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 2020  maggio 12 Martedì calendario

Biografia di Luciano Benetton


Luciano Benetton, nato a Treviso il 13 maggio 1935 (85 anni). Imprenditore. Fondatore, assieme ai fratelli Giuliana (n. 1937), Gilberto (1941-2018) e Carlo (1943-2018), del gruppo Benetton • «Nato povero – ex commesso da Ferrarese a Treviso, svogliati studi da ragioniere, una spiccata creatività e una naturale propensione commerciale – dal nulla diventa uno degli uomini più ricchi del pianeta» (Daniele Ferrazza, Il mattino di Padova, 25/4/2012) • «Un signore che ha accompagnato la storia recente d’Italia, anticipando fenomeni e spesso dando il passo all’intero settore della moda, del costume nazionale e internazionale» (Daniele Manca, Corriere della Sera, 22/4/2012) • «Simbolo del capitalismo assistito, predatorio e senza regole che fa danni incalcolabili dall’Italia all’Argentina» (Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 4/2/2020) • «Uno di quei Magnifici ottantenni che, come Giorgio Armani, Umberto Eco o Sophia Loren, hanno cambiato l’immagine dell’Italia nel mondo» (Maria Luisa Agnese, Corriere della Sera, 9/5/2015) • Già proprietario della squadra di rugby di Treviso • Già senatore della Repubblica con il partito repubblicano, dal 1992 al 1994 («Non mi piacque, non era un ambiente adatto a me. Avevo accettato la candidatura per un’antica devozione a Ugo La Malfa. Mi ritrovai all’interno di meccanismi lontani dalla mia mentalità e mi sono guardato bene dal ripresentarmi») • A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la sua famiglia ha perseguito un’operazione di diversificazione finanziaria. Tramite la società finanziaria Edizioni Holding s.r.l, i Benetton hanno rilevato quote in società chiave del sistema industriale italiano (tra cui Autogrill S.p.A, Autostrade S.p.A, Telecom Italia, Maccarese S.p.A, Rcs, Pirelli, Generali e Mediobanca) diventando così ancora più opulenti • «Mi dice che a lavorare si è sempre divertito e poi – provvidenzialmente perché stavo per fargli notare che non è vero, non ci si diverte a lavorare, si può provare soddisfazione, entusiasmo, persino gioia, ma il divertimento è un’altra cosa – si corregge e dice che no, non era divertimento, era una libertà, la libertà di fare ciò che l’aveva sempre affascinato» (Edoardo Nesi, CorrierEconomia, 10/10/2005).
Titoli di testa «Gli italiani devono sapere la verità e in questo non li aiuteranno i giornali, visto che tra gli azionisti c’è Benetton» (Luigi Di Maio).
Vita «Sono rimasto senza padre a 10 anni, ero il più grande di quattro fratelli. A 14 anni sono andato a lavorare» • Leone Benetton ha un’attività di noleggio di bici e automobili. Per anni ha fatto il camionista in Libia, nell’avventura colonia di Mussolini. Muore di nefrite nel 1945 • Luciano: «Nostro padre era un imprenditore nel senso classico del termine. E, grazie a questo, noi ci siamo sempre sentiti le spalle coperte, come accade, appunto, a una seconda generazione. Nostro padre ci aveva lasciato anche dei beni immobili. Questo può non favorire la leggenda dei Benetton, ma è la verità. Quando morì […] ho continuato ad avere la cameriera per almeno tre o quattro anni. Poi, certo, tutto è stato più difficile. La scuola lasciata, il precoce lavoro di commesso...» (a Stefania Rossini) • Luciano è un bambino ma diventa il capofamiglia: «All’epoca nessuno era viziato come oggi. Adesso c’è l’idea di proteggere i piccoli costantemente e secondo me è sbagliato» • Diventa commesso in un negozio di stoffe di Treviso. Il suo sogno è avere successo nello sport. Gioca a pallacanestro. Fa canottaggio nelle acque del fiume Sile: «C’erano nel Sile molte correnti sotterranee, anche se in superficie non le vedevi. In quei momenti capisci quanto è efficace un equipaggio e, soprattutto, il valore del timoniere» (a Chiara Beria d’Argentine, La Stampa, 26/7/2004) • «C’è stato un fatto determinante per me, e sono state le Olimpiadi del 1960 a Roma. Io amavo molto il canottaggio, avrei dato qualunque cosa per partecipare alle gare, ma mi accontentai di andarci come spettatore. Fu una emozione inimmaginabile: venivo dalla provincia di allora, chiusa e ancora arretrata, e lì