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 2020  maggio 20 Mercoledì calendario

Biografia di Hailé Mariàm Menghistu


Hailé Mariàm Menghistu, nato in una località imprecisata dell’Abissinia meridionale il 21 maggio 1937 (83 anni). Uomo politico. Militare. Dittatore dell’Etiopia dal 1977 al 1991 • «Il Negus rosso» • «La fotocopia africana di Saddam» • «Lo Stalin nero d’Etiopia» • Fu tra gli ufficiali dell’esercito che detronizzarono il vecchio Hailé Selassie nel 1974, emerse subito come capo indiscusso del nuovo regime. Dal 1977 al 1987 fu presidente del governo militare provvisorio dell’Etiopia socialista. Dal 1984 divenne segretario generale del Partito dei lavoratori d’Etiopia. Dal 1987 presidente della Repubblica popolare democratica etiope • Considerato responsabile del periodo del Terrore Rosso tra il 1977 e il 1978, delle guerre contro la Somalia e l’Eritrea, di vari scontri interetnici e della grande carestia etiope del 1983-1985, che si stima abbia ucciso più di un milione di persone. Abbandonò il potere il 21 maggio 1991 e fuggì in aereo verso lo Zimbabwe quando l’armata ribelle Tigrai stava per prendere la capitale • Nel 2008 è stato condannato a morte in contumacia dalla corte suprema etiope. Con lui, erano sotto processo sessantatré responsabili del suo regime, accusati complessivamente di 221 capi d’imputazione. Tra loro figuravano l’ex primo ministro Fikré Sélassié Wogderesse e l’ex vice presidente Fisseha Desta • «Eppure quell’uomo, che resse l’Etiopia con pugno di ferro, fu direttamente responsabile di eccidi spaventosi, scatenò una furibonda repressione dei nemici politici facendo letteralmente scorrere fiumi di sangue nelle vie di Addis Abeba, usò le carestie come arma di governo e rovesciò sugli eritrei valanghe di bombe, è anche, davvero, un’ombra del passato. Appartiene a un mondo scomparso. Il suo regime marxista, sorretto dall’Unione Sovietica con mezzi militari, finanziari, diplomatici, crollò all’indomani della fine della guerra fredda. I suoi amici politici italiani, che procurarono al suo Paese affamato ingenti aiuti umanitari, sono scomparsi anch’essi. Il processo, trascinatosi per un tempo lunghissimo, si è concluso nell’indifferenza generale» (Pietro Veronese, la Repubblica, 13/12/2006) • Dal 1991 vive in esilio nello Zimbabwe, dove si rifugiò, ospite di Mugabe. Divide il suo tempo tra una villa a Harare e una grande proprietà in campagna • Ha detto: «Sono solo un militare, ho fatto quello che ho fatto solo perché bisognava salvare il mio paese da tribalismo e feudalismo».
Titoli di testa «Allo scoccare delle dieci, i quattro procuratori speciali, seguiti dal presidente della corte, entrano nella grande aula dell’ex ministero della Pianificazione, il cui soffitto è ancora ornato con la falce e il martello, simbolo del regime che stanno per giudicare. Poi i 45 accusati, ex ministri, dirigenti del partito o ufficiali del decaduto regime comunista del colonnello Menghistu, si sistemano sul loro banco. Sono solo i primi del migliaio di co-accusati che seguiranno. “Il colonnello Mengistu Hailé Mariam?” scandisce il presidente, come richiede la legge. “Assente”, risponde il procuratore» (Jean-Philippe Ceppi, Le Monde, 14/12/1994).
