16 giugno 2020
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Biografia di Eddy Merckx
Eddy Merckx, nato in un sobborgo di Bruxelles, il 17 giugno 1945 (75 anni) • «Forse il più grande ciclista di tutti i tempi» (Massimo Gramellini, La Stampa, 28/3/2012) • «Il cannibale» • «Figlio del tuono» • «Lui, il signor Eddy, la bestia» (Felice Gimondi) • «Ha un nome criptico come un geroglifico, misterioso come un’equazione da risolvere: Merckx. La x è l’incognita, l’enigma e la chiave”. Eddy Merckx è epifania, almeno per il ciclismo; è sorpresa e sconfitta, almeno per gli avversari; è Nike e Ares assieme, almeno stando alla mitologia greca» (Il Foglio, 17/3/2016) • Vinse, tra l’altro: cinque giri di Francia (1969, 1970, 1971, 1972, 1974) con trentaquattro vittorie di tappa e novantasei giorni in maglia gialla; cinque giri d’Italia (1968, 1970, 1972, 1973, 1974); un Giro di Spagna (1973); tre campionati del mondo professionisti (1967, 1971, 1974) più uno dilettanti (1964); sette Milano-Sanremo (1966, 1967, 1969, 1971, 1972, 1975, 1976); tre Parigi-Roubaix (1968, 1970, 1973); due Giri delle Fiandre (1969, 1975); tre Freccia-Vallone (1967, 1970, 1972); cinque Liegi-Bastogne-Liegi (1969, 1971, 1972, 1973, 1975), due Giri di Lombardia (1971, 1972) • «Un anno, era il 1971, partecipò a 120 corse: ne vinse 54» • «Un capobranco. Uno schiacciasassi. Una macchina infernale. Uno spietato divoratore di successi e di avversari. Un fuoriclasse straordinario, il più vincente e probabilmente il più grande di un secolo di ciclismo. Un mito, anche per chi, troppo giovane, non lo ha visto macinare rivali e rapportoni mozzafiato, ma ne ha soltanto letto imprese ed efferatezze. Una sorta di Attila in bicicletta, fortissimo su tutti terreni, un predone che saccheggiava qualunque strada, senza lasciare nulla a nessuno (Cheo Condina, il manifesto, 13/3/2004) • «Ha combattuto su tutti i ring possibili, dalle pietre del pavé alle vette innevate e ha segnato in mille modi diversi, trascinando di forza il ciclismo nell’era moderna, tra sponsor, premi e biciclette griffate» (Paolo Tomaselli, Corriere della Sera, 17/6/2015) • «Nel ciclismo moderno prevale il calcolo, la prudenza, la pavidità che viene scambiata per intelligenza. Merckx rilancia il valore dell’audacia» (Claudio Gregori, a la Nuova Sardegna, 25/4/2016) • «Un giorno, al Tour del 1970, sotto i pini, ai bordi della strada, un tifoso diventa protagonista di una delle foto più famose di Merckx. Sorregge un cartello: “Eddy pitié aux eux”, Eddy, pietà per gli altri... Eddy, invece, non aveva pietà per nessuno» (Leonardo Coen, la Repubblica, 17/6/2005).
Titoli di testa «Più grande Coppi o Merckx? Per uscire intatti dal ginepraio, la risposta esatta è: “Coppi il più grande, Merckx il più forte”. La paternità della frase è attribuita a Jacques Goddet, Bruno Raschi e Gian Paolo Ormezzano. Non so chi sia stato il primo ma posso sottoscriverla» (Mura).
