30 aprile 2020
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Biografia di Andrea Degortes detto Aceto
Andrea Degortes detto Aceto, nato a Olbia il 1° maggio 1943 (77 anni). Fantino • Dominò la scena del Palio di Siena per quasi un trentennio (primo trionfo nel 1965, ultimo nel 1992), vincendone 14 su 58 (doppio record) • «Signore assoluto in piazza del Campo» • «Il più carismatico, burbero e vincente fantino del Palio» (Gian Marco Chiocci, il Giornale 28/01/2013) • «Nessuno è partito da un pascolo di capre in Sardegna ed è arrivato ad ospitare Blair e Pavarotti, a far cavalcare Mel Gibson e Andrea Bocelli, a incontrare il Papa, a meritarsi il tifo del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini» (Luigi Garlando, La Gazzetta dello Sport, 20/7/2003) • «Quasi olivastro, come un indio, si può dire davvero che sia un prodotto di quel crogiolo di razze di una terra di conquista e di passaggio, che è da sempre la Sardegna: ha un po’ di spagnolo, un po’ di arabo, qualche tocco slavo […] Di lui si è scritto che è un conte, rampollo del ramo cadetto di una nobile e decaduta famiglia di origine spagnola […] “Macché conte, sono re. Il re della piazza” E ironizza sulla storia della sua nobiltà e precisa che il suo cognome si scrive Degortes, tutto attaccato: “Altrimenti a Olbia e in Sardegna dove sono nato, dovremmo essere nobili a centinaia, perché moltissimi cognomi sono preceduti dal De”» (Alberto Pinna, Corriere della Sera, 6/9/1980) • «Ora si gode il meritato riposo di guerriero, nella pace della sua villa immersa nelle incantevoli Crete, ad un tiro di schioppo da Asciano. Mentre si accende una sigaretta e mi lancia uno sguardo attento, rivedo a tratti quel piglio nervoso e insofferente di colui che è stato e rimane, con i suoi 14 trionfi, il più grande fantino della Piazza di tutti i tempi, dopo il Gobbo Saragiolo e Bastiancino» (da ilpaliodisiena.eu) • «Dino Viola, in casa di Gaucci, mi disse: “Lei mi sembra un po’ mafioso e un po’ genovese”. Paraculo magari, genovese mai. Io sono splendido. Scampi e aragoste» • «Fossi nato calciatore, sarei stato Gigi Riva. Poi Pelé, che ho visto giocare, e Maradona che un giorno mi disse: “Io e te siamo nati per essere dios”» • «Anche i miei avversari non possono non riconoscere che sono stato il migliore».
Titoli di testa «“Ah, no: quella cravatta no! Se vuol sedere alla mensa di sua maestà Aceto I, mangiando questi tagliolini coi funghi e bevendo di questo dolcetto d’Alba (una meraviglia!) deve togliersela. E in fretta. Non sopporto i giornalisti con i colori del rione Torre appesi al collo”. Come fa ai nastri di partenza, Andrea Degortes scatta subito con un colpo di scudiscio. Mica per altro lo chiamano Aceto, per via del caratterino un po’ acido. “Ovvia, non la si offenda” ammicca un signore della sua festosa “corte”. Gli è che Aceto usa la lingua come un frustino. E oggi è di buonumore» (Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 18/9/1984).
