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 2020  giugno 03 Mercoledì calendario

Biografia di Roberto Gervaso

Roberto Gervaso (1937-2020). Scrittore. Giornalista. Laurea in Lettere moderne. Iniziò al Corriere della Sera. Da ultimo ha collaborato con Il Messaggero e Il Mattino. Per anni ha condotto su Retequattro Peste e corna & gocce di storia, breve editoriale su fatti di costume o di attualità. Moltissimi libri tradotti anche all’estero. Con Montanelli ha scritto i primi sei volumi della Storia d’Italia (Rizzoli). Grande intervistatore (domande e risposte brevissime). Divulgatore di biografie storiche (Cagliostro, Casanova, Claretta, Nerone, ecc.). Celebre per i suoi aforismi. «Vivevo a Torino con i miei genitori e con mia sorella e ho conosciuto, non dico la fame, ma il bisogno, gli stenti, che mi sono stati di grande insegnamento e hanno contribuito a plasmare il mio carattere. A scuola me la sono sempre cavata, ma la mia pagella era più irta di sei e di sette che di otto, di nove, di dieci. Un po’ meglio sono andato all’università, ma mi sono laureato a ventotto anni. E non perché battessi la fiacca, ma perché, a ventitré, con il viatico di Montanelli, entrai al Corriere della Sera. Ero reduce da un infelice viaggio negli Stati Uniti dove, con una borsa di studio Fulbright, avrei dovuto fermarmi due anni. Ma dopo soli tre mesi mi buscai un devastante esaurimento nervoso e dovetti rientrare in Italia. Al Corriere della Sera feci per un anno e mezzo il cronista di nera. Avevo i nervi a pezzi e atroci coliche renali, ma strinsi i denti e i pugni e mai cedetti alla tentazione di piantare tutto, di dire addio al giornalismo. Montanelli che – come me – ciclicamente soffriva di depressione, mi fu molto vicino. Quando si rese conto che non ce la facevo, ottenne il mio trasferimento a Roma, dove lui viveva con la moglie Colette. Io mi acquartierai a casa di mio nonno e delle mie quattro zie finché non mi emancipai e con i diritti d’autore del primo libro, L’Italia dei secoli bui, scritto a quattro mani con il grande Maestro, affittai una bellissima mansarda dietro piazza Navona. Più tardi conobbi Vittoria e ci sposammo. Lasciai il Corriere della Sera e scrissi su molti altri giornali, feci tanta radio e tanta televisione. Erano gli anni Settanta, la contestazione aveva lasciato nella società rovinosi strascichi di permissivismo e, insieme, d’intolleranza. Chi non militava a sinistra, era, ipso facto, di destra. E chi era di destra, non era un liberale, un conservatore, un moderato. Chi era di destra, era un fascista. Io, e non per eroismo, ma per temperamento, non abiurai la mia fede politica e questo mi valse le censure e gli anatemi di molti colleghi» [dal Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio]. Il suo nome era nella lista della P2 e Berlusconi sostiene che fu proprio lui a presentargli Licio Gelli. Indossava sempre e solo il papillon. Vegetariano per anni («perché lo era mamma»). Era presidente onorario dell’Esda (European sexual dysfunction alliance). «Trecento papillon, cento cappelli (“Tutti Borsalino, li porto sempre. Un po’ per proteggermi, un po’ per vezzo”), duecento donne amate (“Tu selezioni molto? Io per niente: ho preso di tutto nella vita, duchesse e commesse, miss e bruttine, anche una teologa, anche una zoppa, anche una balbuziente che ritrovava la parola solo a letto...”), una moglie bellissima (“che in un momento di distrazione si è invaghita di me”), una figlia (Veronica, “fa la giornalista...”), tre nipoti (“è come avere l’Isis in casa”), quattro case tra Milano, Palermo, Roma e la campagna romana, un formidabile elenco di malattie (“ne ho avute tante, ora ne ho ancora di più”), un Himalaya di medicine sparse per la villa (“vuoi qualche goccia di Lexotan?”), tre depressioni devastanti (“a 23, 34 e 70 anni, in tutto mi hanno portato via dieci anni di vita”), una vita vissuta “in uno stato di inquietudine perenne”, sessant’anni di carriera tra quotidiani, settimanali, radio e tv, duemila interviste entrate nella storia del giornalismo, 25mila aforismi usciti dalla sua intelligenza, 52 libri pubblicati e ottant’anni compiuti. Hai avuto tanto dalla vita.
“Ma ho dato tutto. Ho voluto fortissimamente il successo, per ambizione e per vanità, però ho pagato fino all’ultimo centesimo. E con la moneta più pesante: la salute”» [da un’intervista del 2017 a Luigi Mascheroni, Giornale].