24 aprile 2020
Tags : Bertrand Tavernier
Biografia di Bertrand Tavernier
Bertrand Tavernier, nato a Lione il 25 aprile 1941 (79 anni). Regista • Leone d’oro alla carriera a Venezia nel 2015. Un premio Bafta, cinque César, un orso d’oro. Gran premio della giuria a Berlino nel 1974, miglior regista a Cannes nel 1984 • Tra i suoi film: L’orologiaio di Saint-Paul (1974); Che la festa cominci… (1975), Il giudice e l’assassino (1976), La morte in diretta (1980), Colpo di spugna (1980), Una domenica in campagna (1984), Round Midnight (1986), La vita e nient’altro (1989), Daddy Nostalgie (1990), L’esca (1995), Laissez-passer (2002), L’occhio del ciclone (2011), La principessa di Montpensier (2011) • «Uno dei migliori registi francesi oggi in attività. Nei suoi film è sempre riuscito a coniugare qualità, rigore stilistico e capacità narrative, in nome di un cinema dai forti contenuti sociali e politici apprezzato da un larghissimo pubblico» (Fabio Gambaro, L’Espresso, 25/11/1999) • «Con l’impermeabile beige, le mani in tasca, i capelli in disordine, una camminata perennemente in cerca di equilibrio intorno a Place des Vosges, somiglia al suo cinema: poetico, insolente, ferocemente attaccato alla realtà, il cinema che odiavano quelli della Nouvelle vague, ma che avrebbero amato Hugo, Zola o Balzac» (Francesca Pierantozzi, Il Messaggero, 1/5/2002) • «Sono fiero di aver fatto i film che volevo. Sono tutti nati da mie scelte, non ho mai accettato compromessi. Quando a 13 anni ho deciso di diventare sceneggiatore non pensavo di avere questa vita straordinaria. Lascerò ad altri il compito di definirmi».
Titoli di testa «Stanley Kubrick aveva un’ansia di controllo totale. Ai tempi di Arancia meccanica, un giovane Bertrand Tavernier, non ancora regista ma già geniale pubblicitario, fu incaricato dalla Warner del lancio per il mercato francese. Fra telefonate, richieste di informazioni persino sul colore dei muri delle sale di proiezione selezionate, Tavernier andò in tilt e mandò un telegramma a Kubrick: “Mi dimetto Stop Come regista lei è un genio Stop Come datore di lavoro un imbecille”. La Warner incorniciò il testo nella sala riunioni» (Stenio Solinas, il Giornale, 5/10/2007).
Vita Figlio di René e Geneviève Dumond. Lui è scrittore e giornalista antifascista. Durante l’occupazione nazista dirige la rivista Confluences, che pubblica grandi poeti francesi dell’epoca • Secondo Bertrand, la poesia Il n’y a pas d’amour heureux di Louis Aragon è dedicata a sua madre • Quando ha tre anni, dalla terrazza di casa in rue Chabovey, nel quartiere di Montchat, vede le luci dei razzi americani che entrano a Lione • Dopo la fine della guerra, si trasferiscono a Parigi. Bertrand finisce in un collegio di preti • «Ho imparato molto a vivere, da adolescente, grazie alla musica e al cinema. In modo particolare ho amato il jazz e sicuramente esiste un rapporto indissolubile tra la musica ed il cinema, in particolar modo il cinema americano, perché per me John Ford così come Louis Armstrong hanno avuto lo stesso potere emozionale e rivoluzionario» • «Volevo girare un film fin da quando avevo tredici anni. Guardavo i film di John Ford. Mi sono detto che, così come i miei scrittori preferiti, Stevenson, Conrad, Giulio Verne, scrivevano storie con le parole, così io avrei potuto scrivere storie con le immagini» • I suoi genitori, però, sono di un altro avviso e vogliono che continui gli studi. Bertrand frequenta il liceo Henri IV. Poi si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, ma la abbandona dopo un anno per dedicarsi al cinema • «Ho dovuto affrontare dei contrasti con i miei genitori che non erano d’accordo con le mie scelte. Ho vissuto anni di miseria, dovevo guadagnarmi da vivere. Avevo deciso di fare il critico cinematografico. All’epoca c’erano uno o due riviste che pagavano qualche cosa. Non Positif. Positif non mi ha mai pagato. Ma anche gli altri non è che pagassero chissà che. Mi potevo permettere un panino, ma avevo l’opportunità di incontrare grandi registi. È così che ho incontrato Jean Pierre Melville. Mi ha preso come terzo assistente alla regia, ho collaborato con lui a un importantissimo film, ma in realtà il mio lavoro fu davvero pessimo. Melville mi disse: “Come assistente non vali niente”. E non aveva torto, in effetti. Io ero terrorizzato: ero timido, lui mi incuteva un grande timore riverenziale. Aggiunse “Forse però potresti essere un buon addetto stampa” e mi ha consigliato al suo produttore. Mi ha licenziato e fatto riassumere nel giro di un minuto» (da un video