Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 14 Giovedì calendario

Biografia di Madeleine Albright


Madeleine Albright, nata a Praga il 15 maggio 1937 (83 anni). Politico. Conosciuta per essere stata segretario di Stato americano tra il 1997 e il 2001, durante il secondo mandato dell’amministrazione Clinton • «La dama di ferro» • «Una delle donne più potenti del XX secolo» • «Tra le massime esperte americane di politica internazionale» • Figlia di un diplomatico cecoslovacco, il suo vero nome è Marie Jana Korbelová. La sua famiglia emigrò in Inghilterra per scappare dai nazisti nel 1938, tornò in patria alla fine della seconda guerra mondiale, ma dovette fuggire di nuovo dopo l’avvento del regime comunista. Madeleine arrivò negli Stati Uniti nel 1948 e divenne cittadina americana nel 1957 • Già rappresentante permanente degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite (1993-1997). Già consigliere di Bill Clinton, di Hillary Clinton e di Barack Obama. Prima donna nella storia a diventare capo della diplomazia a stelle e strisce • «Nessun altro Segretario di Stato avrebbe potuto scrivere un appunto come questo, del 27 gennaio 1998: “1) Chiamare senatore Helms; 2) chiamare re Hussein; 3) chiamare ministro degli Esteri Moussa; 4) chiamare altri membri del Congresso; 5) preparare riunione sulla Cina; 6) comprare yogurt senza grassi”» (Pietro Veronese, la Repubblica, 21/9/2003) • «Nel 1996 la giornalista Lesley Stahl [le domandò, ndr] se valesse la pena causare la morte di mezzo milione di bambini per via delle sanzioni imposte allo scopo di rovesciare Saddam Hussein. La Albright, che forse proprio per queste posizioni venne promossa segretario di Stato da Bill Clinton, rispose che si trattava di una scelta difficile, ma che sì, ne valeva la pena» (Alessandro Di Battista, Il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2020) • «Era conosciuta come “Madame War”. Nessuno pensava fosse un complimento. Austera e con un profilo aquilino [...] sembrava essere il militante del gabinetto di Bill Clinton [...] Fu lei che spronò la NATO alla battaglia per la prima volta in cinquanta anni, in Kosovo, fu lei che cacciò un segretario generale delle Nazioni Unite per la sua riluttanza a piegarsi alla volontà Usa e fece ramanzine a molti paesi per il loro comportamento. Gli Stati Uniti, amava dire, sono la “nazione indispensabile”» (Michael Hirsh, Newsweek, 10/7/2000) • «Il periodo in cui fu in carica è stato l’ultimo in cui la supremazia americana rimase incontrastata. In Russia si discuteva ancora la possibilità di integrarsi in Europa e l’ascesa di Putin era appena iniziata. La Cina era solo un’economia emergente. La Corea del Nord non aveva ancora la bomba e il programma nucleare iraniano era nato da poco. E due decenni di guerra in Afghanistan e in Iraq erano di là da venire» (David E. Sanger, New York Times, 23/4/2020) • «I diplomatici in privato si lamentavano per il suo comportamento, in patria era derisa per la sua fissazione nell’impegnare la potenza americana in ogni situazione, dal Kosovo all’Iraq» (Hirsh) • «Sono uscita da un’Europa in cui erano stati fatti grossi errori perché delle brave persone avevano perso troppo tempo prima di decidere cosa fare… Io credo nel potere americano. Questa è la mia filosofia politica e il mio modo di vedere la politica estera, aggiunto alla mia personalità» (Michael Hirsh, Newsweek, 29/3/1999).
Titoli di testa «“Ero appena diventata ambasciatrice americana all’Onu, e ricevevo parecchie lettere. Ne arrivò una dalla Serbia, dentro c’era scritta una sola frase: ‘Sappiamo che sei una cagna ebrea’”. Così Madeleine Albright cominciò a sospettare la verità sulla sua vita. “Era l’epoca della guerra in Jugoslavia: quella lettera la buttai via e non ci feci troppo caso. Mi arrivavano anche missive dalla Cecoslovacchia, presunti parenti chiedevano soldi. Nel novembre 1996, però, ne ricevetti una molto dettagliata. Era scritta in ceco e aveva tutti i particolari giusti: il paese della mia famiglia, i nomi, le date. Diceva che ero ebrea, che i miei parenti erano morti nell’Olocausto. Era il periodo in cui stavo facendo le audizioni per essere confermata come segretario di Stato, e l’avvocato della Casa Bianca, che le conduceva, mi domandò: ‘C’è qualcosa che non le abbiamo chiesto, che dovremmo sapere?’. Risposi di sì: ‘Non ne sono sicura neppure io, ma ci sono buone possibilità che sia di origini ebraiche’. L’avvocato scrollò le spalle e disse: ‘E allora? Il presidente non è mica antisemita’. La storia finì lì, ma cominciai a parlare con i miei figli della necessità di indagare. Poi, all’inizio del 1997, un giornalista del Washington Post venne da me con la conferma: non solo ero ebrea, ma due dozzine di miei parenti erano stati uccisi dai nazisti”» (Paolo Mastrolilli, La Stampa, 26/4/2012).