Vita Origini umili. Suo padre, Haile Mariam, è un ex schiavo di etnia Amhara, reclutato dai carabinieri durante l’occupazione italiana, riciclatosi nelle truppe del negus a guerra finita. Sua madre, domestica alla corte imperiale, si dice sia figlia illegittima di alto funzionario del negus: la madre di lei era una delle ragazze che reggono il parasole della sovrana, la notte dormiva per terra una stanza accanto a quella di lei e aveva fatto voto di castità. Una volta rimasta incinta, l’imperatrice Zauditù avrebbe dovuto condannarla a morte, ma si era limitata a cacciarla da palazzo • Menghistu ha un’infanzia difficile. Frequenta la scuola ma non è bravo: gli altri ragazzi dicono che non ha la pazienza necessaria per leggere un libro dall’inizio alla fine. Molla gli studi prima delle superiori. Sua madre muore quando lui ha otto anni. Suo padre, che dopo la fine della seconda guerra mondiale si è riciclato nell’esercito abissino ed è diventato caporale, si dà all’alcol e lo picchia • Dal padre ha ereditato la pelle scura. «Gli etiopi, si sa, non sono negri, ma Menghistu ha invece tratti negroidi» (Igor Man, La Stampa, 22/5/1991). I suoi compagni lo prendono in giro: lo chiamano «baria», schiavo • Diventa rissoso e attaccabrighe • Decide di entrare nell’esercito. «Ricordo questo Mariam quando, ancora capitano, veniva a Palazzo. Sua madre faceva la domestica a corte. Non so chi gli avesse reso possibile frequentare l’accademia militare e diplomarsi. Era un tipo snello, minuto, che dava l’impressione di essere sempre teso, ma con una grande capacità di dominarsi. Conosceva a menadito la distribuzione interna del Palazzo, sapeva perfettamente chi fossero i vari personaggi e chi bisognasse arrestare affinché la corte smettesse di funzionare, perdesse forza e potere e si trasformasse in quel vuoto modellino architettonico che giace in abbandono sotto gli occhi di tutti» (Kapuściński) • Si diploma alla scuola ufficiali. Diventa colonnello nel 1957 • Negli anni Sessanta, lo mandano per sei mesi negli Stati Uniti per fargli vedere gli ultimi ritrovati in fatto di tecnologia bellica. Lì si accorge di quanto sia arretrato il suo Paese. «Hailé Selassié lo governava con pugno di ferro. A corte il protocollo era rigidissimo. I visitatori dovevano inchinarsi tre volte procedendo nella sala delle udienze, e altrettante quando si congedavano, procedendo a ritroso. Il Re dei Re, Leone di Giuda, Negus Neghesti, andava in giro in una Rolls Royce verde, e secondo la leggenda teneva nei giardini del “ghebi”, il palazzo imperiale, trenta leoni in libertà (a dire il vero erano solo due, legati a solide catene, e sono ancora vivi; si aggirano spelacchiati in una gabbia nel parco principale della città)» (Giuseppe Josca) • In Etiopia nove decimi degli abitanti sono analfabeti. Ogni anno metà dei neonati muore di fame. Scuole, ospedali e fabbriche esistono solo nelle città. In campagna c’è ancora la servitù della gleba e i contadini devono consegnare il raccolto alla Chiesa copta, alla famiglia imperiale e all’aristocrazia • Il negus dice: «Non si cambia in una settimana quello che è rimasto immutato da millenni» • «Ma i suoi sudditi avevano fretta. All’inizio del 1974 scesero in piazza gli insegnanti e i conducenti di autobus. Poi si mossero gli studenti, gli operai, perfino i preti e le 50 mila prostitute della capitale, alle quali il governo voleva imporre prezzi “calmierati”. Dietro le quinte, i giovani ufficiali dell’esercito pilotavano la  “rivoluzione strisciante”. Le guarnigioni si ammutinavano una dopo l’altra. Dozzine di notabili, ministri, giudici vennero arrestati. Hailè Selassié cercò di correre ai ripari. Andava al mercato, distribuendo manciate di banconote alla folla (uno gli gridò: “Il tempo dell’elemosina è finito”). Il 23 luglio, giorno del suo 83esimo compleanno, si affacciò magnanimamente al balcone del “ghebi”, cosa che non faceva da anni. Prometteva riforme, inchieste sulla corruzione, una nuova Costituzione. Nulla valse a fermare la rivolta, né a salvare la monarchia» • «Alla fine di agosto del ‘74, Menghistu e gli altri capi ribelli (tutti ufficiali della Guardia Imperiale) vennero a