiva simbolica consacrazione arrivò […], con la pubblicazione di alcuni report scomodi provenienti dal Vaticano. “Dopo una settimana il sacerdote che mi forniva le notizie fu trasferito. Era la dimostrazione che perfino la curia leggeva Dagospia”» (Malatesta).
Vita privata Sposato dal 1997 con Anna Beatrice Federici, «erede di una dinastia di costruttori» (Panorama). «Lo stress da sito si ripercuote sulla famiglia. Anna mi sopporta, si tappa le orecchie. È la persona più importante per me. L’unica che in questi dieci anni mi ha portato un bicchiere d’acqua quando mi vedeva stremato» • Vivono di fronte a Castel Sant’Angelo • Un figlio, Rocco, ingegnere, e due labrador, Zen e Pink: «È un diavoletto. La chiamiamo Pink quando è buona, Punk quando è cattiva. Punk mi ha mangiato i bordi di un arazzo cinese che raffigurava Mao, e Zen ci ha fatto la pipì sopra. Forse odiano il Grande timoniere».
Politica Da anni non vota più. «Per chi come me ha sulle spalle ideologie giovanili fallimentari, Grillo ha rappresentato una speranza. Ma quella fiducia si è persa. Non basta essere onesto se sei incapace, e purtroppo la classe dirigente pentastellata è totalmente inadeguata, altro che cinque stelle, non ne valgono mezza. Guardo Toninelli o l’Azzolina, il ministro dell’Istruzione che parla di imbuti da riempire, e mi domando in che mani siamo finiti. Oramai sogno Giuliano Amato e rimpiango Fanfani» (a Malatesta).
Religione «Il kretinismo della sinistra, con la kappa, che fa confusione tra spirito religioso e posizioni politiche della Chiesa. Io sono fortunato, perché ho sempre avuto la fede. Il caso di un prete pedofilo non mi tocca. A Roma abbiamo avuto papa Borgia, figurarsi» (a Lorenzetto) • «Pratico a modo mio. Non vado a messa perché mi distraggo. Ma ho usato i crocifissi e i teschi di Hirst per farmi qui in casa una cappella dove mi raccolgo» (a Perna) • «Giusto ogni tanto prendo Zen e ce ne andiamo a visitare le chiese più belle Roma. Il cane entra in chiesa tranquillo, ci mettiamo seduti, pensiamo».
Vizi «Lei non ha mai nascosto una certa attitudine alle droghe. “Ai viaggi sulla Luna c’è chi preferisce quelli nella propria mente. Con la musica e con qualche sostanza. Una sera di fine anni 80 stavo realizzando un servizio per Mixer sui party afterhours in una discoteca di Gabicce. Sapevo che il servizio sarebbe iniziato alle cinque del mattino e così pensai: ‘Famose n’acido’”. Lsd. “Già. Solo che alle cinque non riuscivo ancora a connettere il cervello con la lingua. E dovevo registrare. Mi prese un po’ di panico. Decisi di intervenire con una striscia di coca”. Una cosetta leggera. “Terapia omeopatica: il male si cura con il male. Diciamo che soprattutto negli anni Settanta e Ottanta ne ho viste parecchie”» (a Zincone).
Curiosità Ha perso la verginità con una prostituta al Mandrione, nella periferia di Roma • Negli anni Novanta, temendo di restare pelato, è andato dallo stesso tricologo di Fellini. «Federico parlava con malinconica angoscia dell’insostenibile rumore che fa un capello che cade» (a Cazzullo) • Lavora moltissimo. «Sono un computer con due gambe e la panza» • Lavora anche la domenica. «Ho sempre qualcosa da scrivere, da vedere, da leggere o da fare. Pensa che, ogni tanto, la sera, metto ancora musica in discoteca» • «Tra una cosa e l’altra organizza serate di musica sfrenata che fanno impazzire i giovani ma non manca mai a un concerto di opera lirica o all’inaugurazione di una mostra d’arte importante. Nelle sue feste ci trovi di tutto, intellettuali, soubrette, personaggi dello spettacolo affermati, emergenti o tramontati, finanzieri, politici di ogni Repubblica, pornostar, al confronto la Factory di Andy Warhol era una roba limitata, da dilettanti» (Parente) • Il suo libro di culto è Detti e contraddetti, di Karl Kraus, fondatore tra l’altro di una rivista satirica • La sua canzone preferita è Hurt di Johnny Cash, vuole ascoltarla quando morirà • «Internet ucciderà i giornali? “Dissero la stessa cosa del teatro quando fu inventato il cinema. Il teatro e i giornali continueranno a esistere”» (Lorenzetto) • È sordo da un orecchio • Ha il fiatone quando sale i tre piani di casa sua. «So’ vecchio» • «Sei anni fa mi trovavo con la mia famiglia a Città del Messico. Entro in un cimitero: era pieno di palloncini colorati. Mi ha cambiato l’esistenza. Chi muore taglia un traguardo: bisogna festeggiare. La morte è l’inizio della vita, non la fine» (a Lorenzetto) • «Si è mai pentito di qualcosa?Avoja! Se tornassi indietro, dovrei controllare lo stato delle persone prima di scriverne perché ho fatto degli errori e delle cazzate senza saperlo. Mi è capitato di raccontare la scappatella di un personaggio tv per poi scoprire che era sposato con una figlia, la cosa finì in tribunale. Troppo casino e alla fine ti chiedi: perché?”» (Fantasia) • Ha iniziato a tatuarsi nel 2008 dopo un pesante intervento di decorticazione ai polmoni: «Siccome non volevo andare a piedi fino al santuario del Divino Amore, mi sono fatto incidere nelle carni la croce, Gesù, la Madonna e un teschio sorridente». Poi non si è più fermato • «Lo chiedo al lookologo: ma il suo che razza di look è? “Postpunk. Della terza età. Un post e un trans oggi non si negano a nessuno, nemmeno a un pensionato. Sono tutti simboli senza simbolismi. Non abbiamo più né idee né ideali, né ideologie: abbiamo solo noi stessi. Il corpo è il display per comunicare agli altri non ciò che siamo, ma ciò che vorremmo essere. Con addosso tutta questa ferramenta dico al mondo che avrei voluto essere Keith Richards, il chitarrista dei Rolling Stones. Non avevo il talento per diventarlo. Sono un fallito, questa è la verità”» (Lorenzetto) • «“Vorrei aggiungere che ho un grande desiderio” Qual è? “Vorrei essere la pizza”. La pizza? “Sì, perché la amano tutti. Ecco, vorrei essere così”» (Fantasia).
Titoli di coda «Che ti aspetti il giorno del Giudizio? “Ho rotto le scatole a troppa gente. Finirò all’inferno”» (Perna).