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 2020  maggio 27 Mercoledì calendario

Biografia di Henry Kissinger


Henry Kissinger, nato a Fürth, nel nord della Baviera, il 27 maggio 1923 (97 anni). Politico. Famoso per essere stato consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca dal 1969 al 1975 e segretario di Stato dal 1973 al 1977 • «Il più astuto, machiavellico, bismarckiano, diplomatico del XX secolo» (Gianni Riotta) • «Il demiurgo della politica estera delle amministrazioni Nixon e Ford, l’architetto della distensione con Cina e Unione Sovietica, l’interprete di un nuovo modo di fare politica estera - la realpolitik - che consentì di porre le basi per una vittoria nella Guerra Fredda ottenuta venti anni dopo senza il ricorso alla forza» (La Stampa, 25/5/2003) • «Era una figura dominante. Intelligente, abile con la burocrazia, tattico: era lui che faceva la politica estera. Nessuno dopo di lui è mai riuscito ad esercitare tale influenza su un presidente» (il diplomatico americano Winston Lord) • «La sua biografia è oggetto di ricerche che rasentano il culto. Chiunque sa che è nato a Fürth, in Germania, nel 1923 […] Sa che la sua famiglia è ebrea, che quattordici dei suoi parenti morirono nei campi di concentramento, che insieme al padre e alla madre e al fratello Walter fuggì nel 1938 a Londra e poi a New York. A quel tempo aveva quindici anni e si chiamava Heinz, mica Henry, e non sapeva una parola d’inglese. Ma lo imparò molto presto» (Oriana Fallaci, L’Europeo, 16/11/1972) • Ispiratore del viaggio di Richard Nixon a Pechino del 1972 (che segnò l’avvio delle relazioni diplomatiche con la Cina popolare), del colpo di Stato contro Salvador Allende in Cile nel 1973 e della conferenza di Ginevra del 1975 tra arabi e israeliani. Premio Nobel per la pace nel 1973 per aver negoziato la fine della guerra in Vietnam • Cristopher Hitchens chiese di processarlo all’Aja per crimini contro l’umanità • Membro del gruppo Bilderberg, della commissione Trilaterale e del Comitato olimpico internazionale • «In Italia ha avuto tante passioni e amicizie e metterle in fila tutte è impossibile. Ci sono Gianni Agnelli, Cesare Romiti, Fabiano Fabiani di Finmeccanica, Giorgio Napolitano, “my best communist friend”. E poi con la sua Kissinger Associates le consulenze a Fiat, Montedison, Banca Nazionale del Lavoro. Infine c’è il demi-monde di Mario d’Urso e la casa di Letizia Boncompagni, la figlia di Pecci Blunt» (Giulio Meotti, Il Foglio, 31/5/2013) • Famoso per i suoi aneddoti. Della diplomazia ha detto: «Funziona soltanto quando si sa che i cannoni sparano davvero». Del potere: «È l’afrodisiaco supremo».
Titoli di testa «Dio che uomo di ghiaccio. Per tutta l’intervista non mutò mai quell’espressione senza espressione, quello sguardo ironico e duro, non alterò mai il tono di quella voce monotona, triste, sempre uguale» (Fallaci).