in mezzo a quella folla immensa venni a contatto col mondo, mi ritrovai tra gente di ogni razza e colore, tra le bandiere di decine e decine di nazioni. Avevo venticinque anni» (alla Aspesi) • «Era rimasto così colpito da tutte quelle bandiere, da quei volti, dalle centinaia di sfumature della pelle di quei giovani atleti da convincersi che il mondo era immenso e colorato» (Nesi) • «Quando gli chiedo, da daltonico irrecuperabile, se per i colori ha una speciale sensibilità, che so, una sorta di dono, lui mi dice che, certo, i colori gli sono sempre piaciuti, e crede anche di intendersene, ma quando da giovane andò a una mostra di Klee e Kandinsky, a Venezia, rimase così affascinato dalla infinita maestria di quei due geni da comprare il catalogo della mostra e portarselo in ufficio, ed ecco da dove vengono, i colori di Benetton» (ibidem) • All’epoca si portano solo vestiti scuri: neri, al massimo blu • «Mia sorella Giuliana faceva la maglia per un negozietto e un giorno mi regala questo maglione giallo. Beh, tutti lo volevano disperatamente, stanchi dei colori necrofili dell’epoca. Ma nessuno, a parte me, ce l’aveva [...] Allora ho detto: dai proviamo, tu fai e io vendo. Abbiamo comprato una vecchia macchina che faceva le righe alle calze a rete, la vendevano al peso del ferro, e l’abbiamo trasformata. Da lì non ci ha più fermato nessuno [...] Il mio primo negozio l’ho aperto in un vicolo cieco di Belluno con un idealista rivoluzionario di nome Marchiorello. Era un bugigattolo spartano targato ancora My Market, il nostro primo marchio. Vendevano solo maglioni dai colori sparati […] Successo pieno. L’anno dopo aprivamo a Cortina, che per noi era come il Lidò. I colori erano il nostro tatuaggio. Lì abbiamo avuto una delle intuizioni guida. Vendevamo alle signore impellicciate e ai ragazzi allo stesso prezzo: 3.900 lire. Dunque il mercato dei giovani e quello degli adulti si era finalmente sovrapposto [...]» (Stella Pende, Panorama, 8/10/1998) • «I giovani avevano idoli trasgressivi, contestavano, occupavano le università, sognavano di cambiare il mondo. Ero giovane anch’io, e non sentivo la differenza di pensiero: e poi quei ragazzi mi piacevano perché li vedevo tutti come potenziali clienti» (alla Aspesi) • «Il successo arrivò presto. “Ma non è stato facile”, dice Gilberto. “In paese ci giudicavano dei palloni gonfiati. Il riconoscimento sociale, qui, è venuto solo dopo che siamo diventati qualcuno all’estero”. Nemo propheta in Patria, ma non solo. Per anni, la ricchezza Benetton ha attirato pettegolezzi: “Sono protetti dalla Democrazia Cristiana, dal ministro Ferrari Aggradi e da Tina Anselmi”, e cose del genere. “Secondo certe voci, saremmo stati addirittura finanziati dal Vaticano”, ride Gilberto. “E, invece, abbiamo solo lavorato, insieme, dividendoci i compiti”» (Paola Jacobbi, Vanity Fair) • «A sentire i quattro fratelli Benetton, basterebbero poche righe per raccontare tutto: Giuliana filava, Luciano vendeva, Gilberto, a soli 15 anni, teneva i conti. Carlo, il più piccolo […], ricorda di essere cresciuto in mezzo alle matasse. “Ce n’erano dappertutto: sugli armadi, sotto i letti, in corridoio”. Sarà per questo che è diventato, da grande, il responsabile della produzione e riconosce la qualità e persino l’odore della lana a distanza. Giuliana, oggi una signora ingioiellata ed elegante, voleva fare la magliaia a tutti i costi. A dieci anni lavorava già. La mamma la fece licenziare: “Era contraria. Diceva che avrei dovuto fare la sarta di confezioni da uomo, un mestiere più redditizio. Ma io ero testona e l’ho convinta a farmi tornare alla maglieria. Lavoravo sotto padrone, ma anche in casa, finito il turno, perché Luciano, che faceva il commesso in un negozio, aveva cominciato a vendere le mie creazioni. Quando le commissioni diventarono immense, anche la mamma capì che era quella la nostra strada”» • «La sua prima fabbrica la fece nel 1964 grazie all’aiuto di un impresario edile che ebbe fiducia in lui perché le banche non gli avrebbero fatto credito, visto che non aveva una lira e la sua idea per sfondare era quella di produrre maglie bianche e tingerle in capo di colori che non si erano mai visti prima nei negozi» (Nesi).