comunicargli, dopo gl’inchini di prammatica, che il popolo aveva deciso di confiscargli tutti i beni pur lasciandogli l’uso del Palazzo in cui abitava (ne possedeva quindici) insieme alla sua Corte. Il Negus rispose che se questo voleva il popolo, lui stava col popolo. Allora i ribelli lo invitarono ad assistere alla proiezione di un documentario che s’intitolava Etiopia: la fame ignorata, in cui si dimostrava che la fame era dovuta agli sprechi e alle razzie della Casa Imperiale e dei suoi favoriti che avevano trasferito nelle banche svizzere e inglesi i capitali estorti allo Stato, cioè al popolo, e che sarebbero ammontati a oltre quattro miliardi di dollari. Il Negus espresse il suo apprezzamento per il film, ma quando i ribelli gli chiesero, sempre in nome del popolo, di richiamare quei soldi, rispose che non aveva una lira. Vista l’inutilità della loro richiesta, pochi giorni dopo, cioè il 12 settembre, Menghistu e i suoi gli lessero l’atto di deposizione, e il Negus Neghesti rispose che se questo voleva il popolo, lo voleva anche lui. L’indomani lo caricarono su una jeep, e lo  trasferirono in un altro palazzo fuori città e molto meno confortevole, intitolato a Menelik, mentre tutto il personale di Corte e la nomenclatura del vecchio regime cadevano sotto i mitra dei plotoni di esecuzione» (Indro Montanelli, Corriere della Sera, 5/2/2001) • «Per la prima volta - che fu anche l’ultima - questo sovrano coraggioso ma cauto e rotto a tutti i tradimenti si lasciò sorprendere» (Indo Montanelli, Corriere della Sera, 11/8/1995) • Racconta Menghistu: «Selassié era vecchio, malato e nessuno lo amava. In passato aveva avuto idee progressiste e moderne, ma ormai aveva fatto il suo tempo. Non avevo nulla contro di lui sul piano personale, ma il popolo ci aveva chiesto di rovesciarlo e così io e i miei colleghi dell’esercito abbiamo fatto» (da Riccardo Orizio, Parola del diavolo. Sulle tracce degli ex dittatori, Editori Laterza, RomaBari, 2002) • Centododici ufficiali dell’esercito dichiarano decaduta la monarchia e formano un governo militare provvisorio. Per un anno tengono il negus segregato in una prigione dorata. «Alla fine l’ottantenne “re dei re” era stato eliminato, soffocato con un cuscino. Proprio il cuscino era uno dei simboli regali di Haile, un servitore era addetto a portare il guanciale reale ovunque andasse il monarca. Menghistu aveva poi voluto porre le sue ossa sotto i suoi piedi, facendole murare sotto l’ufficio, per poterci camminare sopra in modo che “il suo fantasma non uscisse dalla tomba per perseguitarlo”» (Stefano Citati, la Repubblica, 5/11/2000) • La monarchia è dichiarata decaduta. Le terre vengono nazionalizzate, la servitù della gleba è abolita. «La nostra lotta è parte del movimento socialista internazionale, la nostra libertà è parte integrante della liberazione dell’umanità» • Più di 60 mila studenti vengono inviati nelle campagne a catechizzare i contadini con il nuovo verbo rivoluzionario. Molti muoiono di stenti e di malattie, molti vengono assassinati dai rappresentanti dei proprietari terrieri. A un certo punto qualcuno prova anche ad assassinare Menghistu, che decide di reagire con le maniere forti. «Di fronte al terrore bianco degli anarco-fascisti bisogna instaurare il terrore rosso» • «Per lunghi mesi le notti di Addis Abeba risuonarono di grida e di spari, all’alba i cadaveri giacevano a decine per le vie. Le mura delle carceri soffocavano le urla dei torturati. Il Paese si riempì di fosse comuni» (Veronese). Decine di migliaia di persone, sospettate di essere «nemiche della rivoluzione» vengono assassinate e fatte a pezzi nei modi più brutali. I loro corpi vengono lasciati in mezzo alla strada. Da un rapporto della ong Human Rights Watch: «Quelli che tra le montagne di cadaveri cercavano i resti dei loro amici venivano essi stessi arrestati e giustiziati» • Uno degli slogan dice: «Per ogni rivoluzionario abbattuto, mille contro-rivoluzionari moriranno» • Menghistu non si ferma davanti a niente, elimina sia avversari sia presunti amici. Manda a morte Atnafu Abaté, suo fidato collaboratore, che potrebbe fargli ombra. «La persecuzione è violenta. In due anni