Vita «Aveva nove anni nel 1933, quando Hitler venne nominato Cancelliere. Era il figlio di un ebreo tedesco assimilato, un uomo pio, insegnante a Fürth, cittadina manifatturiera di 70 mila abitanti in Baviera, che l’aveva cresciuto nel culto di Goethe, Lessing e Felix Mendellsohn, votandolo all’ ideale della Bildung (la tradizione tedesca di auto-formazione). Da un giorno all’altro, si trovò braccato da bande di ragazzetti in camicia bruna, costretto a cambiare strada, a disertare la piscina, a fingersi cattolico per giocare a pallone. Nel 1938, alla viglia della Kristallnacht, la madre Paula Stern, figlia di un mercante di bestiame e perciò dotata di senso pratico, riuscì a ottenere un visto per l’America. Così la famigliola riparò a Washington Heights, Upper Manhattan, fra la comunità di ebrei tedeschi detta per scherzo The Fourth Reich, dove il vecchio padre, ormai vinto dalla vita, cercò di riciclarsi come contabile» (Marina Valensise, Il Messaggero, 12/5/2020) • Heinz di giorno lavora in una fabbrica di spazzole, la sera studia. Frequenta la George Washington High School, poi il City College a Brooklyn, è uno degli studenti migliori. Si mantiene facendo l’impiegato in un ufficio postale. Poi due anni di addestramento nei servizi segreti del Pentagono: lo impiegano come interprete, il suo comandante è un altro profugo tedesco, Fritz Kraemer • Nel 1943 Kissinger ottiene la cittadinanza del suo nuovo Paese. Nel 1945, sette anni dopo averla lasciata, torna in Germania con le truppe americane. Ha l’incarico di de-nazificare la città di Bensheim. «Un giorno si presenta da lui un corpulento tedesco che chiede di lavorare per la polizia. Prima di assumerlo Heinz-Henry scherza: “Era con la Gestapo?”. Una battuta, ma l’uomo non resiste, e orgoglioso urla: “Sì”. Il sergente Kissinger, anziché arrestarlo, gli chiede di fare un giro in jeep e di indicargli gli ex nazisti. Kissinger batte ogni record di arresti e guadagna una medaglia al valore. Un pragmatismo che rimarrà il suo segno caratteristico» (Meotti) • Dopo la guerra, è ammesso ad Harvard. Si laurea con lode nel 1950 con una tesi dal titolo Il senso della storia. «Un po’ ambizioso per uno studente universitario? Forse, ma a Harvard ero ancora indeciso su cosa avrei fatto nella vita, alle elementari mi piaceva la chimica, anche se poi mi resi conto che il merito era della memoria, poi presi in considerazione di diventare uno scrittore e fu questo che mi suscitò l’interesse per la filosofia e la storia» • Racconta l’economista Thomas Schelling: «Henry non era un tipo cordiale, amichevole, modesto e gioviale. Ad Harvard era considerato una delle persone più ansiose, instabili, impacciate, ambiziose e irrispettose» • Racconta il politologo Giovanni Sartori: «Ci siamo conosciuti ad Harvard, quando ebbi un primo incarico negli Stati Uniti. Faceva sorridere quel suo fortissimo accento tedesco, che ha conservato per tutta la vita. In ogni intervista televisiva rispondeva a qualsiasi domanda: “This is a big problem” con quell’intonazione germanica» • Nel 1954 prende anche un dottorato, sempre ad Harvard. Nella tesi, sul Congresso di Vienna, scrive: «La stabilità non è l’affannosa ricerca della pace ma di un consenso internazionale intorno a determinate convenzioni tra le grandi potenze, tra i più forti» • «Accanto agli impegni accademici e di studioso, Kissinger cominciò presto a svolgere attività di consulenza per organismi governativi e a stilare papers dedicati a temi di politica internazionale e di strategia militare. L’incontro con il miliardario repubblicano Nelson Rockfeller nel 1959 segnò una svolta nella sua vita e lo portò a stretto contatto con le strutture e gli uomini del potere politico. Cominciò infatti a collaborare con la presidenza Eisenhower e, successivamente, con quelle