17 aprile 2020
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Biografia di Sol Gabetta
Sol Gabetta, nata a Villa Maria, nella provincia di Cordoba, in Argentina, il 18 aprile 1981 (39 anni). Violoncellista • «Giovane, bella e brava» • «Franco-russa con origini italiane (“il mio carattere riflette il mio sangue”), parla sei lingue, ha avuto una nomination ai Grammy (gli Oscar della musica) e diversi compositori scrivono per lei, ha un violoncello Guadagnini del 1759 “dal suono purissimo”, conduce un programma tv in Germania, organizza un festival in Svizzera, dove vive. E quando non è solista, suona nell’ensemble familiare» (Valerio Cappelli, Corriere della Sera, 21/2/2014) • «Ha collezionato collaborazioni prestigiose, una carriera di concerti con le più celebri orchestre del mondo e un palmarès delle meraviglie» (Natalia Distefano, Corriere della Sera, 7/11/2019) • «Graziosa, dal sorriso luminoso come il nome che porta, e dotata di un’abilità indiscutibile a far risplendere di colori sfumati il suo amato violoncello» (Luigi Di Fronzo, la Repubblica, 3/9/2013).
Titoli di testa «Il violoncello è lo strumento più vicino alla voce umana tanto che il pubblico non si rende subito conto se sto cantando o suonando» (a Cappelli).
Vita «Sol, chiamarsi col nome di una nota sembra una predestinazione. “Invece non ha niente a che vedere con la musica”. Dietro c’è un dramma della sua famiglia: “Sono l’ultima di quattro fratelli. Mia sorella, che ha 15 anni più di me, è autistica, l’iperattività è il problema maggiore, non può sedersi tre minuti di seguito, i miei genitori quando possono la portano ai miei concerti e la musica la tranquillizza. I miei hanno anche avuto due gemelli, che sono morti. Mia madre era sotto shock, a mio padre disse che non voleva che la famiglia finisse così. E sono nata io: Sol è il sole che rinasce dopo quella tragedia”» (Cappelli) • «I miei avi erano torinesi. Gabetta è un cognome piemontese, purtroppo non so di più perché gli antenati di mio padre emigrarono tre generazioni fa» (a Franca Cassine, La Stampa, 15/3/2019) • Sua madre, invece, è una pianista russa nata in Francia: «È un po’ complicato da spiegare, ma questa commistione di nazionalità è una grande ricchezza per me» • «Mi sento molto vicina alla cultura e al modo di sentire della gente russa. C’è qualcosa di forte e al tempo stesso di caloroso che fa parte anche del mio carattere. Molti pensano che il mio lato estroverso appartenga al mio essere argentina, ma non credo» • «Ha incontrato la passione per il pentagramma da giovanissima: aveva appena tre anni quando iniziò a esplorare il suo talento» (Distefano) • «Ho sempre saputo che la musica avrebbe giocato un ruolo importante nella mia vita e che volevo esibirmi in pubblico, ma quando ho provato il pianoforte, il clarinetto e, all’età di due anni e mezzo, il violino, sentivo che non erano fatti per me» (a The Guardian, 14/7/2016) • «Ho cominciato a studiare il violoncello perché volevo uno strumento più grande di quello che suonava mio fratello violinista» • «Mi sono sentita a casa. Il suono del violoncello ricorda molto da vicino la voce umana, mi è sembrato subito familiare: sembra di sentire tutte le voci, soprano, alto, tenore, basso, tutte in un unico strumento, una cosa molto speciale» (a The Guardian) • «I genitori fecero arrivare dal Giappone il più piccolo violoncello in commercio» • Inizia a studiare canto e musica a quattro anni • «Avevo otto anni quando papà, per le mie lezioni di musica, mi portava avanti e indietro da Cordoba a Buenos Aires: ottocento chilometri in automobile. Noi abbiamo un altro concetto delle distanze in Argentina» (a Cappelli) • «Quando sei piccola non ti chiedi troppe cose, le fai e basta. Non c’è mai stata l’imposizione dei miei, seguivo solo l’istinto. Non chiedevo altro che di andare da quella insegnante, di vivere con lei quelle due ore di assoluta magia e il viaggio era una sorta di lunga odissea. Rammento paesaggi sconfinati, qualche sosta sul ciglio della strada perché papà riprendesse le forze, certe albe luminose. Ma io per lo più dormivo sui sedili posteriori, abbracciata ad un piccolo violoncello» (Luigi Di