Vita «Figlia di un ebreo - ora lo si sa - boemo, Josef Korbel e di sua moglie, anch’essa israelita, Mandula Spiegel» (Vittorio Zucconi, la Repubblica, 13/2/1997) • Il padre è un diplomatico fedele ai governi democratici di Tomáš Masaryk e Edvard Beneš. Sono anni difficili, Hitler vuole cancellare la Cecoslovacchia dalle mappe geografiche: «Avevo 22 mesi quando i nazisti invasero il Paese. Pochi giorni dopo scappammo a Londra» • Grazie ai suoi agganci il padre riesce a mettere in salvo la famiglia. Durante la guerra, cura le trasmissioni radiofoniche del governo cecoslovacco in esilio. «Il prezzo della salvezza, sappiamo ora, fu la sua conversione pubblica al cattolicesimo dominante in quella ex provincia dell’impero asburgico. Una conversione che volle essere, prima di tutto, un segnale di lealtà patriottica nei confronti di una classe dirigente che guardava all’ebraismo e al sionismo come sintomi di slealtà e di non appartenenza. La giovane Ann Marie, poi divenuta Madeleine nel convitto di suore inglese dove fu educata, crebbe ignorando la sue origini. Celebrando con grande intensità i Natali, le Pasque, le Comunioni, le Cresime, i riti e le ricorrenze di una fede che lei credeva fosse appartenuta da sempre alla sua famiglia. Ma mentre i Korbel in esilio cercavano di dimenticare, di ignorare, la loro appartenenza religiosa di origine, non se ne dimenticavano i nazisti. Tre dei quattro nonni di Madeleine, una zia e altri parenti più lontani morirono nei campi di sterminio» (Zucconi) • Alla fine della guerra, i Korbel riescono a tronare in patria, ma è una parentesi che dura poco. In Cecoslovacchia vanno al potere i comunisti, cominciano sanguinose epurazioni, e nel 1948 Josep è costretto a fare di nuovo i bagagli • Madeleine e la sua famiglia sbarcano a Ellis Island dalla nave America l’11 novembre. Lei ha 11 anni e mezzo. «Non dimenticherò mai quando entrammo nel porto di New York e per la prima volta vidi la Statua della Libertà. Sul piedistallo c’era e c’è una targa di bronzo con i famosi versi di Emma Lazarus: “Datemi le vostre genti stanche, i vostri poveri, le vostre masse accalcate che anelano a respirare libere”» • «Andarono ad abitare a Denver, dove il padre insegnava all’università. Tra le sue allieve avrebbe avuto anche una ragazza nera molto studiosa e precisa, di nome Condoleezza Rice. Madeleine si laureò in scienze politiche al Wellesley College e si sposò con Joseph Medill Patterson Albright, erede di una ricca famiglia di editori di giornali: “Allora mi convertii e divenni episcopaliana, per il matrimonio”» (Mastrolilli) • Una donna sposata, in quegli anni, è bene che non vada a lavorare. Racconta Madeleine: «Spesso le donne non si aiutano a vicenda. Io ho avuto due gemelli, e dopo mi sono rimessa a studiare. Chi mi ha creato più difficoltà sono state proprio le donne, che mi chiedevano perché non rimanevo con i miei figli. In parte, questo ha a che fare con la gelosia, e in parte è una proiezione della propria debolezza» (ad Amanda Mars, la Repubblica, 16/0/2018) • La Albright, invece, si mette all’opera e prende un dottorato alla Columbia University. «Tra i suoi professori c’era il polacco Zbigniew Brzezinski. Questa amicizia la fece entrare nel circolo che pensava la politica estera del Partito democratico» (Mastrolilli) • Nel 1978, con Jimmy Carter, è nello staff della Casa Bianca, cura i rapporti tra il Congresso e il Consiglio per la sicurezza nazionale • Nel 1982 divorzia e decide di concentrarsi sulla carriera • «La sua ascesa fu resa possibile dal movimento femminista che a metà anni Ottanta chiedeva a gran voce che fossero donne qualificate a ricoprire posizioni un tempo appannaggio solo di uomini. Ma certo, anche la sua ambizione dovette avere un ruolo considerevole» (Michael Dobbs, Washington Post, 2/5/1999) • Trova lavoro come professoressa all’università di Georgetown, a Washington. Diventa responsabile per la politica estera di tutti i candidati democratici