Kennedy e Johnson prima di stabilire con Richard Nixon quel rapporto, complesso ma quasi simbiotico che […] ha lasciato il segno nella storia mondiale » (Francesco Perfetti, Il Giornale, 20/1/2016) • «È l’inizio dell’autunno 1968, il culmine della campagna elettorale che ha dimezzato il partito democratico dopo il rifiuto del presidente Johnson di ricandidarsi, l’assassinio […] di Bob Kennedy e la scissione del senatore poeta Eugene McCarthy. Un ambizioso professore di Harvard, noto soprattutto per la sua amicizia col miliardario e governatore dello stato di New York Nelson Rockefeller e per i suoi trattati sul deterrente atomico, avvicina John Mitchell, il consigliere del candidato repubblicano alla presidenza Richard Nixon. “Sono in possesso di importanti informazioni sui negoziati segreti in corso a Parigi col Nord Vietnam”, gli dice. “I negoziati vengono condotti dal decano della nostra diplomazia, Haverell Harriman. Ho una talpa nella delegazione”. La guerra vietnamita condiziona le elezioni, per i repubblicani è cruciale conoscere in anticipo i disegni democratici. Mitchell lo riferisce a Nixon, che non si fida. “Il professore potrebbe fare il doppio gioco”, obbietta. “Johnson potrebbe averlo incaricato di darci informazioni false” […] Nixon ha ragione. Il professore di Harvard sta facendo il doppio gioco. Ma non nel senso che lui pensa. Lo sta facendo nel proprio interesse: gioca su due tavoli per arrivare in ogni caso alla Casa Bianca, vinca l’uno o vinca l’altro. A sua insaputa, ha infatti avvicinato anche il vicepresidente Hubert Humphrey, il candidato democratico, e gli ha offerto il dossier segreto di Rockefeller contro Nixon (dopo la sconfitta, Humphrey ammetterà: “Gli avevo serbato anch’io un posto nel governo”). Alla fine, Richard Nixon si lascerà convincere e accoglierà il professore nel proprio entourage. Dopo l’elezione, lo nominerà consigliere della Casa Bianca, e dopo la rielezione, nel ‘73, segretario di stato. Decollerà così la folgorante carriera di Henry Kissinger, il più grande diplomatico del nostro tempo» (Ennio Caretto, la Repubblica, 7/101992) • «Nel gennaio 1969, gli Stati Uniti erano in una condizione particolarmente complicata. Erano passati tre anni dall’inizio della guerra in Vietnam […] la protesta era diventata agguerrita e violenta. A livello internazionale, non avevamo rapporti con la Cina. I rapporti con l’Unione Sovietica erano congelati e i russi stavano costruendo una base sottomarina a Cuba. Quindi il presidente non era paranoico quando parlava di un problema di matrice comunista nel mondo» • «Kissinger approva i bombardamenti segreti sulla Cambogia, la guerra clandestina in Laos e, caduto Nixon, persuade il suo successore Gerald Ford a fornire armi all’Indonesia del dittatore Suharto, pur sapendo dei massacri che si preparavano a Timor Est [...] In più, il gusto perenne per il segreto, che mutua dai suoi modelli di politica estera, Metternich e Bismarck» (Gianni Riotta, Corriere della Sera, 3/12/2002) • Quando Salvador Allende diventa presidente del Cile, lui dice: «Non vedo alcuna ragione per cui ad un paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli» • Subito dopo il golpe in Argentina, ordina ai diplomatici americani di collaborare con la giunta militare. «William Rogers, allora sottosegretario per l’America latina, espose i dubbi umanitari: “Credo che dovremo aspettarci molte repressioni e che scorrerà una quantità di sangue”. “Sì, ma questo regime è nel nostro interesse. Per riuscire, ha bisogno di un po’ di incoraggiamento da noi”, replicò Kissinger. E ancora, questa volta al suo collega argentino Cesare Guazzetti, mandato nell’ottobre del 1976 per sondare gli umori di Washington intorno alla giunta di Jorge Videla: “Io sono della vecchia scuola, e sono convinto che gli