elimina, sistematicamente, tutti i potenziali avversari, compresi i membri della chiesa etiope, tra cui il patriarca Theophilos, i sostenitori del movimento di opposizione alla sua giunta militare, studenti, intellettuali e politici» (Angelo Ferrari, Agi, 30/11/2017) • Va ad abitare nel vecchio palazzo del negus. Mantiene i paggi, i leoni al guinzaglio, la Cadillac e lo champagne. Si fa chiamare: compagno Mengistu Haile Mariam, capo del comitato centrale del partito dei lavoratori d’Etiopia, presidente della repubblica popolare democratica etiope e comandante in capo delle forze armate. In tutte le scuole gli studenti lo chiamano «Il padre» • «I ministri stanno sull’attenti in sua presenza e non azzardano opinioni dissenzienti. Nelle sue rare apparizioni in Addis Abeba, il leader etiopico sta seduto su una specie di trono, una sedia laccata d’oro rivestita di velluto rosso posta al di sopra e di fronte alle sedie meno ornate fornite per le altre figure di spicco del regime. In questo ed in altri modi, Menghistu Haile Mariam è una figura che resta nel solco della tradizione etiope che può essere considerata come un monarca, un imperatore, un successore di Haile Selassie e di Menelik» (David A. Korn, Ethiopia, the United States and the Soviet Union, Southern Illinois University Press, 1986) • Nel 1981 festeggia i cinque anni della rivoluzione: «Alcuni potrebbero dichiarare che questo periodo rivoluzionario è caratterizzato dal terrore, dall’anarchia e dallo spargimento di sangue dilaganti. Sono proprio questi i responsabili del terrore, dell’anarchia e dello spargimento di sangue. Al contrario, tutti coloro che hanno fatto sacrifici per difendere la loro unità storica e che stanno lottando per il socialismo e la democrazia, ricordano gli ultimi cinque anni di rivoluzione con gioia» • Dichiara guerra ai movimenti indipendentisti tigrini, oromo ed eritrei. «Li combattemmo quando tentarono di smembrare lo Stato. Dovrei farmi perdonare per questo?» • Quando il dittatore della Somalia Siad Barre invade l’Ogaden, capisce che ha bisogno di un esercito più potente. «Bussai alla porta degli americani, dicendo: “Sono dalla vostra parte, tra i nostri due paesi c’è sempre stata amicizia, l’Etiopia ha perfino inviato truppe per combattere al vostro fianco nella guerra di Corea. Ora aiutateci a ricostruire e a svilupparci”. Loro mi risposero che erano troppo impegnati con il Vietnam e non erano interessati all’Africa dal punto di vista strategico. Bussai alla porta della Cina, e la risposta fu no. Allora andai a Mosca. C’era Leonid Brežnev, mi ricordo ancora benissimo quando mi abbracciò la prima volta al Cremlino [...] Gli spiegai la situazione e lui mi rispose: “Colonello, eccetto la bomba atomica, il mio paese è pronto a darle tutto ciò di cui crede di aver bisogno”. E così fu. L’Urss ci aiutò con i fatti e non solo con le parole. Da quel momento Brežnev divenne per me come un padre. Ci siamo visti altre dodici volte, sempre in Unione Sovietica. Ogni volta, prima di parlare dei nostri problemi, gli dicevo: “Compagno Leonid, io sono tuo figlio, ti devo tutto”» (Orizio) • «Con l’aiuto di Mosca, Menghistu costruì il più potente esercito africano a sud del Sahara. Contava quattrocentomila soldati, possedeva razzi e armi chimiche» (Kapuściński) • Negli anni Ottanta, Mosca dispone di 5 mila consiglieri, diplomatici e spie in Etiopia. I russi si servono del regime e Menghistu, per dimostrarsi leale, erige una statua di Lenin ad Addis Abeba e dice che Mao è un «revisionista reazionario» • Anche gli italiani, nonostante la sua alleanza con i russi, sono benevoli con lui. «Alla fine degli anni 80 viene gratificato con il più dispendioso progetto di cooperazione mai finanziato da Roma: 800 miliardi di lire (gestiti dal Fai, il Fondo Aiuti Italiani di Francesco Forte) destinati al Tana Beles. Il progetto agroindustriale è faraonico e per realizzarlo viene sbancata un’intera foresta di bambù e la popolazione locale, gli shangilla, vengono deportati a migliaia di chilometri di distanza. Oggi non resta più niente» (Alberizzi) • Lui dice: «A Bettino Craxi sarò sempre grato per aver appoggiato il progetto agricolo nella