Toscani Racconta Oliviero Toscani: «Una sera, mentre assistevo al parto di una delle mie cavalle Appaloosa, mi telefona Luciano. Il puledro nacque da lì a poco e in quella mezzanotte di buon auspicio nacque anche una straordinaria collaborazione» • «Con Oliviero Toscani, e per i diciotto anni della loro collaborazione, ogni campagna pubblicitaria divenne uno shock, uno scandalo, una rivoluzione permanente nel modo di comunicare. “Volevamo una pubblicità nuova, moderna, soprattutto internazionale: eravamo ormai così solidi da poter osare. Certo, quando cominciarono ad arrivare le prime proteste, rimanemmo male, pensammo persino di smettere e chiedere scusa. Ma capimmo che si trattava di posizioni razziste, e noi il razzismo non potevamo accettarlo. E poi, dal punto di vista degli affari, quelli che protestavano non erano il nostro pubblico, non erano interessati al nostro prodotto, quindi dovevamo andare avanti”. Infatti più la gente si indignava, i giornali polemizzavano sino a rifiutare l´inserzione e il gran giurì della pubblicità stigmatizzava (ci furono persino picchetti fuori dai negozi inneggianti al boicottaggio) per la suora che bacia il pretino, per il neonato bianco sul seno nudo di una donna nera, per quella specie di pietà caravaggesca attorno a un malato di aids morente, più Benetton vendeva, prosperava, ingigantiva. Di anno in anno, scomparso il prodotto dalla pubblicità, solo in un angolo un tassello verde con la scritta “United Colors of Benetton”, la dispettosa genialità di Toscani e la partecipazione ideologica e mercantile di Luciano continuarono a provocare con la brutalità del reale: nascita, sesso, dolore, morte, razzismo, pena di morte, antimilitarismo, pacifismo; il neonato attaccato al cordone ombelicale, i preservativi, le carrette del mare grondanti clandestini, il delitto di mafia, i bambini lavoratori, il cimitero di guerra, la serie di sessi femminili e maschili (opera invitata in gigantografia alla Biennale d´arte veneziana nel 1993, rifiutata da tutti i giornali tranne Liberation)» (Aspesi) • La pubblicità di Benetton affronta tabù impensabili per la comunicazione commerciale: la divisa insanguinata di un soldato bosniaco, i ragazzini disabili di un istituto, i ritratti di 28 condannati a morte in un carcere americano • «Capii in quel momento che attirare l’attenzione, imporre un´immagine soprattutto se imprevista, fare eco, suscitare discussioni, poteva essere una strategia imprenditoriale vincente» • «Non se l’è mai dimenticato, arrivando per una delle tante campagne Benetton, seguite da reazioni scandalizzate, a farsi fotografare nudo. Era il 1993, Luciano aveva cinquantotto anni ed era senatore della Repubblica eletto per il partito repubblicano; sfrontato, coraggioso e sorridente, non un pezzo di stoffa sul corpo, si protesse soltanto con la scritta gigante trasversale, naturalmente in inglese, “I want my clothes back” e poi “Empty your closets”. Era una delle tante campagne pubblicitarie concordate con Oliviero Toscani, questa volta a scopo umanitario e in collaborazione con la Caritas svizzera, la Croce rossa e il Crescente rosso di Ginevra, un piano mondiale di ridistribuzione di capi di abbigliamento usati da destinare alle popolazioni indigenti. “Ridammi i miei vestiti” e “Vuota i tuoi armadi” ebbe molto successo, forse perché non si era mai visto un imprenditore nudo, e alla fine i contenitori posti nei negozi Benetton raccolsero 460mila chili di indumenti» (Aspesi) • «Son stato chiamato da Spadolini, che era il presidente del Senato. Mi chiedeva come era successo? Io gli risposi che era per una buona causa. Alla fine si convinse» (a Maria Luisa Agnese).