amici debbano essere sostenuti. Il Congresso americano non si rende conto che siete alle prese con una guerra civile. Si preoccupa dei diritti umani senza badare al contesto. Non vi creeremo difficoltà inutili, ma se potete finire il lavoro prima che riprenda l’attività del Congresso sarà meglio”» (Meotti) • Alle soglie della guerra dello Yom Kippur, convince il presidente a non intervenire subito, di modo da rendere più malleabile il governo di Tel Aviv: «Let Israel bleed. Lasci che Israele sanguini» • «La sua vita privata è un inferno - ha divorziato dalla prima moglie, conta pochi amici - però la sua ascesa nel firmamento politico Usa è ormai inarrestabile […] Patricia Nixon lo disprezza: quando Henry si abbandona a sperticati elogi del marito, lo guarda freddo e ribatte: “Vedo che non è capace di leggergli nel cuore”. […] Dalla Casa Bianca, il grande Henry porterà le superpotenze fuori dalla rotta di collisione atomica, porrà fine alla guerra del Vietnam, medierà in Medio Oriente […] Kissinger non nutre illusioni sul presidente e viceversa. Chiama Nixon “quel vecchio ubriacone”, “un soggetto da manicomio”, “un cervello in polpette”. E il presidente lo ricambia. “Lo licenzierò se non andrà dallo psichiatra”, grida un giorno al suo pretoriano Hadelman, e ancora: “si meriterebbe un calcio nei coglioni, si comporta come se il presidente fosse lui”» (Caretto) • «Quest’uomo troppo famoso, troppo importante, troppo fortunato, che chiamano Superman, Superstar, Superkraut, e imbastisce alleanze paradossali, raggiunge accordi impossibili, tiene il mondo col fiato sospeso come se il mondo fosse la sua scolaresca di Harvard. Questo personaggio incredibile, inspiegabile, in fondo assurdo, che s’incontra con Mao Tse-tung quando vuole, entra nel Cremlino quando ne ha voglia, sveglia il presidente degli Stati Uniti e gli entra in camera quando lo ritiene opportuno. Questo quarantottenne con gli occhiali a stanghetta, dinanzi al quale James Bond diventa un’invenzione priva di pepe. Lui non spara, non fa a pugni, non salta da automobili in corsa come James Bond, però consiglia le guerre, finisce le guerre, decide del nostro destino e lo cambia […] Su di lui si scrivono libri come sulle grandi figure digerite ormai dalla storia. Libri sul tipo di quello che illustra la sua formazione politico culturale, Kissinger e gli usi del potere, dovuto all’ammirazione di un collega di università; libri sul tipo di quello che canta le sue doti di seduttore, Caro Henry, dovuto all’amore non corrisposto di una giornalista francese. Col suo collega di università non ha mai voluto parlare. Con la giornalista francese non è mai voluto andare a letto. A entrambi allude con una smorfia di sdegno ed entrambi li liquida con un gesto sprezzante della mano cicciuta: “Non capisce nulla”, “Non è vero nulla”» (Fallaci) • «Quell’intervista è da allora di testo nelle scuole di giornalismo. Kissinger provò a smentirla, Oriana tirò fuori un nastro, Mike Wallace, il suo amico e stella della rete tv Cbs, volle farlo ascoltare in diretta, il tono gutturale tedesco di Kissinger venne fuori distorto, polemiche, urla, smentite ma la vinse Oriana. Con Mao Kissinger se l’era cavata, con Zhou En Lai non aveva avuto problemi, con Breznev, il vietnamita Le Duc Tho e alla Casa Bianca col cinico Nixon aveva regnato. Oriana l’aveva smontato e ce l’ha fatto vedere come forse è, come nessuno saprà mai più. “Fu l’incontro più disastroso con un giornalista della mia vita” scrisse Kissinger nelle sue memorie» (Riotta) • «In fatto di donne, come di realpolitik, Kissinger s’ispira a Metternich, inveterato Casanova: compare in pubblico con le più appetitose star di Hollywood del tempo, Shirley MacLaine, Jill St.John - a cui fa la corte anche Breznev - Samantha Eggar e Candice Bergen» (Caretto), anche se, secondo il suo biografo Isaacson, «le scortava in pubblico, non in camera» • «A Stoccolma, gli dettero perfino il premio Nobel per la Pace. Povero Nobel. Povera Pace» (Fallaci) • Durante la presidenza Ford Kissinger viene spesso contestato. «Nella sua egoistica scalata, si è fatto dei nemici, due dei quali sono Reagan e Bush. Ha trattato Bush talmente male che questi ha preso a evitarlo, protestando: “Perché dovrei mangiare tanta merda?”