alla presidenza: nel 1984 con Walter Mondale, nel 1988 con Michael Dukakis e, infine, nel 1992 con Bill Clinton, che vince e la nomina ambasciatrice americana al Palazzo di vetro • Se la deve vedere con Saddam Hussein. Il rais non vuole collaborare con gli ispettori internazionali e la definisce «un serpente senza uguali». Il paragone non solo la lusinga, le fa anche venire un’idea: «Avevo questa spilla d’oro, un serpente attorcigliato a un ramo. Pensai sarebbe stato divertente indossarla tutte le volte che ci occupavamo d’Iraq» • «Lei è stata oggetto di polemiche a proposito delle sanzioni all’Iraq: in tv aveva detto che 500 mila bambini morti erano il prezzo che valeva la pena pagare per le sanzioni. […] “Ho già detto che si tratta della più grossa stupidaggine che abbia mai detto. Mi sono scusata e mi sono spiegata. Ma sembra che ci siano persone che vogliono continuare a tirarla fuori. Saddam Hussein aveva invaso un altro paese. C’era un piano che avrebbe permesso di consegnare cibo e medicine alla popolazione irachena. Saddam Hussein rifiutò di autorizzare le persone incaricate di distribuirle di entrare in Iraq per farlo. È stato Saddam Hussein a uccidere i bambini, non gli Stati Uniti. Stavo cercando di difendere, in generale, una politica di sanzioni che era stata istituita dalla precedente amministrazione Bush. Ma a volte si dicono stupidaggini, e vorrei che tutti quelli che mi criticano pensino se abbiano mai detto qualcosa di cui si sono pentiti. È una dichiarazione stupida, ma se c‘è gente che continua a volerla citare, non posso farci niente. Mi pento di averla detta”» (Isabelle Kumar, Euronews, 28/4/2016) • «All’indomani della sua nomina a Segretario di Stato del presidente Bill Clinton, il 5 dicembre 1996, Madeleine Albright è su un treno che la porta da Washington a New York. Prima di raggiungere Pennsylvania Station, i binari costeggiano il porto: “Ero arrivata in quel porto mezzo secolo prima, un’emigrante praghese undicenne che guardava da sotto in su la Statua della Libertà. Quella ragazzina stava per diventare il sessantaquattresimo Segretario di Stato e la donna di più alto rango nella storia degli Stati Uniti”» (Veronese) • Sono gli anni Novanta. «Eravamo tutti pieni di speranza ed eccitati per la fine della guerra fredda, con la prospettiva di un’Europa che potesse fare a tutti gli effetti parte della Nato, l’idea dell’Unione europea, e la sensazione che le Nazioni Unite potessero funzionare. Penso che fosse davvero un’epoca carica di speranza e di eccitanti aspettative» (Kumar) • Continua a indossare le sue famose spille: «Per segnalare a Vladimir Putin cosa pensasse del suo rifiuto di riconoscere gli orrori commessi dai russi in Cecenia, Albright si appuntò le tre scimmiette, non vedo-non sento-non parlo. Durante il negoziato Abm sui missili balistici, la scelta cadde su un mini-razzo in oro, smalto e coralli che spinse il ministro degli Esteri Ivanov a chiederle: “Sono i vostri intercettori?”. “Li facciamo molto piccoli”, fu la sua risposta. E quando scoprì che le spie russe avevano messo le “cimici” al dipartimento di Stato, la spilla indossata all’incontro con l’ambasciatore del Cremlino fu un coleottero d’ametista e calcedonio. Frustrata con Yasser Arafat, che poneva ostacoli alla trattativa sul Medio Oriente, Albright andò all’appuntamento con una “broche” a forma d’ape in oro, argento, rubini e granati: “Volevo essere pungente e dura”. Quando i negoziati languivano, lei aveva pronto un arsenale di tartarughe, gamberi e granchi. Ma non sempre erano segnali negativi. Da Nelson Mandela andò con preziose zebre appuntate sulla spalla: “Gli piacquero, erano il simbolo dell’Africa” Il progresso in una trattativa lo festeggiava con gioielli a forma di farfalle o fiori colorati. E per commemorare le 212 vittime degli attentati in Tanzania e Kenya, nel 1998, Madeleine si appuntò un angelo d’oro» (Paolo Valentino, Corriere della Sera, 7/10/2009) • La sua politica