pubblicato da CinemioBlog su YouTube, 3/9/2013) • Per quattro o cinque anni lavora per Georges de Beauregard, il produttore di Melville. Poi si mette in proprio. «Sono diventato un addetto stampa indipendente: un mestiere che non concepivo solo come un modo per pubblicizzare un film. Cercavo di portare avanti la mia attività di critico e storico del cinema. Cercavo di lavorare solo su pellicole che mi piacessero moltissimo: mi occupavo di cinema americano, inglese, svizzero. Ne approfittavo per incontrare tutte le persone che avevo voglia di conoscere – Joseph Losey, John Ford, Alain Tanner. E allo stesso tempo ho imparato il mestiere: come si monta un film, le questioni finanziarie, il rapporto con i produttori, i distributori, gli esercenti… Fu una buona scuola» • «Avevo rinunciato a girare un film nell’immediato, per farlo solo quando mi sarei sentito pronto» • La svolta arriva quando conosce Philippe Noiret: «È grazie a lui che faccio cinema. Quando volevo fare il mio primo film, ha ricevuto un giovanotto di 29 anni, e ha accettato, restando legato al progetto nonostante ci siano voluti tre anni prima di trovare le risorse. Era un gentleman, un uomo con cui mi sono molto divertito. Aveva un concetto del proprio mestiere fortissimo, un’educazione e un rispetto per gli altri formidabili» • «Osai proporgli di essere protagonista del mio primo film, L’orologiaio di Saint Paul. Contro il parere del suo agente, accettò. Non mi ha mai mollato. Tre anni di lotte e umiliazioni, sempre con lui a fianco. Perché l’hai fatto? Gli ho chiesto un giorno. “Perché ti avevo dato la mia parola”» (a Giuseppina Manin, Corriere della Sera, 9/9/2015) • È il 1974. Il film «segnò l’inizio di un lungo e proficuo sodalizio con Philippe Noiret, ma anche dalla collaborazione con gli sceneggiatori Jean Aurenche e Pierre Bost, i quali proprio grazie a T. ripresero a scrivere per il cinema dopo un lungo periodo di inattività. Ambientato nella città natale del regista, offre un riuscito spaccato della provincia francese, sul cui sfondo viene disegnato con estrema partecipazione il dramma di un orologiaio che vede andare in frantumi la sua tranquilla quotidianità dopo l’arresto del figlio» (Treccani). È un successo. Tavernier vince l’orso d’argento a Berlino • Da allora la sua opera si può dividere in due filoni • I film storici: Che la festa cominci, ambientato nel Settecento; Il giudice e l’assassino, alla fine dell’Ottocento; Colpo di spugna, nel Senegal degli anni Trenta; Una domenica in campagna, all’inizio del Novecento; Il quarto comandamento, nel Medioevo; Capitan Conan, negli ultimi mesi della prima guerra mondiale; Laissez-passer, nella seconda • «La storia è una fonte di formidabili soggetti drammatici. Quando leggo una biografia o un saggio su una certa epoca, di colpo dentro di me nasce un film. La storia ha anche il vantaggio che ti aiuta ad essere analitico e contemporaneamente a selezionare ciò che è importante ai fini di una narrazione o dell’emozione» • «Per tutta la vita ho incontrato difficoltà a trovare finanziamenti. Malgrado i miei successi, la gente non era pronta ad accettare i miei prodotti, le mie idee. Per Che la festa cominci… trovare finanziamenti fu un incubo: mesi, anni di lotta» (CinemioBlog) • Nel 1989 vuole girare La vita e nient’altro, storia delle donne che andavano alla ricerca dei dispersi subito dopo la fine della grande guerra. «Per quel film sono stato addirittura convocato dall’allora amministratore delegato di Hachette. Mi ha detto “Non avrà successo. Questo film non avrà un solo spettatore”. Mi ha detto che sarebbe stato un film orribile, terribile, morboso, un film che parla della morte. Al contrario, gli ho detto io, è un film sulla vita, sulla vita che ricomincia, avrebbe potuto fare addirittura ridere. “Ancora peggio” mi ha risposto. “Bertrand, io ti offro un assegno se rinunci al film, e per rimpiazzarlo, ti offro un altro contratto per un soggetto a tua scelta. Ho rifiutato. Ho rifiutato denaro gratis. Mi ha guardato negli occhi come se fosse un matto. Deve aver pensato che fossi malato di mente e che non era il caso di mettersi a discutere. Me lo ha lasciato fare» (Cinemio Blog) • «L’altro filone del cinema di T. è stato l’esplorazione dei sentimenti e dei conflitti tra i personaggi, in storie racchiuse in uno spazio ben più circoscritto e quasi domestico, come quella del regista che, trasferitosi in un appartamento di periferia, vive una storia d’amore con un’inquilina (I miei vicini sono simpatici, 1977, ); o la malata terminale i cui ultimi