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 2020  maggio 11 Lunedì calendario

Biografia di Andrew Howe


Andrew Howe, nato a Los Angeles il 12 maggio 1985 (35 anni). Campione di atletica. Secondo italiano di sempre nei 200 metri piani dopo Mennea (20’’ 28). Detentore del primato italiano di salto in lungo (8,47 m, a Osaka, 2007) • Figlio di una ostacolista afro-americana, ha vissuto a Rieti da quando aveva cinque anni, quando la madre vi si trasferì per sposare un italiano • «Reatino di pelle scura» (Valerio Vecchierelli, Corriere della Sera, 25/10/2000) • «Un corpo da Will Smith con la voce di Martufello» (Nicola Savino) • Lui taglia corto: «Io penso in italiano, sogno in italiano, sono scaramantico, a scuola ho studiato la storia del mio Paese, come atleta sono cresciuto qui, tifo la Lazio, adoro il sole e alle Olimpiadi ci arrivo vestito d’azzurro. Più italiano di così» (a Valerio Vecchiarelli, Corriere della Sera, 18/7/2004) • «Molto fico. E anche il testimone della continuità della mutazione del mondo. Un onore che l’Italia sia rappresentata da un’atleta come lui» (Lucio Dalla) • «Nel gennaio 2001, la Gazzetta inaugurò proprio con un servizio su di lui una rubrica (Saranno famosi?) dedicata alle giovani speranze dello sport italiano. Non fu difficile individuare un possibile protagonista del futuro in quel ragazzino che portava i capelli con le treccine, che correva con facilità impressionante e saltava che era una meraviglia: alto, lungo o triplo che fossero. A detta di molti, Andrew avrebbe potuto sfondare ovunque: nel calcio, che ha sempre amato, ma anche nel basket in cui ogni tanto si cimenta ancora, oppure nel football, in cui pure si diletta di tanto in tanto […] Alla fine ha vinto l’atletica e ora i paragoni con i grandi del passato si sprecano. Il più gettonato, non solo per il colore della pelle, è quello con Carl Lewis, al quale Howe, in effetti, assomiglia molto: nelle caratteristiche fisiche, nella gestualità, nei risultati» (La Gazzetta dello Sport, 18/7/2004) • Campione europeo di salto in lungo 2006, vicecampione del mondo 2007. Tra le maggiori delusioni azzurre alle Olimpiadi di Pechino: avuta la bella idea di correre i 200 metri in coppa Europa, ad appena 46 giorni dai giochi fu vittima di una contrattura alla gamba destra (distrazione di primo grado al bicipite femorale). Arrivato in Cina in condizioni disastrose, fu addirittura eliminato nelle qualificazioni (20º su 39 con 7,81 m). Sì infortunò di nuovo nel 2009, nel 2011 e nel 2015, serie che segnò brutalmente la fine della sua carriera sportiva ad alti livelli • «Oggi è più noto come simpatica faccia da Kinder che come atleta di successo» (Gianni Romeo, La Stampa, 27/6/2011).
Titoli di testa «“Ma veramente?”. Andrew Howe rifà i conti toccandosi il naso con le dieci dita delle mani. Quasi non crede che sia passato tanto tempo. Perché il tempo non conosce vergogna e non guarda in faccia nessuno: “Dieci anni da quel maledetto 200 prima di Pechino”» (Enrico Sisti, la Repubblica, 1/8/2018).