Vita «Sono nato in via Acquedotto 58, poco più giù delle Poste. Olbia ancora si chiamava Terranova, era molto piccola, non era la bella città di oggi. Eravamo sette figli. Ai tempi era dura mantenere una famiglia. Io aiutavo mio padre in campagna, teneva il bestiame alla Galbani. E spesso di notte mi toccava rimanere lì a dormire. Scuola ne ho fatto poca» (ad Alessandro Pirina, la Nuova Sardegna, 24/12/2019) • È amico del figlio di un pescatore e assieme ne combinano di tutti i colori. «Nell’isolotto davanti al cimitero radunavano i somari per poi portarli in continente. Avevamo più o meno 12 anni. Io gli dissi: “prendiamo la barca, tu remi e ci freghiamo un somaro”. Così abbiamo fatto. Siamo arrivati sull’isolotto, abbiamo caricato l’asino sulla barca e lo abbiamo portato sulla terraferma. Per 15 giorni l’ho tenuto nascosto in campagna, finché un tale non ha raccontato del furto a mio padre, che mi ha dato talmente tante botte che ancora oggi me le ricordo» • Quando ha 13 anni si trasferisce a Roma. «Mio padre aveva venduto e le capre e nel frattempo mio fratello lo avevano preso come giardiniere in Vaticano. Un bel lavoro a quei tempi. E tutta la famiglia ha deciso di seguirlo» • Vanno ad abitare a Primavalle. Una zia, già lì da un po’, si occupa di trovare un lavoro per tutti • «A lui toccò quello di garzone di salumeria, ma il “pizzicagnolo” lo rimproverava sempre perché il giovane sardo si perdeva tra le strade della capitale: “Datti all’ippica, mi disse un giorno”. E quella fu la profezia che ha poi cambiato la vita di Degortes Andrea» (Carmine Festa, Il Tirreno, 3/7/2011) • «Mi sono innamorato dei cavalli. Andavo giù alle Capannelle e tornavo a casa una sera sì e una no. Mia madre mi dava tre panini con la cioccolata: uno per il pranzo, il secondo per la cena e il terzo per la colazione del giorno dopo» (a Stella) • Un giorno, all’ippodromo, un ragazzo più grande lo sfotte per via dell’accento. Lui si infuria e lo insegue con un forcone. «Lo aggredì così violentemente che quando intervennero gli altri stallieri per fermarlo chiesero: “che t’ha preso d’aceto?”. Espressione romanesca che indica la reazione esagerata per qualcosa di poco conto» (palio.siena.it) • «Ero un ragazzo molto vivace» (a Stella) • Vuole partecipare alle corse. «Il ragazzo, però, cresceva in fretta. Anzi: si allungò un po’ troppo nella statura, e arrivato al momento del grande lancio, era ormai troppo pesante per montare un purosangue negli ippodromi. Si guardò un po’ intorno, ascoltò il suggerimento di qualche amico e finì a Siena» (Stella) • «E Aceto fu abile manager di se stesso, chiedendo a ogni contrada di rilanciare pur di averlo in sella al barbero (il cavallo che corre il palio). Oca, Bruco, Civetta e un po’ tutte le contrade senesi lo hanno avuto. Vincitore, ma anche sconfitto. Così fu la prima volta quando, era il luglio del ’62, il popolo del Bruco a fine corsa lo avvicinò per suonargliele. “Mi rifugiai in un negozio e giurai che quello sarebbe stato il mio primo e ultimo palio”» (Festa) • «Mi salvai scappando da una finestra; piangevo e dicevo: “Non correrò mai più”, ma mi convinsero che la cattiveria era l’unica e grande regola del gioco”» (a Emanuela Audisio, la Repubblica, 17/8/1985) • «Da uno così, non ti aspetti un giuramento che duri a lungo. Quaranta giorni dopo, per il palio d’agosto, era di nuovo in sella. Andò male anche quella volta. Non così due anni dopo quando, con l’Aquila, Aceto arrivò per primo al bandierino che dopo tre giri segna la fine della corsa. Fu quello l’inizio del mito» (Festa) • Gareggia per l’Aquila, per l’Oca, per l’Istrice, per la Selva, per la Chiocciola, per la