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 2020  aprile 30 Giovedì calendario

Biografia di Germano Celant

Germano Celant (1940-2020). Critico d’arte. Considerato l’inventore dell’Arte Povera «la prima vera squadra dell’arte italiana a giocare nel campionato contemporaneo» (Francesco Bonami). Nel 1989 venne nominato senior curator del Guggenheim Museum di New York. È stato codirettore artistico della prima edizione della Biennale di Firenze nel 1996 e curatore della 47ª Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia (1997). Dal 2015 era soprintendente artistico della Fondazione Prada a Milano. Era responsabile della rubrica Arte per L’Espresso. «Il critico d’arte italiano più noto a livello internazionale, e probabilmente anche il più potente» (Fiorella Minervino). «Mi sono inventato, facendo di tutto. Mi sono buttato su libri e cultura. A 16 anni leggevo Sartre, mi identificavo con Beckett. Frequentavo gli artisti locali che mi presentavano i personaggi di passaggio. La cultura mi serviva per trovarmi un’identità. Per due anni ho frequentato la facoltà di Ingegneria per compiacere mio padre, poi ho lasciato, mi sono inventato i cineforum dove veniva invitato Bernardo Bertolucci. Mi interessava la cultura visiva in generale, decisivo fu l’incontro all’università con Eugenio Battisti, che ci spiegava il Barocco come intreccio fra tutte le arti. Con lui conobbi Maurizio Calvesi e un giovanissimo Paolo Portoghesi, facevo le news sulla rivista Marcatré. A Torino incontrai Arturo Schwarz che mi introdusse a Duchamp e a Man Ray, e conobbi Mario Tazzoli e Gian Enzo Sperone: avevamo la stessa età, mi presentarono Warhol, poi la Pop Art. L’Arte Povera nacque per una specie di complicità generazionale. Diventai amico di Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Giovanni Anselmo, Giuseppe Penone, Gilberto Zorio, Kounellis già negli Anni Sessanta. Arte Povera era l’idea di chi non ha soldi, quello che trova va bene, carbone, fili di ferro, tela o altro. Contavano lo spirito libertario, la liberazione dai tabù. Nel 1967 organizzammo l’evento di Amalfi, mostra che cattedratici come Giulio Carlo Argan raccomandavano di non visitare. Fu un successo perché mi aprì le porte dell’America. Avevamo un’idea ottocentesca, romantica, dell’arte e della qualità, applicate al design o alla moda». «Un anno prima che scoppiasse il famoso 68, in Italia un giovane curatore di nome Germano Celant annusò puzza di bruciato, capendo che ben presto l’arte, fatta di quadri e sculture, non sarebbe stata più di moda. Chi avesse voluto fare l’artista avrebbe dovuto fare un po’ anche il guerrigliero. Nel resto d’Europa, in particolare in Germania con lo sciamano sciamannato Joseph Beuys, che usava grasso, feltro e salsicce per le sue sculture, che i tempi stessero per cambiare lo si era già capito, mentre in Italia la gente si scaldava ancora alla fascina del boom economico. Genovese di nascita e leggermente sparagnino (taccagno) d’animo, Celant, anche se leggermente in ritardo sul resto d’Europa, il tempo lo prevede prima dei suoi amici e colleghi italiani, e con un articolo su Flash Art intitolato “Appunti per una guerriglia” nel novembre del 1967 lancia il movimento dell’Arte Povera, nome che di per sé garantiva subito un certo risparmio di mezzi e di spese. Da dove sia venuto il nome arte povera, a parte dalla possibile cautela economica del critico mentore del movimento, non si è mai veramente saputo. Alcuni sostengono che il nome fosse un riferimento ai materiali usati dagli artisti» (Bonami). Al culmine del successo dell’Arte Povera, cominciò a occuparsi di altro: «Il riconoscimento c’era stato e allora capii che per me era importante chiudere. Perfino Guttuso arriverà a dire “Viva l’arte povera”. È chiaro che si apriva un’altra stagione. Le avanguardie hanno una loro parabola: muoiono quando finiscono di essere dirompenti. A quel punto non si aveva più la necessità di dare un nome al movimento, l’esperienza di gruppo era finita. E poi, sia chiaro, non avevo nessuna voglia di rimanere Mr. Arte Povera per tutta la vita» [a Raffaella De Santis, Rep 22/9/2011] [voce a cura di Lauretta Colonnelli, dal Catalogo dei viventi 2019, Marsilio 2018]. Morto all’ospedale San Raffaele di Milano, dove era ricoverato da due settimane dopo aver contratto il coronavirus.
Leggi, nella Sezione Lettere, il ricordo di Fiorella Minervino