Vita Figlio di Andrew Howe senior, calciatore americano di origini tedesche, e Renée Felton, nera, buona ostacolista negli anni Ottanta, che si allena nella squadra di Santa Monica, la stessa di Carl Lewis. «Mia madre ha passato dei brutti momenti durante il mio primo anno di vita perché sono nato praticamente morto, i medici le dissero che molto probabilmente non ce l’avrei fatta e lei passò tutto il mio primo anno di vita quasi senza dormire per controllarmi il respiro. Superare quel momento è stata una cosa grandissima. La nostra prima vittoria» (magazine, 7/8/2008) • I suoi genitori divorziano quando lui ha diciotto mesi. «È come se non l’avessi mai avuto un padre: non mi è stato mai vicino, né mi ha aiutato a crescere. Mia madre ha ricoperto, e bene, il ruolo di entrambi i genitori: c’è sempre stata soltanto lei» • Andrew definisce la madre un incrocio tra Pippi Calzelunghe, Wonderwoman e la Sposa di Kill Bill • Renée sposa in seconde nozze Ugo Besozzi, milanese cresciuto tra Svizzera e Francia che studiava a Los Angeles col fratello Mattia, quattrocentista che si allenava al Santa Monica College proprio con la Felton. Andata a vivere a Rieti, ne ha il figlio Jeremy (fine della storia nel 2000) • «Che ricordi hai della tua infanzia in California? “Molto vaghi. Mia madre lavorava moltissimo, i ricordi più nitidi sono quelli dell’asilo, dei giochi, o di quando andavo a vedere il motocross dell’ex marito di mamma”. Poi il viaggio con tua madre per arrivare in Italia, a Rieti: che impressione ti ha fatto trasferirti da una metropoli americana a una piccola città di provincia italiana? “La prima cosa che ho detto a mamma appena arrivato a Rieti è stata: ma qui i colori sono scomparsi, è tutto grigio. A Los Angeles non pioveva mai”» (magazine) • Racconta la Felton: «Quando mio padre mi ha portato allo stadio la prima volta, io mi sono innamorata degli ostacoli. Quando io ho portato Andrew, che come secondo nome ha Curtis, come mio padre, ho scoperto che andava pazzo per la buca della sabbia... Era già il segno del destino» • Andrew passa giornate intere al campo scuola di Rieti, mostra subito le sue doti: «Non c’era specialità nella quale non eccellesse, dallo sprint agli ostacoli, dalle prove multiple ai salti, alto lungo e triplo» (Il Messaggero) • «Ha giocato per tre anni all’ala  destra con il Rieti segnando gol a valanga fino a  suscitare l’interesse dei  talent-scout dell’Empoli che lo avevano convocato per un provino. Ma non ha risposto alla chiamata, perché intanto mamma René continuava a gareggiare sui 100 ostacoli nella categoria master e lo portava con sé al campo di atletica per i primi allenamenti» • Racconta Andrea Milardi, suo primo allenatore: «Quanta paura quando iniziò a giocare al calcio! Segnava una valanga di gol e stava per cedere al sogno di ogni bambino italiano: per fortuna che in quel periodo ancora si divideva con l’atletica e ci prese gusto a migliorare un record giovanile dietro l’altro. Quando lo vidi saltare 2,06 nell’alto senza alcuna tecnica di base, pensai che sarebbe stato un delitto farselo scappare» • Il professor Carlo Vittori, il più grande tecnico italiano della velocità: «Quando, a 15 anni, Howe corse i 200 in 20”99 dissi subito che eravamo davanti ad un talento straordinario. Nessuno in Italia l’aveva mai fatto a quell’età, neppure Mennea» • Per un po’ lo chiamano Andrew Besozzi, come il patrigno: «Besozzì ha avuto successo e piano piano ha soppiantato Howe. Anche perché in provincia “il Besozzi” suona sempre meglio de “il Howe”» (Corrado Sannucci, la Repubblica, 24/8/2004) • «Chiamatemi come volete, l’importante è che io comunque vinca» • Nel 2000, si inizia a fare sul serio. «E quattro primati italiani di colpo sono stati riscritti: 16"3 sui 150 metri, 7,52 nel salto in lungo, 38" netti sui 300 ostacoli, 2,06 nel salto in alto. Più i 3.344 punti del tetrathlon, la prova multipla (100 h, giavellotto, alto e 600 metri) riservata ai giovanissimi, il cui record è stato migliorato in un sol colpo di 330 punti e il bello è che ogni salto di Andrew non ha nulla di tecnicamente codificato: quando ha valicato  l’asticella a 2,06 sulla pedana di casa (ancora paragoni: a 15 anni Sotomayor saltava 2 metri), il ragazzo non  sapeva da dove prendere la rincorsa, ha contato una manciata di passi  all’indietro ed è partito. Per questo studente al primo anno del liceo linguistico che da grande vuole fare l’avvocato, l’atletica resta ancora uno splendido passatempo dà