Civetta, per il Leocorno. Il suo talento viene conteso a suon di centinaia di miglia di lire, quando uno stipendio non superava le trentamila • «Una volta, al Palio di Legnano, rabbioso per essere stato buttato giù di sella con una frustata, si rialzò, balzò sul suo destriero, riagguantò i due che gli avevano fatto lo scherzetto, si infilò in mezzo e, una mano per parte, diede una strattonata al morso dei cavalli rivali, fermandoli e scatenando un finimondo. Una squalifica di qua, una da un’altra parte, Aceto è arrivato comunque a collezionare fino ad oggi nientemeno che 17 palii: 12 a Siena (con i colori di diversi rioni, ma soprattutto - quattro - con quelli dell’Oca), 2 ad Asti, 1 a Legnano, 1 a Budi e uno a Castiglion Fiorentino. E grazie a queste vittorie, la sua vita è cambiata» (Stella) • «Ai miei tempi facevamo a chi tirava più cazzotti. Se ne davano e se ne prendevano e prima della partenza c’era anche chi afferrava le redini del cavallo avversario. Questa era la tradizione» (Stefano Taglione, Il Tirreno, 27/4/2015) • «Cammina per strada ma non riesce a fare più di due passi senza esser fermato: si congratulano, lo abbracciano, lo baciano. Le donne gli gettano occhiate languide, gli uomini lo guardano con un po’ d’invidia. Nel cuore del popolo senese ha preso il posto di Guidoriccio da Fogliano. È il capitano dell’ultimo rito medievale italiano» (Paolo Vagheggi, la Repubblica, 4/7/1985) • «Sono cosciente di essere il più forte rispetto agli altri sono un fantino che viene da un altro pianeta» • «Più gli anni passano e più divento bravo: conta l’esperienza e l’allenamento. Ma non voglio invecchiare correndo in piazza. Mi voglio ritirare da grande, dopo una bellissima vittoria. Non voglio cadere sulla piazza, voglio uscire dalla piazza» • «I rinvii non sono graditi ai senesi. Il Palio di luglio è dedicato alla Madonna e non c’è da scherzare sulla data del 2. Per via della tradizione, delle tensioni, delle scadenze. E delle scaramanzie. Ma in quel 1992, il 2 pioveva a dirotto e così la conquista del Cencio venne rimandata di un giorno, tra i mugugni dei contradaioli, furiosi perché “un Palio che si rimanda è come un piatto che scuoce”. Nervosissimo anche lui, Andrea Degortes detto Aceto, il fantino dei miracoli, re della Piazza, che punta al quattordicesimo Drappellone con i colori de L’Aquila. Ai canapi, prima della mossa, c’è subito aria di nerbate, soprattutto con Legno, il fantino dell’odiata Pantera e al via del mossiere, la bagarre è da brivido. Alla curva di San Martino cadono Nicchio e Montone, al casato è il turno di Oca e Drago. In pista crollano come birilli cavalli e fantini. Aceto, in sella a Galleggiante, insegue frenetico e solo quando a Fonte Gaia, Legno rovina a terra, s’invola verso la vittoria. Rabbia e esplosione di gioia, scazzottate e gonfaloni al vento degli aquilini, in onore della Madonna del Provenzano. Per Aceto, che con 14 vittorie, è recordman del Palio, è il canto del cigno. E l’ingresso nella leggenda» (Giovanna Gabrielli, il Fatto Quotidiano, 3/7/2011) • Nel 1996, a 53 anni, decide di lasciare le corse. «Ho messo su un allevamento di cavalli, ma l’ippica non sta andando bene e ho smesso. Oggi mi dedico all’agricoltura, ma non sono più un bambino neanche per quello» (a Pirina) • «Oggi cosa fa Aceto? “Prima facevo il fattore, ora mi occupo del fuoco (e guarda il camino acceso). Vado in giro a vedere qualche palio e me ne sto qui tranquillo: gli amici mi vengono a trovare di continuo, non sono mai solo. E non vivo di ricordi: i ricordi li porta via il vento come le biciclette i livornesi, è il detto, no?”» (Giovanna Mezzana, Il Tirreno, 29/1/2019).