Famiglia «Tre donne della sua vita: Maria Teresa, la prima moglie dalla quale non ha mai divorziato, madre di Alessandro e di altri tre figli. Marina Salomon, dalla quale ha avuto un figlio cui ha dato il cognome. Da quando sta con la milanese Laura Pollini, l’ex manager della comunicazione che ha inventato il laboratorio creativo Fabrica» (Ferrazza) • «Belli, sportivi, eleganti: i Benetton junior trasmettono un’immagine di gioventù dorata, ma senza scivolate esibizioniste o autodistruttive: inutile cercare qui una Paris Hilton o un Lapo Elkann. Li hanno mandati a studiare in scuole prestigiose, molti negli Stati Uniti, per imparare la lingua, sì, ma soprattutto perché si rendessero indipendenti e non crescessero viziati» (Jacobbi) • Racconta il figlio Alessandro: «Un’estate, avrò avuto 14 anni, avevo lavorato in negozio. Alla fine, papà mi portò a comprare un paio di scarpe. Le scelsi, convinto che mi sarebbero state regalate. Le dovetti pagare io, coi soldi che avevo guadagnato. Un’altra volta, in vacanza in California, con Mauro e papà, avevamo comprato un sacco di frutta. Alla frontiera tra uno Stato e l’altro, ci dissero che non ce l’avrebbero fatta portare di là, per via di alcune leggi americane sui parassiti e cose del genere. Papà, invece di buttarla via, ce la fece mangiare tutta prima di passare il confine».
Morandi «Ricordiamo tutti la tragedia del ponte Morandi a Genova: i morti, le accuse alla famiglia veneta prima azionista della società Autostrade, le minacce del governo nel giorno di Ferragosto. Il vicepremier urlava ai quattro venti: “Revoca immediata della concessione”. E Conte a ribadire: “Non possiamo attendere i tempi della magistratura”» (Giuliano Zulin, 4/3/2019) • «L’immagine della famiglia che festeggia i dividendi dei pedaggi autostradali a Cortina, 24 ore dopo il disastro, divorando il branzino di Ferragosto, è diventata più pesante delle macerie di calcestruzzo cascate sulle spalle della politica, dell’Italia e dei 43 morti ammazzati» (Pino Corrias, Il Fatto Quotidiano, 21/8/2018) • «Dov’era quel giorno, il 14 agosto? “Ero a Cortina, c’è stata molta speculazione sul fatto che noi eravamo tutti insieme per ricordare nostro fratello Carlo. Abbiamo deciso di mantenere la festa ed è stato un errore, perché c’era solo disagio e dolore. Non lo rifaremmo. Siamo stati condannati velocemente, adesso siamo ansiosi che si faccia chiarezza sulle dinamiche del crollo”» (Maria Luisa Agnese, Corriere della Sera, 20/2/2019) • «Luciano Benetton, è vero che il crollo del ponte Morandi a Genova con i suoi 43 morti ha ferito lei e ha ucciso suo fratello? Guardi che siamo forti noi Benetton. E sappiamo distinguere, sappiamo aspettare. E non per il cinismo di chi ne ha viste tante. L’etica della responsabilità, la modernità, il rispetto delle regole per un imprenditore non sono facoltative, ma sono le condizioni stesse della sopravvivenza. La manutenzione dei ponti e gli investimenti sulle strade sono obblighi imposti dal contesto prima che una libera opzione intellettuale. Mi creda, chiunque ci conosce appena un po’ non ha mai dubitato di noi, tutti sanno che non facciamo parte di quel capitalismo che è un’avventura tra politica e malaffare. Non siamo né papponi di Stato né razza padrona” […] Lei dice che siete forti, ma l’anno è stato terribile, e senza il suo celebre faccione è difficile pensare che gli altri Benetton, "invisibili al mondo", possano farcela. È morto prima il marito di sua sorella Giuliana, poi suo fratello Carlo, e infine suo fratello Gilberto forse di crepacuore. “Mio fratello non è morto di crepacuore per le aggressioni subite dopo il crollo del