Vita Famiglia povera. I suoi, Jules e Jenny Merckx, gestivano una drogheria alla periferia di Bruxelles. Ha due fratelli, un maschio e una femmina, gemelli tra loro • «Eddy non aveva molta voglia di studiare. Faceva sport (corsa campestre, un po’ di pugilato), tifava per l’Anderlecht ma era solo discreto da calciatore, subito vincitore da ciclista» (Mura) • «Si presentò a Sanremo, nel ’66. Aveva finito da un mese il servizio militare. Aveva già vinto un mondiale dilettanti, ma fu ugualmente una sorpresa. E per un po’ si pensò che l’eredità dei due grandi Rik era assicurata, ecco il nuovo dominatore delle classiche. Ma un belga forte davvero in salita si doveva ancora vederlo. Essendo belga, disse Brera, Merckx avrebbe scontato una dieta povera di carboidrati. Neanche un po’, invece» (ibidem) • «La maglia bianca a scacchi neri. Il numero 131. È il più giovane del campo: ha vent’anni. Non ha mai disputato una corsa così lunga. Davanti ha 288 chilometri. Corre in una piccola squadra, la Peugeot, con i belgi Bracke e Mertens, i francesi Pingeon, Letort e Niel. Dall’ammiraglia lo guida Gaston Plaud» (Il Post, 8/5/2016) • «Quel 20 marzo del 1966 il belga è apparso alla Milano - Sanremo, sul lungomare di Sanremo, ha sprintato e ha vinto, era stato subito chiaro che un campione si stava materializzando davanti agli occhi di tutti. Uno che poteva vincere di potenza e di agilità, di sprint e di anticipo, di salita e di discesa. Uno che vinceva di foga e di voracità, che tutto azzannava e tutto voleva. Cannibale di soprannome e di fatto, ardimentoso per natura, mai domo per testardaggine» (Il Foglio) • «La leggenda del Cannibale nasce così: la figlioletta del francese Christian Raymond, stanca di vedere il padre sempre sconfitto da quel gigante dagli zigomi pronunciati, definì per sempre con quel soprannome l’appetito insaziabile di Edouard Louis Joseph, detto Eddy. “Non mi ha mai dato fastidio essere chiamato così. Avevo una gran fame di vittorie e se potevo cercavo di conquistarle...”» (Tomaselli) • «La grande differenza tra il ciclismo dei miei tempi e quello di oggi sta tutto nei soldi. Dovevamo correre tanto e cercare di vincere il più possibile perché i premi erano parte integrante del nostro guadagno. Adesso ci sono ingaggi tali che un corridore può puntare a pochi obiettivi» • «Io ho sempre corso per vincere e basta, in qualsiasi corsa. L’etica sportiva consiste anche nel cercare sempre la vittoria. Non è essere cannibale […] ma rispetto per l’avversario e per chi ha organizzato la competizione. Le corse più importanti non le regalavo perché ci tenevo, quelle più piccole le onoravo fino in fondo per far piacere a chi aveva lavorato un anno per invitarmi» (a Condina) • «Era un vincente e la sconfitta gli faceva male. Vigna, il suo direttore sportivo, mi ha detto che quando stava dieci giorni senza vincere diventava intrattabile» (Gregori) • «Dopo una breve stagione alla corte dei due Rik (che certamente non lasciavano spazio a un pivello) e due alla Peugeot, Eddy scelse l’Italia» (Mura) • Entra nella squadra di Fiorenzo Magni, grande campione di ciclismo, ct della Nazionale italiana. «Merckx era uno spilungone magro magro e sconosciuto quando l’ho portato in Italia, alla Faema» • Con la Faema passa tre anni, poi ne fa sei con la Molteni di Arcore. «Vinse il Giro del ’68 con un’impresa sulle Tre Cime di Lavaredo, sotto la neve in maniche corte. In 12 km di salita aveva recuperato 9’ a sedici fuggitivi, tra cui Bitossi. Gli buttarono addosso una coperta di lana e lo scortarono al rifugio, dove si lavò in una tinozza d’acqua bollente. Lo so perché c’ero» (Mura) • Il primo giugno 1969 la sua carriera sembra interrompersi. A Savona, durante il Giro d’Italia, viene trovato positivo all’antidoping. Lo cacciano immediatamente. «La maglia rosa passa a Gimondi. Eddy contestò fin da subito il risultato dell’esame: “È una trappola, qualcuno vuole fregarmi, le fiale coi prelievi delle mie urine sono state manipolate”» (Coen) • «C’ero anche nella camera numero 11 dell’hotel Excelsior di Albisola, quando Merckx in maglia rosa fu messo fuori corsa per doping. Mancavano solo i crisantemi fuori dalla porta, era tutta una processione a piccoli gruppi che Marino Vigna, col groppo in gola, filtrava sulla soglia. Prima le grandi firme, Zavoli con gli operatori del Processo alla tappa, poi gli altri alla spicciolata. Io entrai con un gruppetto della Scic (Armani, Paolini, Casalini), una pacca sulla spalla e via. Lui continuava a piangere come un bambino che si ritrova col giocattolo rotto e quella mattina pensai: o è un attore più bravo di Marlon Brando o è davvero innocente e qualcuno gli ha messo qualcosa