Vita privata Sposato con Marzia dal 1967. «Dei figli nessuno ha seguito le orme paterne: Alberto è uno chef, Antonio un imprenditore del settore abbigliamento» (Pirina) • Antonio, detto «Acetello», era noto come frequentatore di locali e movida, per vent’anni è stato al timone della Capannina di Castiglione della Pescaia. A un certo punto era diventato «vicepresidente di Mps Factoring e leasing dopo un’esperienza nel board del Monte dei Paschi in Belgio e una parentesi in Francia» (Chiocci).
Politica «Gli animalisti, come Michela Brambilla, dovrebbero smetterla di parlare a vanvera. Noi senesi vogliamo molto bene ai cavalli, li accudiamo, sono come figli. E quando muoiono, piangiamo per loro. Purtroppo si possono far male anche nei box, non solo durante il Palio» (al Tempo, 4/7/2015) • «Sono lontani i tempi in cui Giulio Andreotti andava a vedere le corse, i tempi di Andreotti e Luciano Gaucci. Poi sono arrivati i politici a cui l’ippica non interessava e la gente si è un po’ sdegnata per il business delle scommesse (ma l’ippica si regge sul gioco); aggiungi il fatto che prima si poteva giocare solo la schedina del Totip e del Totocalcio e ora si scommette su tutto. E l’ippica è finita sepolta» (alla Mezzana).
Religione «Bruciai santini e crocifissi il giorno che a Merano il mio cavallo Predazzo si spezzò l’osso del collo e morì sul colpo. Poi abbiamo fatto la pace. Mi rivolgo soprattutto a San Paolo dei Monti, sardo» (a Garlando).
Vizi «Nella vita si compra tutto. Anche le donne belle e ricche, basta essere più ricco di loro» • Gli piacciono il vino e le sigarette.
Curiosità Nel 2006 partecipò a L’isola dei famosi: «Mi andava l’idea di fare una vacanza su una spiaggia caraibica. Sapevo che, tramite la Tv, c’era questa possibilità e mi sono fatto invitare» • Appassionato di automobili • Era grande amico di Giuseppe Mussari, già presidente del Monte dei Paschi, condannato per le operazioni in derivati durante l’acquisizione di Antonveneta: «Oh, non faccia il bischero. Lei non può uscirsene così e dire che Mussari era amico mio. Mussari è amico mio, lo è ora più di prima. Capito?» • «Ma fra il cavallo e chi lo monta chi conta di più? “L’animale conta per il 65% e il fantino per il 35% ma non dimentichiamoci che il Palio di Siena è per lo più fortuna: il cavallo viene tirato a sorte e se è un brocco rimane un brocco”» (Taglione) • Lamenta che social e telefonini hanno rovinato il clima del Palio. «La contrada, ovvero il popolo, pagano chi monta il cavallo quindi se le cose non vanno bene hanno anche il diritto di tirargli due ceffoni. Il senese avrebbe ancora questa mentalità ma i tempi sono cambiati ed è una condotta non più permessa» • Da quando si è ritirato guarda il Palio in tivù e non va più in piazza: «È un’emozione troppo forte» • Ha venduto la sua vecchia casa di Olbia nel 1984. Ha ancora dei parenti ma a loro non è molto legato. Quando parla della sua città, dalla voce gli traspare un filo di commozione • «Rimpianti? “Pochi. Mi sento un predestinato. Dovevo per forza diventare qualcuno. Se non fossi stato il re della piazza a Siena sarei stato un bandito famoso”. Come quelli sardi che rapiscono in Toscana? “No. Come quelli di una volta. Romantici e leali. A questi d’oggi, sanguinari, strapperei gli occhi con le mie mani...”» (Pinna, nel 1980).
Titoli di coda «Ma cos’è il Palio per Aceto? Ci pensa un attimo, accende l’ennesima sigaretta e dice deciso: “La vita”» (Festa).