ponte. Era forte anche lui. È però vero che stava già male e che questo lo esponeva di più alle ferite dell’orgoglio, alla frustrazione e all’impotenza dinanzi alla terribile disgrazia”. Disgrazia? “Una disgrazia imprevedibile e inevitabile, purtroppo”. Non c’è stata nessuna responsabilità di cattiva manutenzione e di scarsi investimenti? “In quei giorni ce lo siamo chiesto anche noi. Ma sono sicuro della buona fede dei manager di Autostrade. Nessun imprenditore può immaginare di risparmiare sulla manutenzione dei ponti e delle autostrade. Non sarebbe solo un delitto da irresponsabili, sarebbe anche un errore da stupidi. Come si possono gestire le autostrade risparmiando sulla sicurezza? […] Con il senno del poi dico che si doveva diminuire il traffico”. Autostrade avrebbe potuto diminuirlo? “Sì, avrebbe potuto. E se si fosse fatta la Gronda, il traffico sarebbe certamente diminuito […] Per effetto di quel misterioso conformismo che a volte in Italia contagia anche i migliori siamo stati descritti come una banda di feroci gaudenti assetati di Champagne davanti ai morti. C’è bisogno che le dica che quel giorno eravamo, come tutti e più di tutti, testimoni sbigottiti di una terribile sciagura?” Perché lei non è andato a Genova? “Perché dal governo ci hanno subito accusato ingiustamente, senza conoscere le cose. E siamo stati additati improvvisamente come una famiglia di avidi speculatori: “dalli ai Benetton”. E capisco che in tanti, in buona fede, ci abbiano pure creduto”» (Francesco Merlo, la Repubblica, 2019).
Curiosità Salutista convinto • Dice di non conoscere lo stress: «Non mi è mai capitato di non dormire per qualche problema» • Ama le piccole osterie, le partite a scopa, la grappa • Porta stivaloni americani • Dicono sia avarissimo e giri senza portafoglio • Non ha l’automobile né il cellulare • Tra le sue proprietà ci sono due immense tenute, Maccarese in Italia e Compania Tierras Sud in Patagonia: 900 mila ettari, 16 mila bovini, 260 mila pecore, un milione e 300 mila chili di lana esportata in Europa. Ha avuto anche contrasti con gli indios locali, i mapuche, alla fine ha donato loro del terreno • «Lei è considerato un imprenditore di sinistra. Si sente più esposto per questo? “Come imprenditore rispetto e chiedo rispetto da tutti i governi. Io sono stato, molti anni fa, nel Partito repubblicano e rimango fedele a me stesso. In quelle forme e in quei limiti io, certamente, sono un uomo di sinistra”. In quest’Italia non si sente crepuscolare e nostalgico con i suoi United Colors di sinistra? “Mi permetta di dirglielo con una certa enfasi: gli United Colors sono tornati anche come stile di vita. In passato avevamo previsto e un pochino imposto il meticciato culturale, i seni neri e i bimbi bianchi, l’integrazione, la mescolanza di generi e culture”. Adesso che quello stile è offeso ci siete di nuovo voi a difenderlo? “Non come provocazione, ma come matura fedeltà a noi stessi”» (Merlo) • «Cosa consiglierebbe a un giovane che voglia distinguersi, nel frastuono mediatico? “Io cercherei di essere disponibile, di non stare un giorno senza lavoro, anche se non si trova quello ideale. Da cosa nasce cosa”» (Agnese).
Titoli di coda «Lei lavora ancora? “Io? Non ho mai lavorato. Se avessi dovuto stare seduto in una banca, ecco per me quello sarebbe stato un lavoro, e duro”. Neanche agli inizi quando faceva il commesso? “Quando si ha una visione, delle aspirazioni, si è determinati e disposti a rimettersi in discussione e accettare dei rischi... Questo non è un lavoro è una realizzazione di sé stessi. Ed io sono stato molto fortunato”» (Alessandra Carini, la Repubblica 18/6/2012)