estera è dura e aggressiva. Sostiene l’intervento in Bosnia nel 1995 e in Cossovo nel 1999. A Colin Powell, allora capo di stato maggiore, contrario all’intervento, dice: «Che ce ne facciamo dell’esercito più potente del mondo, se poi non lo possiamo usare?». Quel conflitto viene ribattezzato «la guerra di Madeleine» • «Condusse contro la Serbia una sua personalissima guerra perché, essendo di origine ebraica, vedeva in Milošević un nuovo Hitler» (Massimo Fini) • Nel 2000, di ritorno da un viaggio a Mosca, annota: «Putin è piccolo e pallido, così freddo che potrebbe essere un rettile. Era in Germania dell’est quando il Muro di Berlino è caduto […] I sovietici semplicemente hanno mollato tutto e se ne sono andati. Dice che molti problemi non ci sarebbero stati se non se ne fossero andati in un modo tanto frettoloso. È imbarazzato per quel che è accaduto al suo paese, vuole restaurarne la grandezza» • Pochi mesi dopo, i democratici perdono le elezioni, Bush diventa presidente e finisce anche l’incarico della Albright • Non smette però di darsi da fare. Riprende a insegnare alla Georgetown University. Per mettere a frutto la rete di contatti che ha costruito negli anni, fonda una società di consulenza strategica, l’Albright Stonebridge Group, che ha sede a tre isolati dalla Casa Bianca. Crea anche un fondo di investimento, l’Albright Capital Management • Comincia a scrivere libri: varie autobiografie, un libro di consigli per Barack Obama e, nel 2018, un libro sul pericolo del ritorno del fascismo. «La migliore citazione del libro è di Mussolini, che disse: “Se spenni il pollo una penna alla volta, nessuno se ne accorge”. Penso che oggi si stiano strappando molte penne in tanti posti» (alla Mars) • «Quando siamo impauriti, arrabbiati, confusi cediamo più facilmente alla tentazione di dar via un po’ di libertà, o quella degli altri che è anche meno doloroso, in cambio di una direzione e di ordine» • «Quali aspetti del governo Trump la preoccupano di più? “Non credo che Trump sia un fascista, penso che sia il presidente degli Stati Uniti più antidemocratico della storia moderna. Non ha creato lui le condizioni che lo hanno portato ad essere eletto. C’erano già delle divisioni nella nostra società, alcune a causa della crisi o delle innovazioni tecnologiche che hanno fatto perdere il posto di lavoro a tanti» (Mars) • È molto critica sul modo in cui il presidente tratta gli immigrati: «Una cosa è essere orgogliosi di quello che si è, della propria identità. Altro è decidere che le persone che ti vivono accanto sono inaccettabili» (alla Kumar). Pensando alla sua storia personale, aggiunge: «Oggi la Statua della Libertà sta piangendo».
Vita privata Tre figlie.
Curiosità Le sue spille sono state esposte in una mostra al New York Museum of Arts and Design • I suoi genitori morirono cattolici e, stando a quel che dice lei, non le rivelarono mai le origini ebraiche della famiglia • Su una parete dell’ufficio tiene una copia incorniciata del visto di ingresso che le permise di entrare negli Stati Uniti, datato 11 novembre 1948 • «Non è stata il solo segretario di Stato nato in un altro Paese: Henry Kissinger condivide con lei questa eccezionalità» (Veronese) • A Pristina, in Cossovo, c’è una via intitolata a lei • Dice che oggi il mondo è diventato «un gran casino». «Io però sono ottimista, perché sono americana».
Titoli di coda «Qualche anno fa, un giorno d’estate in cui il Medio Oriente era in fiamme e sembrava che gli Stati Uniti si volessero tirare indietro da una crisi dopo l’altra, ero seduto vicino all’ex segretario di Stato Madeleine Albright alla conferenza annuale sulla politica estera. “Deve essere sollevata di non avere più il suo vecchio lavoro in un momento come questo” le dissi io. Lei mi guardò, fissandomi in modo da farmi capire che non era la prima volta che le facevano un’osservazione così scema. “Ne sento la mancanza tutti i giorni” mi rispose. Cambiammo subito argomento» (Sanger).