dividere tra l’amore per la Lazio e la batteria chiusa in garage per buona pace dei vicini di casa. Non sa scegliere tra tante specialità, non vuole scegliere: “Mi piacciono il lungo, i 100 ed i 200 metri, ma anche il salto in alto. Gli ostacoli? Sono divertenti”. Ma in mente ha obiettivi precisi» (Vecchiarelli) • «Quando salto, tiro fuori tutto quello che ho dentro. Rabbia, potenza, grinta, esplosività. E appena levo il piede dallo stacco capisco se in aria sarò una farfalla o un peso morto. La sensazione del volo è meravigliosa, dà un senso di pace. È come un bell’orgasmo» • «Il paragone con Lewis non mi spaventa, anzi. Non sarebbe brutto fare quello che ha fatto lui. E forse fare anche meglio» • Nel 2006 vince la medaglia di bronzo nel lungo ai mondiali di Mosca e la medaglia d’oro agli europei di Göteborg. Nel 2007 è oro a Birmingham, arriva secondo alla Coppa Europa, primo al campionato italiano di Padova, secondo ai mondiali di Osaka. Sembra inarrestabile • «Saltare 9 metri. Prima o poi qualcuno ci riuscirà. Voglio essere io» • «“Corsi un 200 prima dei Giochi ai quali sarei arrivato da protagonista nel lungo, mi feci male, a Pechino mezzo rotto non passai le qualificazioni”. Poteva evitarli quei 200 che le rovinarono le “sue” Olimpiadi? “Forse, ma se togli allo sport l’entusiasmo di provarci, cosa rimane? Un rigoroso rispetto del buon senso e dell’opportunità che alla fine ti strangola. Però da quel momento la mia vita è cambiata”. Lei era l’uomo dell’atletica italiana e delle pubblicità ereditate da Fiona May. Poi si è spenta la luce. Cosa è cambiato dopo l’intervento al tendine? “Tutto. Ho ricominciato con la paura di non farcela. Ho lottato contro i fantasmi e ho capito che i fantasmi ce li avevo dentro. Ho rivisto la pedana, la sabbia, ho risentito un po’ di elasticità. Era come rinascere, ma con qualche cautela in più. Mi sono rifatto male più volte. Ci sono stati giorni in cui mi sentivo un piccolo uomo travolto da cose più grandi, dai sogni infranti e sempre più lontano da una vita, la mia, che non riuscivo più a vivere”» (Sisti) • «Ha mai pensato di smettere? “No, mi mangiavo i gomiti quando stavo con il gesso e vedevo gli altri correre”» • «“Più che abbattuto io sono arrabbiato. Io devo tornare a saltare, tutto il resto passa in secondo piano”. Lei è fermo ma il mondo va avanti: il tedesco Bayer ha saltato 8,71 indoor. “E io sto qui come un’oca negra, ad avere sempre il sorriso in faccia...”. Le pesa l’attenzione su di lei? “È giusto ci sia, ma sono un essere umano, andare avanti così non è possibile”» (Corrado Sanucci, la Repubblica, 20/4/2009) • «L’opinione più gettonata è che la mamma non sia all’altezza del compito che si è autoaffidata, cioè di fare l’allenatrice unica del giovanotto, senza accettare interferenze e/o suggerimenti. Di conseguenza, viene individuato un facile colpevole, la federazione di atletica leggera che non ha saputo rompere il precario sodalizio tecnico» (Romeo) • «È sempre la stessa storia. Il punto è questo, la mancanza di fiducia totale in mia madre. Renée è un punto fermo e ogni volta che c’è un intoppo cercano di sfilarmi il tappeto da sotto i piedi. Ma se non ti fidi allora è tutto inutile. Vorrei dire, soprattutto a quelli che pensano che io non sappia staccarmi da lei, che sono io che l’ho scelta, non è lei che mi mantiene» (Sanucci) • «“Appena ho ricominciato dopo l’infortunio […] volevo strafare per dimostrare al mondo che ero tornato. Poi ho capito che non posso accontentare tutti e mi sono messo un po’ l’anima in pace. Questa grande cosa di Andrew Howe come salvatore della patria, che sembrava dovesse fare cose enormi già quando aveva 15 anni, era esasperata ed esasperante. Per troppo tempo ho lavorato per gli altri, adesso mi alleno e sudo unicamente per me”.  Sta dicendo una cosa pesante. “Lo so, ma è la verità. Per una vita sono andato a gareggiare non per fare la mia prova, ma per dimostrare qualcosa, ed è quanto di peggio possa succedere. Sentivo di dover legittimare costantemente il mio valore, ma alla fine facevo solo un torto a me stesso, mi appesantivo di problemi e responsabilità che di certo non mi aiutavano ad andare veloce. Ero pieno di rabbia, con una grande voglia di distruggere e di vincere, ma giravo con i paraocchi e non vedevo quello che avevo intorno. Io credo che si diventi uomini a trent’anni, o almeno a me è andata così. Adesso sono completamente diverso, sono un adulto, convivo da anni con la mia fidanzata Giuseppina nella nostra casa, è la mia vita e sono pronto a fare qualcosa per me anche nell’atletica. Anche se intorno sento gente che dice ‘ma dove va? È vecchio...’ e quasi mi ride dietro, io vado avanti, perché sono convinto che la mia maturità sportiva la stia raggiungendo adesso. Prima mi allenavo senza capire che cosa stessi facendo, adesso ho la consapevolezza di ogni singolo movimento ed è importantissimo. Molti atleti non ci pensano, per me leggono poco”. E che c’entra? “C’entra sempre. Credo che in pochi leggano davvero. C’è chi prende in mano un libro per farsi vedere o potersi dire ‘sto leggendo’, ma raramente fanno della lettura uno strumento per un esame interiore che li porti a capire certi riflessi di loro stessi. Per me è stato così, nei miei momenti brutti, quando ho toccato il fondo e ho scelto di starmene un po’ da solo, per crescere”. Quando è accaduto? “Dopo la partecipazione del 2014 a Ballando con le stelle si è chiusa la mia lunga storia con Giuseppina. Non sapevo più che cosa fare della mia vita. Così sono partito, da solo, e sono andato ad allenarmi in Svezia, un paese freddo con persone fredde. Non parlavo con nessuno, passavo le giornate lavorando e leggendo Bukowski e Dostoevskij, ma ho ritrovato me stesso, la voglia di rimettermi in gioco, e ho scoperto quanto sia bello gareggiare per divertirsi. Penso sia per questo che adesso sono tornato a volare”» (Elisabetta Esposito, La Gazzetta dello Sport, 20/12/2018) • «Ho scoperto una nuova tranquillità, non so se possa chiamarsi saggezza. Mi sono accorto che le pressioni che percepiamo non esistono, ce le inventiamo noi. Chissà per quanti anni mi sono portato dietro questa zavorra immaginaria. Non mi pesa essere il secondo italiano di sempre nei 200, sento che non devo dimostrare niente, desidero soltanto correre senza aspettative» (Sisti).
Vita privata Fidanzato dall’età di quindici anni con Giuseppina Palluzzi (tra alti e bassi). Lei, classe 1987, è stata una centometrista, ora è avvocato.
Tatuaggi «Sul braccio sinistro ho Gesù Cristo, non sto a spiegare perché, poi una bara dove ci ficco dentro i miei nemici, li seppellisco lì, cosi non resuscitano. Poi ho un pesce, che rappresenta la vita, e il mare, e una donna che è una maschera giapponese che quando si arrabbia come me diventa diavolo e poi ho un drago vicino a Dio che sta nel cielo con le nuvole e i crisantemi». Il braccio destro è completamente ricoperto di disegni tribali: «Mio nonno è un indiano della tribù dei Piedi Neri, i tatuaggi sono uno scudo per difendersi dai nemici». Anche sua madre Renee è una fanatica dei tatuaggi: «Ne ha cinque, uno proprio dietro il collo, perché i nemici ti colpiscono alle spalle, e allora lì ha Pegaso, il cavallo alato e poi gli apostoli Luca, il medico e Marco, il pescatore. E dice sempre che se ne dovesse fare uno in mio onore sceglierebbe un cigno che corre».
Curiosità Calza scarpe n. 46: «Ho due fette gigantesche, onestamente non so se siano un vantaggio» • Segue calcio, nuoto e pallacanestro. Gli piace lo snowboard • Va al mare a San Benedetto del Tronto • Suona la batteria nei Lags, quartetto romano formato da Antonio Canestri (voce e chitarra), Gianluca Lateana (chitarra e cori) e Daniele De Carli (basso e cori) • «Non pensate che siccome sono di colore ascolti solo hip hop, rap o trap, quello è un cliché fin troppo trito, io sono più per gruppi semisconosciuti ai più come i Tulle, i This will Destroy You o i He is Legend» • «Ma quando suonate in un locale la riconoscono anche come atleta? “Generalmente no e devo dire che mi piace. Significa che vengono per i Lags, non per me. Io ho sempre portato avanti di pari passo la musica e l’atletica leggera, quindi tengo allo stesso modo a entrambe» (Esposito) • «La sensazione di cosa sia il razzismo l’ho avuta solo le poche volte che sono andato in America a caccia delle mie origini. Là si che c’è la cultura della diversità, è un Paese fondato su quello. In Italia solo in un’occasione mi era capitato di farci i conti: giocavo al calcio e durante una partita in un paesino il mio allenatore fu costretto a sostituirmi per evitarmi gli insulti che arrivavano dagli spalti. Avevo quattordici anni e mi sembrò solo un episodio».
Titoli di coda Quando qualcuno lo prende in giro per la pubblicità del Kinder Bueno, risponde con la risata più fragorosa possibile: «La domanda che vorrei sempre porre a tutti è: amico mio, ma secondo te, in circa 11 anni, nessuno mi ha mai fatto questa battuta?» (Stefanini).