10 giugno 2020
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Biografia di Jackie Stewart
Jackie Stewart, nato nel villaggio di Milton, in Scozia, l’11 giugno 1939 (81 anni). Pilota automobilistico • «Lo scozzese volante» • «Il Nuvolari scozzese» • Ha vinto ventisette gran premi, è stato tre volte campione del mondo (1969, 1971, 1973) • «Lasciò la Formula 1 a 34 anni, dopo aver corso solo 99 Gp: saltò il centesimo, sconvolto dalla morte in qualifica del compagno di squadra Cevert» (Stefano Mancini, La Stampa, 16/3/2013) • • «Bello e magnetico come un Beatle» (Marco Mensurati, la Repubblica, 29/1/2017) • «Ha una personalità inconfondibile. Mingherlino, esuberante, la lunghissima chioma, gli atteggiamenti vivaci» (La Stampa, 8/9/1969) • È diventato baronetto per meriti sportivi. È il più anziano pilota di Formula 1 iridato vivente • Fondatore, assieme al figlio Paul, della scuderia Stewart Grand Prix, che gareggiò in Formula 1 tra il 1997 e il 1999, poi fu venduta alla Ford, che la ribattezzò Jaguar Racing, e poi passò alla Red Bull, che la ribattezzò Red Bull Racing • Ha detto: «Il curioso è che io alle competizioni sono arrivato quasi per caso. Ero campione scozzese di tiro al piattello e ho partecipato anche alle Olimpiadi di Roma. Sparavo bene: Poi, mi avvicinai all’automobilismo seguendo mio fratello, che è stato un buon pilota. Correre mi piaceva, così lasciai perdere il fucile per il volante» (Michele Fenu, La Stampa, 8/7/1969).
Titoli di testa «Jackie Stewart si passa una mano tra i lunghi capelli e sorride. Piuttosto basso di statura, asciutto, un fascio di nervi, indossa con disinvolta trascuratezza un paio di calzoni verde petrolio, una maglietta con le maniche corte, bianca a righe tosse, un paio di mocassini neri […]. È davvero elegante Stewart. E ne è consapevole. L’eleganza — tutti sono concordi in questo — è una componente non trascurabile del suo fascino. “Beh, non esageriamo adesso. Io mi vesto e se appaio elegante... tanto meglio”. Hélène, sua moglie, annuisce gravemente: “Nonostante tutti gli attribuiscano una eccessiva ricercatezza nel vestire, Jackie in realtà, è indifferente a queste cose”» (Luciana Jorio, Corriere della Sera, 9/9/1969).
Vita «Stewart è nato in un paesino della Scozia, a Milton. Il padre, ex-pilota, lo chiama John, ma ben presto diventa “Jackie” per tutti e, quindi, anche per la madre e per il fratello Jimmy. Gli Stewart, nel villaggio del Dunbarshire, hanno una grande autorimessa, concessionaria della Jaguar e della BMC: è una famiglia che passa la giornata in mezzo ai motori, un mondo che non poteva che appassionare i giovani John e Jimmy. Tuttavia, nella sua prima giovinezza, “Jackie” non pensa alle auto, non sogna di diventare un campione della pista: preferisce andare a pescare lungo i fiumi della Scozia, preferisce giocare a golf e al calcio» (Giovanni Belingardi, Corriere della Sera, 10 ottobre 1973) • A scuola fa quello che può. Quando ha nove anni la maestra lo chiama alla lavagna, gli chiede di leggere la pagina di un libro. «Il piccolo John Young Stewart non riusciva a distinguere una sola parola su quel foglio. Per lui era un’accozzaglia d’inchiostro senza senso. La maestra lo cacciò al suo posto, i compagni incominciarono a pensare che fosse stupido, lui stesso credette di non essere all’altezza, di non poter stare a scuola. La lasciò presto finendo a lavorare nell’officina con distributore di benzina del papà. Non riusciva a leggere. Non