giorni di vita vengono mandati in onda, a sua insaputa, da una rete televisiva (La morte in diretta, 1980); o ancora l’insegnante che si prende una vacanza per ritrovare sé stessa e le persone a lei più vicine (Una settimana di vacanze, 1980); e infine il direttore di una scuola materna che deve confrontarsi con l’insensibilità delle autorità scolastiche (Ricomincia da oggi, 1999). In questo gruppo di opere emerge Daddy nostalgie (1990), uno dei film più intensi del regista, cupo, pudico ed emozionante nel ritrarre i sentimenti di una figlia che si riavvicina al padre dopo aver saputo che questi è malato» (Treccani) • Gira pure un reportage sulla musica blues, Mississippi blues (1984), un omaggio al jazz, Round midnight (1986), e un documentario sulla storia del cinema francese, Voyage à travers le cinéma français (2016) • «Dopo il successo internazionale di Round midnight Bertrand Tavernier ha ricevuto esattamente 25 proposte di nuovi film da produttori europei, americani e anche asiatici. Le ha rifiutate tutte, una dopo l’altra. Gli abbiamo chiesto perché. “Per la semplice ragione che i soggetti ruotavano attorno al mondo del jazz, che io adoro, sia chiaro: ma a me piace cambiare continuamente, non fossilizzarmi…”» (Corriere della Sera) • Nel premiarlo con il Leone d’oro alla carriera, il direttore artistico della mostra del cinema di Venezia lo descrive cosi: «Un autore completo, istintivamente anticonformista, coraggiosamente eclettico» • Lui spiega: «Ci siano due tipi di registi. Ci sono i minatori che scavano nella miniera andando alla ricerca di qualcosa di sempre più puro. E poi ci sono i contadini, che coltivano il grano e il mais e allevano i polli e il bestiame. Lavorano in modo tradizionale, si occupano di tante piccole cose. Io sono un contadino».
Vita privata Sposato dal 1965 con Claudine O’Hagan, che si fa chiamare Colo perché non le piace il nome Claudine. Divorziarono nel 1980, ma questo non le impedì di diventare la sceneggiatrice di Una domenica in campagna (1984) e Quarto comandamento (1987) • Due figli: Niels (n. 1965), attore e regista; Tiffany Tavernier (n. 1967), scrittrice.
Politica È di sinistra. Nel 2015 disse: «Dovevo fare un film con Luchini sul partito socialista francese. Ero andato a filmare il congresso di Rennes, ma due giorni dopo mollai tutto per depressione» (alla Manin) • Ha definito Hollande «un presidente autistico».
Curiosità È alto 1 metro e 85 • Il regista Volker Schlöndorff era suo compagno di liceo • È una buona forchetta • Amante della musica, oltre che del cinema • «Da quando c’è l’Europa in Francia vediamo meno film italiani, e voi in Italia molto meno i nostri. È un vero paradosso» • Si oppose, con Mitterand, al tentativo di Berlusconi, spalleggiato da Craxi, di esportare La Cinq in Francia: «questo dimostra come i socialisti francesi siano stati più lucidi di quelli italiani» • «Se da noi esiste un cinema di qualità [...] è anche perché abbiamo instaurato un sistema di regole che lo difende e lo aiuta a crescere. Abbiamo imposto alle televisioni una quota fissa di film francesi e europei, costringendole a contribuire alla produzione cinematografica. Oggi però gli americani, in nome del liberismo sfrenato, ci accusano di protezionismo e vorrebbero costringerci a togliere ogni regola. Secondo loro il cinema dovrebbe essere considerato come un qualsiasi prodotto commerciale, senza implicazioni artistiche o culturali. In passato, però sono stati proprio loro a imporre regole e protezioni per difendere i loro film. Così, in Francia, nell’immediato dopoguerra, in cambio degli aiuti del piano Marshall, ottennero che le nostre sale riservassero obbligatoriamente nove settimane su tredici alla programmazione di film d’oltreoceano» • «Oggi il sonoro è più importante di una volta e conta molto nel successo di un film. Il doppiaggio rischia di produrre un abbassamento complessivo della qualità dei film. Il sonoro in presa diretta è migliore, elettrizza gli attori e obbliga la troupe a una maggiore concentrazione: le riprese diventano più intense. L’idea che tutto si può sistemare al doppiaggio, favorisce il rilassamento e una sorta di pigrizia collettiva. Così sul set capita di tutto».
Titoli di coda Molto emozionato per il Leone d’oro alla carriera: «Un tale premio dal Paese di Rossellini e di Fellini, di Risi e di Scola… E del caro Monicelli… Ero stato cinque giorni sul set di Amici miei, non mi sono mai divertito tanto. Ho sempre sognato di fare un film bello come i loro. Non so se ce l’ho fatta, ma alla fine sono soddisfatto».