valle del Tana Beles, un magnifico e generoso regalo italiano» • Ma la sua parabola è in declino. Quando, nell’inverno 1984 scoppia una nuova carestia, decide di trasferire 8 milioni di contadini in villaggi modello. L’operazione diventa una catastrofe umanitaria. Tentano di assassinarlo nove volte e i partiti d’opposizione cominciano a fargli la guerra apertamente. «Non è vero che sono rimasto indifferente di fronte alle carestie. Le dighe del Tana Beles e gli spostamenti delle popolazioni rurali li ho concepiti proprio per far sì che le carestie non si ripetessero più. La guerra non ero io a volerla; io mi ci sono trovato dentro e ho solo cercato di vincerla» • «Il paese era nel caos. Una classe sociale, quella legata al passato, quella dei privilegiati, attaccava i lavoratori, che volevano progresso. Milioni di persone venivano nella capitale e chiedevano: “O ci difendete o ci date le armi per difenderci da soli”. Era una battaglia. Io non ho fatto altro che combatterla» • Tutto finisce con il crollo del muro di Berlino. «Siamo stati tutti traditi da Gorbaciov: quel controrivoluzionario ha distrutto l’Unione Sovietica consegnando il mondo agli americani e rovesciando tutti gli equilibri. Altro che premio Nobel per la pace: armava i miei nemici e a parole mi blandiva. Smisi di telefonargli. Avevo capito che mentiva. Erano giorni molto difficili: noi non sapevamo più chi era l’amico e chi il nemico» • Prova a riavvicinarsi agli americani, strizza gli occhi agli israeliani, che con un ponte aereo portano a Tel Aviv tutti gli ebrei etiopi. Ma ormai è tardi. Nel 1989 supera a fatica un colpo di Stato. Quando, il 22 maggio 1991, tigrini e eritrei entrano ad Addis Abeba e ad Asmara, lui scompare. La versione ufficiale dice che «si è dimesso per evitare al paese un bagno di sangue». In realtà è salito su un aereo diretto nello Zimbabwe. «Il presidente-dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe, gli è legato da un profondo debito di gratitudine, perché Menghistu lo aiutò nei tempi lontani della guerriglia. Un’estradizione è del tutto improbabile» (Veronese) • «Se ho fallito è solo perché mi hanno tradito. Il cosiddetto genocidio è stato solo una giusta guerra in difesa della rivoluzione, di un sistema del quale hanno beneficato tutti» • «Amo l’Etiopia più della mia stessa vita».
Vita privata Sposato dal 1968 con Wubanchi Bishaw «spesso descritta come una donna buona, gentile e devota» (Jay Nordlinger, Children of Monsters, Encounter Books, 2015) • Tre figli: due maschi, Tigist e Andenet, e una femmina, Tilahun. Tigist significa «pazienza», Andenet «unità» e Tilahun è la parola usata per indicare un ombrello che ripara dal sole • Di loro si sa poco o nulla. Un giornale dello Zimbabwe scoprì che Tilahun è diventata un medico, quando provarono a intervistarla lei confermò di essere la figlia di Menghistu, ma disse: «Mi rifiuto di parlare della mia permanenza in questo Paese con la stampa. Sareste così gentili da lasciare in pace me e la mia famiglia?»
Curiosità Finché Mugabe era vivo, aveva l’incarico di consigliere per la sicurezza per il governo dello Zimbabwe • Gli piace il tennis • «La democrazia va bene in Europa. In Africa ci sono altre tradizioni. Guarda l’Etiopia di oggi: dicono di aver introdotto il pluralismo. Invece hanno reintrodotto il tribalismo. Ciascuno sta dalla parte della propria tribù o della propria religione, non dalla parte di un partito» • «Come diciamo noi in Etiopia, il mondo insiste nel volerci regalare delle belle scarpe nuove. E noi dobbiamo adattare i nostri piedi a queste scarpe. Ma a volte le scarpe fanno così male che la gente le butta via. Capisce il paradosso? Invece di adattare le scarpe ai nostri piedi, voi occidentali ci chiedete l’opposto. In fondo, i sandali che offrivo io non erano poi da buttar via» (a Orizio).
Titoli di coda «Protetto insieme ai familiari dietro la cinta di muratura e filo spinato della sua villa nella zona di Gunhill, ad Harare, Menghistu Haile Mariam tornerà presto nel dimenticatoio. Continuerà ad invecchiare sulle verdi colline dello Zimbabwe; un giorno, non sappiamo quanto lontano, avremo notizia della sua morte» (Veronese).