distingueva le lettere» (Umberto Zapelloni, Arbiter, 26/2/2018) • «A quattordici anni, come tutti i ragazzi facili agli entusiasmi improvvisi, si appassiona al tiro al piattello. È bravo, vince gare provinciali e nel 1957 il ragazzino viene selezionato per la squadra nazionale britannica. Gli organizzatori assicurano per il giovane Stewart un futuro prestigioso: tra gli anni Cinquanta e Sessanta vince i Gran Premi di Scozia, d’Inghilterra, del Galles, conquista la Coppa delle nazioni, e partecipa alle Olimpiadi di Roma» (Belingardi) • La prima volta che visita l’autodromo di Monza è proprio per una gara di tiro al piattello. «Era il 1959 e facevo parte della nazionale britannica: tiravamo per i Campionati europei. C’erano Von Trips e Phil Hill in pista che provavano la Ferrari, e John Surtees con un’altra macchina. Rimasi colpito» (Stefano Mancini, La Stampa, 16/9/2015) • «Da ragazzino venivo a seguire le gare ed ero riuscito a farmi fare un autografo da Fangio, Ascari, Farina e Taruffi. Li possiedo ancora tutti quei foglietti, e quando li rivedo mi emoziono. La mia vocazione è cominciata anche così» (Mancini) • «Nel frattempo Jimmy, fratello di Jackie (a questo punto più nessuno lo chiamava con il suo vero nome, John), decide di correre in automobile ed entra a far parte della ristretta “élite” dei campioni d’automobilismo, partecipando ad una 24 Ore di Le Mans, drammatica per la famiglia Stewart. Jimmy (1954) è vittima di un gravissimo incidente e decide di interrompere definitivamente l’attività. Si dice (così almeno vogliono i biografi inglesi) che Jackie soffrì molto per questa decisione e che fece opera di persuasione affinché il fratello tornasse in pista. È, questo, il momento più importante della vita del futuro campione del mondo. Lavorando con il padre nel garage. Jackie conosce molti campioni delle quattro ruote, discute con i costruttori e molte volte (per scherzo) qualcuno gli offre anche una macchina. Lui non è pienamente convinto, ma già sogna di essere un grande campione, vuole raccogliere qualche briciola di popolarità per avere prestigio tra gli amici, e decide di partecipare ad alcune gare. Inizia a correre con una Porsche, nel 1961, in una prova ad Outon Park: ad aiutarlo è Barry Filer, un pilota-gentleman di Glasgow, che deve anche convincere la madre, la quale, ancora impressionata per l’incidente occorso al figlio maggiore, non vorrebbe che Jackie si dedicasse alle corse. Lui comincia a correre (anche di nascosto), guida prima una Marcos GT ed un’Aston Martin DB 4GT sul circuito di Charterhall. Inizia qui quella che sarà una rapidissima escalation. Intanto, Stewart pensa anche all’amore, incontra una bella ragazza bionda» (Belingardi) • «L’incontro avvenne a Helensburgh, la loro città vicino a Glasgow, quando Jackie, allora diciassettenne, avrebbe dovuto presentarsi a un appuntamento al buio con qualcun altro. Ma la ragazza che avrebbe dovuto incontrarlo dopo un’occhiata da lontano decise che quel giovane meccanico non faceva per lei. Così Jackie rimase ad aspettare invano al Dino’s Radio Cafe. Per fortuna arrivò il suo amico Jim con la sua fidanzata Irene e un’amica. Una ragazza carina di 16 anni. “Helen si è innamorata di un ragazzo senza una lira”. E dopo 5 anni di fidanzamento la coppia si sposò trasferendosi in un piccolo appartamento. Poi Jackie si trasformò da meccanico a pilota e improvvisamente “la nostra vita salì su un razzo volando dal nulla alle stelle”» (Umberto