Fronzo, la Repubblica, 24/10/2018) • Presto se ne va in Europa, continua la sua formazione tra Spagna, Germania e Svizzera • Si prepara sul Concerto di Saint-Saëns, un’opera del 1868. «Intorno agli undici anni feci uno dei primi saggi con orchestra a Basilea, dove mi ero trasferita per il perfezionamento: uno dei momenti più impegnativi della mia carriera, visto che per passare la selezione mi trovai a competere con colleghi più vecchi di me. È comunque un Concerto che nella sua tinta di romanticismo lineare, molto classico mi ha sempre insegnato parecchio. Si respira un’aria di freschezza, di esuberante vitalità che lascia il pubblico a bocca aperta» (a Di Fronzo 2018) • «A tredici anni esordisce al teatro Colon di Buenos Aires in un concerto per prodigi definiti "i geni del ventesimo secolo". La carriera internazionale comincia dieci anni dopo con una serie di riconoscimenti per l’attività concertistica e discografica tutti di primaria importanza» (Fiorella Sassanelli, la Repubblica, 9/11/2019) • Nel 1997 porta la quinta sonata di Beethoven al concorso Rostropovich, prestigiosa competizione per violoncellisti di Parigi. Arriva quinta. «Era stata una sfida. Per una ragazza di quindici anni non è semplice penetrare nella testa del Beethoven ormai quasi completamente sordo e nel suo pensiero musicale influenzato dalla perdita di contatto sonoro con il mondo esterno. Il mio percorso in effetti è stato a ritroso. Di solito si comincia con Mozart per poi passare ad Haydn, Schumann e Dvořák. Nel caso di Beethoven invece io ho interpretato prima i pezzi più complessi per poi approdare a quelli più classici, diciamo dall’avanguardia alle origini» (a Marco Andreetti, Corriere della Sera, 27/11/2014) • Lei suona con un Guadagnini del 1759 dal valore di un milione e mezzo di euro, messole a disposizione da una fondazione privata. Lei lo ha soprannominato Mr. Gabetta • «La cosa più affascinante del violoncello è come si è sviluppato nei secoli. Ha avuto molte vite prima di diventare il moderno strumento che conosciamo oggi. È stato conosciuto come la viola da gamba o la viola d’amore. Era considerato il più erotico tra gli strumenti» (a The Guardian) • «Mi sento un po’ la guardia del corpo di questo violoncello. Anche quando sono in tournée devo fare sempre grande attenzione. Viaggio molto e dopo un concerto, o magari alle quattro del mattino, può sempre capitare che nonostante le sue dimensioni, a causa della stanchezza, finisca per dimenticarlo da qualche parte. È per questo che non smetto di pensarci un attimo: come una mamma, tengo il conto dei bagagli, faccio l’appello dei bambini… E il mio è sempre con me» • «Credo che la mia personalità sia maturata anche grazie alla musica. Mi ha liberata dalla paura del pregiudizio e delle aspettative, di quello che alla gente può piacere o meno. Il risultato è che sono contenta di me e di quello cha faccio. E condividerlo con altre persone è quanto mi fa sentire davvero libera» (a Euronews, 22/4/2010).
Vita privata Sposata con un restauratore di strumenti antichi • Nel 2018 ha avuto un bambino • «Dal 2019 ho scelto di rallentare, farò meno concerti per scavare meglio negli archivi e trovare nuovi pezzi per violoncello, pescando fra i secoli passati e le novità di oggi» (Di Fronzo).
Curiosità Vive a Basilea • Suo fratello Andrés è violista, suonano spesso assieme • Nel 2014 papa Francesco l’ha ricevuta in Vaticano: «Mi ha detto in spagnolo di pregare per lui, io gli ho risposto se poteva pregare per me. Allora ha concluso: va bene, allora preghiamo insieme l’uno per l’altra. Gli ho dato un mio cd ma non aveva capito che era mio, era interessato, ma non credo che la musica sia in cima ai suoi interessi» • Pensa che sia sbagliato tenere separati i generi musicali: «Faremmo bene ad ascoltare di tutto, dal pop alle sinfonie, senza paletti» • «Il giorno del concerto dormo tantissimo e mangio molto cioccolato con cacao all’85%, mi dà molta energia».
Titoli di coda «Tra il violoncellista e il violoncello c’è un rapporto fisico ancora più stretto di quello che i violinisti hanno con il violino. Noi infatti lo abbracciamo, è come un’appendice del nostro corpo» (a Cappelli).