. Nell’80, dopo la breve parentesi democratica di Carter, Reagan, che non ha mai creduto nella distensione e vuole accelerare la corsa agli armamenti per mettere il Cremlino ko, gli chiuderà in faccia le porte della Casa Bianca» (Ennio Caretto) • Dice ancora Giovanni Sartori: «Finita la presidenza Nixon, si ritirò nel silenzio. Fui io a riportarlo alla ribalta nel 1977, quando organizzai a Washington, con l’American Enterprise Institute, un grande convegno per discutere dell’eurocomunismo, dopo che i fatti cileni avevano spaventato persino Enrico Berlinguer e il Pci di allora. Accettò il mio invito, parlò davanti ad un’aula gremitissima. Da allora non si fermò più» • «Sarà un esilio d’oro: Kissinger guadagnerà 8 milioni di dollari, 8 miliardi di lire annue» (Caretto) • «Quando lascia Washington, per fondare la sua società di consulenze, porta con sé migliaia di pagine di documenti riservati, che non ha mai voluto restituire, malgrado le pressioni dei democratici» (Riotta) • «È l’attrice e regista norvegese Liv Ullman a fornirci l’immagine più ficcante del più potente segretario di stato nella storia americana: “È come se ci fosse un’aureola sul suo capo”. Superata la soglia dei novant’anni, l’aureola non è scomparsa» (Meotti).
Vita privata Due matrimoni. Dal 1949 al 1964 con Ann Fleischer, divorziarono. Dal 1974 con Nancy Maginnes. Vivono tra Kent, nel Connecticut, e New York • Due figli, dalla prima moglie: Elizabeth e David.
Curiosità Non ha mai perso l’accento tedesco • Gli piacciono gli scacchi • Gioca anche a Diplomacy, gioco da tavolo ambientato in Europa nel periodo tra le due guerre • Di Trump dice: «Penso che sia una di quelle figure nella storia che arriva per marcare la fine di un’era e smascherare le finzioni. Magari lui non ne è consapevole. Potrebbe essere solo un caso» • «Nel suo Cina ha teorizzato che mentre la tradizione occidentale esalta gli scontri decisivi, la Cina privilegia le tortuosità, il paziente e graduale consolidamento delle posizioni di relativo vantaggio. Un concetto riassunto nel weiqi, gioco da tavolo con 180 pezzi per parte. Nel weiqi si perseguono diversi obiettivi contemporaneamente, non serve lo scacco matto, basta un vantaggio minimo, che l’occhio non esperto, non cinese, non saprebbe cogliere. Invasione morbida» • È molto rispettato in Cina. Sui media governativi di Pechino viene sempre definito «emerito statista, e vecchio amico del popolo cinese». Xi Jinping tiene i suoi libri nella propria biblioteca personale •  «In questo periodo della mia vita non ho interesse a vincere una sfida di popolarità su Google. Devo riflettere su ciò che ho fatto, scrivere ed essere fatalista a riguardo» • «Per tutta la vita ho cercato di rendere il mondo più pacifico. Ho cercato di prevenire una guerra catastrofica e indirizzare l’America verso una direzione più stabile. È difficile dire se tutto questo mi sarà mai riconosciuto» • «Nel bene e nel male, le principali decisioni riflettevano le mie convinzioni. Rifarei tutto quello che ho fatto. Anche le parti più dolorose, come il Vietnam […] Non le darò una risposta adeguata a quello che vuole sapere, anche se so che il pubblico resterebbe maggiormente colpito da un mio mea culpa».
Titoli di coda «La cosa più bella dell’essere famosi è questa: quando finisci per annoiare una persona, questa pensa che sia colpa sua».