Zapelloni, Gazzetta dello Sport, 14/2/2017) • Dice: «Con il tiro a volo imparai i primi rudimenti di gestione della mente. Nel tiro se manchi un bersaglio non recuperi più il punto perso. Quando ho cominciato a correre a 23 anni ho capito che era lo stesso in gara. Se commettevi un piccolo errore eri perso. Ogni curva, ogni giro dovevano essere perfetti» • «Debbo molto anche a mia moglie. Ho sempre saputo che aveva paura quando correvo, ma non ha mai condizionato il mio mestiere» • Dal 1963 Jackie diventa un pilota professionista. Incontra Ken Tyrrel, figlio di un guardiacaccia e direttore sportivo di una nuova scuderia, che lo fa esordire in Formula 3. «Ken Tyrrell mi offrì 10mila sterline all’anno, una somma enorme per l’epoca, ma in cambio mi chiese il 10% dei miei premi per i successivi 10 anni. Io gli risposi: e se mi tengo io i premi? Allora ti pagherei solo 5 sterline. Ci pensai su quella sera. Ne discussi con Helen, poi telefonai a Ken: Mister Tyrrell, accetto l’offerta da 5 pounds» • Stewart è bravissimo, in pochissimi anni riesce a scalare le classifiche, arriva in Formula 1, lo paragonano a Jim Clark, altro grande pilota suo conterraneo. «Il carattere dei due scozzesi era l’unica cosa di veramente diverso che avessero: tanto serio e compassato - anche fuori del mondo delle corse - era Clark, tanto è esuberante, estroverso, effervescente, Jackie. Dopo una vittoria importante non è difficile trovarlo in qualche locale alla moda a fare le ore piccole. Per Stewart è difficile essere serio, quando non è al volante di un bolide di Formula uno, o non sta lavorando intorno ad un motore. In queste circostanze si trasforma letteralmente, diventa ponderato e riflessivo, non per niente è stato scelto dai suoi colleghi come esperto per le questioni di sicurezza dell’associazione piloti» (La Stampa, 8/9/1969) • «Jim aveva i capelli pettinati lisci, tagliati regolarmente, con la sua brava scriminatura. Jackie è un capellone tra i capelloni. L’altro si vestiva nel modo più borghese possibile. Questo non disdegna i pantaloni di velluto rosa e i cappellini che stanno bene alle ragazze quando hanno un profilo perfetto. Stewart è il vero, legittimo erede di Jim Clark. Trent’anni compiuti […], sposato con una longilinea bellissima ragazza che gli ha dato due figli. Vince senza entusiasmare, perché al volante non fa mai i “numeri”. Sembra addirittura che vada più piano degli altri, tanta è la compostezza con la quale domina e amministra oltre quattrocento cavalli. È un professionista scrupoloso, con l’anima del sindacalista e dell’organizzatore» (Lorenzo Pilogalo, Corriere della Sera, 1969) • «Ha anche saputo costruirsi la figura del “personaggio”. Piccoletto, un viso che assomiglia vagamente a quello di Rascel, si è fatto crescere i capelli, gira con incredibili pantaloni rosa e una maglietta bianca sulla pelle, in testa un berrettuccio di velluto nero da studente comprato a Piccadilly» (Fenu) • Lui e la famiglia vanno ad abitare in una splendida villa vicino a Ginevra. «I maligni dicono che si tratti di ragioni fiscali. “Niente affatto — risponde — ho scelto la Svizzera perché la Scozia è troppo lontana dai circuiti. Un’ora e mezzo di jet soltanto per recarmi a Londra. E da lì, poi, dovrei ripartire per l’Italia, la Francia, la Germania. La Svizzera, invece, è nel cuore dell’Europa, per cui ogni spostamento è facile” […] Perché la chiamano lo scozzese volante? “Molti anni fa, in Scozia, c’era una locomotiva chiamata appunto ‘lo scozzese volante’. Era un treno molto famoso, variopinto, di linea slanciata: il più veloce da Glasgow a Londra. Penso che l’appellativo tragga origine da questo treno. Certamente, ne sono lusingato”. Stewart ha trent’anni, ma i capelli lunghi lo fanno sembrare un adolescente. Perché li porta cosi lunghi, i capelli? “Davvero crede che siano troppo lunghi?”