nella borraccia quando tutte le bici erano accatastate fuori dal duomo di Parma, e i corridori dentro, a messa» (Mura) • «Merckx lavò quell’onta al Tour, un mese dopo. Massacrò gli avversari. Roger Pingeon si classificò secondo, a 17’ e 34’’. Raymond Poulidor, terzo, a 22’13’’. Gimondi a 29’24’’. In quel Tour Merckx aggredì salite, discese, pianure, umiliò il resto del mondo, dette sfogo a tutto il suo sconfinato orgoglio. Cannibale coi pedali e con la testa» (Coen) • «Io più forte di Fausto Coppi? Non scherziamo. Questi paragoni sono davvero improponibili da fare e soprattutto sbagliati. Ognuno di noi è il più bravo nel proprio periodo. Io penso di essere stato molto bravo nel mio, mentre Coppi lo è stato certamente nel suo. Coppi vinse alla Coppi. Merckx vinse alla Merckx. La verità è che poi ognuno sceglie con irrazionalità, seguendo il cuore. Coppi probabilmente ha fatto sognare più del sottoscritto. Le vittorie di Coppi sono diventate romanzo, le mie cronaca» (a Pier Augusto Stagi, Avvenire, 15/6/2015) • «Nessun rimpianto? “Il Tour del 1975. Fino a quella edizione, avevo vinto cinque Tour su cinque. Invece quell’anno sono arrivato secondo, battuto da Bernard Thevenet e soprattutto dalla malasorte. Prima dell’ultima tappa alpina in una caduta mi sono rovinato la faccia e fratturato la mandibola, ma per sei tappe ho continuato a correre così. Stringendo – ma solo come modo di dire, perché non potevo farlo – i denti”» (Pastonesi) • «Eddy Merckx corse la sua ultima gara ufficiale in bicicletta in Kemzeke, il Tour del Waasland 1978. Il 18 maggio dello stesso anno scelse di ritirarsi dall’agonismo e fondò una società ciclistica di successo a Meise, dove tuttora vive» (Esquire 05/10/2018) • «Eddy, c’è stato un periodo, o un anno, particolarmente difficile? “Il 1983. Quando è morto mio padre. Avevo 38 anni. Mi sono sentito scoperto, al vento, senza più protezione. Forse quel giorno si è spezzato l’incantesimo dell’eterna giovinezza ed è cominciata la vita vera, dove non esiste una rete che ti salvi”» (Pastonesi).
Vita privata Sposato con Claudine Acou dal 1967 • Due figli: Sabrina (n. 1970), Axel (1972), anche lui ciclista professionista.
Soldi «Darei ai ciclisti almeno gli stessi soldi che guadagnano i calciatori, perché il nostro è lo sport più duro del mondo» (a Giorgio Viberti, La Stampa, 17/5/2020).
Vizi «Gli piaceva fumare una sigaretta con filtro quand’era rilassato (ero tra i fornitori), bere una pinta di birra con i compagni, dai quali esigeva il massimo. Nel periodo delle kermesses gli capitava di andare a letto molto tardi, poi si alzava che era una rosa e gli avversari stracci» (Mura).
Curiosità È alto 1 metro e 82 • «Non si finisce mai d’imparare a stare al mondo. Il vero avversario è la noia. Non c’è nulla di peggio che sprecare il proprio tempo. Io non mi annoio, sono e mi sento in piena attività. Fermo, non ci so stare» • Dopo il ritiro ha aperto un’azienda che fabbrica biciclette. «Cerco di fare biciclette il meglio possibile, così come volevo fare il meglio possibile quando correvo. L’attività va bene, ma c’è da lottare come nelle corse» (Umberto Lacchetti, la Repubblica, 10/5/2008) • Nel 1996 il re del Belgio lo ha nominato barone • Nel 2005 è stato uno dei 111 candidati al titolo di miglior belga della storia • Nel 2010 è finito pure sui francobolli del suo Paese • Sverna a Montecarlo • Parla bene l’italiano • Nel film Radiofreccia il personaggio interpretato da Stefano Accorsi dice: «Da te stesso non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx» • «Merckx, sia sincero: le piace ancora il ciclismo di oggi? “Sì, anche se non mi va di paragonarlo a quello dei miei tempi, perché sono cambiate troppe cose. Allora eravamo dei professionisti ma con il cuore dei dilettanti, oggi sono professionisti e basta, in tutto. Però, posso dire? A me piaceva di più il ciclismo di una volta» • «Se avesse corso oggi, avrebbe vinto di più? “Avrei vinto altre corse in altri posti. Ma non avrei vinto di più. Non crede che io abbia vinto abbastanza?”» (Pastonesi) • Da anni porta un peacemaker. Il cardiologo Giancarlo Lavezzaro gli ha diagnosticato una cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva: «Con questa diagnosi, molti atleti al giorno d’oggi non ottengono l’idoneità. Esisteva un reale rischio di morte improvvisa». Lui si è detto sorpreso: «Ho sempre saputo di avere un cuore particolare e in famiglia ci sono stati diversi problemi cardiaci: per questo facevo un controllo ogni anno, ma non ho mai avuto problemi».
Titoli di coda «Non era stato Brera a scrivere che non avrei mai vinto un Giro o un Tour perché io e i miei avi belgi non mangiavamo pastasciutta?».