. Se li accarezza con compiacimento caricaturale» (Jorio) • «I suoi hobbies? “Nuoto, caccia, pesca al salmone in Scozia, e trovarmi con amici, giovani come me e mia moglie. Sa, anche se guido a 300 all’ora, sono uno qualunque”» (Fenu) • «Lei non pensa di poter correre con la Ferrari? “Mi piace molto correre con la Tyrrell Ford”» (Carlo Grandini, Corriere della Sera, 7/7/1971) • «Perché non corre nelle gare tipo Le Mans? “Sono troppo lunghe e pericolose, non vince chi va più forte ma chi resiste di più, non c’è la lotta di un Gran Premio. E io guido per divertirmi e per combattere”» (Fenu) • La corsa a Silverstone nel 1969, dice, è la più bella della sua vita. «Chi arrivò primo? “Dopo 32 scambi di posizione in testa, Jochen ebbe un problema tecnico e vinsi io” Dieci anni prima di Villeneuve e Arnoux... “Ma senza diretta televisiva”» (Mancini) • «Stewart è un grosso campione, classico, protagonista, maestro di guida. Nel 1971 rivince il campionato […] È uno dei campioni più applauditi di tutti i tempi, più ammirati, più amati dagli sportivi. Solo nel mondo delle corse è assai criticato: gli si rimprovera un eccessivo attaccamento al denaro, ai suoi interessi, e molti osteggiano le sue interpretazioni, forse un po’ personali, che riguardano la sicurezza delle corse […] Ma Stewart, ormai, ha deciso. La tragedia di Cevert, suo compagno alla Tyrrell, gli fa paura» (Belingardi) • «Già nel 1971 avrei voluto ritirarmi causa problemi fisici. Mi ero malato di mononucleosi, avevo attraversato 86 volte l’Atlantico, 43 viaggi in America, per seguire i miei impegni promozionali con la televisione Abc, la Ford, la Goodyear, per girare pubblicità, per correre nella Can-Am e in F.1. Avevo deciso di ritirarmi, ma come l’anno precedente, verso novembre sono stato meglio, così ho deciso di darmi un altro anno. Ma quello sarebbe stato davvero l’ultimo» (Atosprint) • «Sei pentito di quella decisione di ritirarti dalla F.1 così presto? “No, resto convinto che sia stata la decisione corretta presa al momento giusto”» (Autosprint) • «Quando guido anche per la strada, tocco spesso il freno con un leggero colpetto e controllo i manometri. Nella pista è un po’ differente perché non ci sono i pali della luce e molti altri ostacoli. L’importante è fare qualcosa e mantenere il controllo di se stessi».
Difetti «Solo a 41 anni capì che non era stupido, ma dislessico. Lo scoprì quando a suo figlio Mark capitò la stessa cosa. Solo che i tempi erano cambiati, nel collegio svizzero dove studiava conoscevano i test a cui sottoporre un bambino con dei problemi di apprendimento» (Zapelloni) • Ancora oggi non è capace di recitare l’alfabeto oltre la lettera P. «Quando un dislessico trova una cosa che riesce a far bene, si impegna ossessivamente per risultare il migliore di tutti. Mi sento sempre inadeguato quando devo avere a che fare con le parole. Ma questo mi porta a impegnarmi sempre di più, a curare ogni dettaglio. Ho sviluppato una memoria fotografica incredibile: ricordo esattamente ogni curva e ogni punto di frenata di ogni circuito, anche del vecchio Nürburgring».
Vizi Astemio. «Strano per uno scozzese di buon sangue» (Jorio). Nel 1969 la moglie diceva: «Jackie non beve e non fuma: la forma esige i suoi tributi».
Vita privata «Jackie e Helen sono stati una coppia d’oro dei Swinging Sixties. Frequentavano i Beatles, Cary Grant, Steve McQueen, la Principessa Anne e la Principessa Grace di Monaco» (Zapelloni) • Nel 1997 hanno lasciato la Svizzera e hanno venduto la loro villa a Phil Collins. Oggi vivono in una tenuta del Buckinghamshire, vicino alla residenza ufficiale di campagna dei primi ministri britannici. «Abbiamo avuto una vita meravigliosa insieme. Abbiamo davvero vissuto in una favola e non abbiamo mai perso la scintilla che ci ha uniti» • Dei due figli, Mark è diventato produttore cinematografico, Paul pilota automobilistico • Nove nipoti • Nel 2015 Helen ha scoperto di avere la demenza senile, lui ha investito un milione di sterline per trovare una cura. «La mia logica è basata su una frase che ho sentito spesso ripetere da John Lennon: non esistono problemi, ma solo soluzioni. La mia missione è quella di trovare una cura per la donna che amo da settant’anni e che mi aveva affascinato soprattutto per la sua testa, i suoi pensieri prima che con il suo sorriso».
Curiosità Alto 1 metro e 63, come la regina Elisabetta • Non ha l’iPhone perché non saprebbe distinguere le lettere sulla tastiera • Nel 1972 Roman Polanski, suo amico personale, lo seguì per un fine settimana durante un gran premio a Montecarlo e raccontò i dettagli della sua vita in Weekend of a Champion, un documentario di 80 minuti. «Lo si vede mentre si taglia facendosi la barba (“Ehi Roman, ti piace quando scorre il sangue nei tuoi film?”), mentre spiega con una sensualità che rasenta l’erotismo come bisogna trattare il pedale dell’acceleratore alla Rascasse, o a colazione mentre disegna le traiettorie del circuito usando una tavoletta di burro e un pompelmo tagliato a metà» (Mensurati) • Un suo autografo su eBay è venduto per 25 euro • «Cosa è cambiato rispetto ai suoi tempi in cui, come le è successo (record), si vinceva anche con due giri di vantaggio sul secondo? “Strutture, sicurezza, multinazionali coinvolte. Tutto, non il fascino”» (D’Orsi) • «Quali differenze tra essere pilota allora e oggi?
”Alla mia epoca dovevamo convivere con l’angoscia. I piloti moderni non sanno cosa voglia dire questa parola, cosa sia il dolore. Non sanno come comportarsi qualora dovessero affrontare una lunga serie di tragiche fatalità”» (Autosprint) • Per lui il miglior pilota di sempre è stato Juan Manuel Fangio. «Dinamico, meravigliosamente educato, ben vestito e soprattutto guidava magnificamente bene» • «Leclerc le piace? “È meraviglioso vedere una nuova stella mostrare il suo talento così presto, per Vettel dev’essere stato abbastanza difficile prendere atto della sua sicurezza”» (D’Orsi) • «Ha mai guidato una F1 moderna? “Sì, un paio di anni fa. Ma sono un po’ dislessico: non so usare tutti quei pulsanti!”. Le piace il rumore dei motori turbo? “Sì, anche se i fan sono contrari. E’ un passo avanti dal punto di vista del consumo, che diminuisce del 30 per cento, e da quello commerciale. Pensi agli amministratori delegati ospiti del paddock club: adesso possono parlare, mentre prima era impossibile”» (Mancini) • «Le piace ancora questo sport? “Lo adoro”» (D’Orsi).
Titoli di coda «Un giorno Helen e io decidemmo di fare un elenco di tutti gli amici che abbiamo perso a causa di incidenti durante le gare automobilistiche, ci siamo fermati quando abbiamo raggiunto quota 50…».