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 2020  aprile 07 Martedì calendario

Biografia di Lajos Portisch


Lajos Portisch, nato a Zalaegerszeg, Ungheria, il 4 aprile 1937 (83 anni). Scacchista • «Una delle figure più importanti degli anni fra il ’60 e l’80: la leggenda ungherese degli scacchi, forse il più forte giocatore non sovietico» (Riccardo Moneta, sul sito Unoscacchista, 3/4/2017) • «Il Davide ungherese contro il Golia sovietico» (Bruno Manzardo, Rivista di Scacchi, 2/5/1973) • Uno dei più forti esponenti della scuola posizionale, secondo solo a Karpov. Gran maestro nel 1961, all’età di 24 anni. Otto volte campione ungherese. Nel 1972 è stato subito dietro a Fischer e Spassky. Nel 1974 ha battuto Petrosian, allora campione del mondo. Ha raggiunto il suo rating più alto nel 1980, con 2655 punti Elo. Per lungo tempo è stato terzo nella classifica mondiale dopo Karpov e Korcnoj. Dal 1956 al 2000 ha preso parte a venti Olimpiadi degli scacchi, mai nessuno ne ha fatte così tante. Ha partecipato otto volte al torneo per il titolo di campione del mondo, ma non è mai riuscito a vincerlo • «Persona dai modi garbati, dallo stile di vita semplice, appassionato di fotografia, di calcio, di opera e di pianoforte, non raggiunse mai quei vertici assoluti che la sua bravura e la sua profonda preparazione avrebbero meritato» (Moneta) • «Per calma, impassibilità, costanza di rendimento nelle grandi prove, costituisce un tipo esemplare di giocatore di scacchi: all’occorrenza la sua capacità combinatoria non è seconda a quella di nessun altro» (Mario Monticelli, Corriere della Sera, 4/9/1975) • «È sempre tranquillo, appartato, pare malinconico. Durante un torneo mangia quotidianamente due chili di limoni» (Luciano Curino, La Stampa, 10/9/1975).
Titoli di testa Amico di Robert Fischer. «“Bobby mangiava solo una volta al giorno, ma quando si decideva, mangiava tantissimo”. Per forza. “Già, si sbafava un chilo di gulasch!”» (Albert Silver, Chess Base, 2/2/2012).
Vita «Mio fratello e io abbiamo ricevuto una scacchiera per Natale» • «Qualcuno giocava a scacchi in famiglia? “Ai mie genitori piaceva. Papà se la cavava. E anche la mia zia preferita, zia Bozsi, sapeva giocare. Probabilmente è stato uno di loro a insegnarci le regole”» (Tibor Károlyi, Legendary Chess Careers, Chess Evolution, Polonia 2015) • I Portisch abitano a Zalaegerszeg, una piccola città vicino al confine con la Slovenia. Lajos e suo fratello passano le giornate sulle rive del fiume Zala, a guardare gli adulti giocare a scacchi • «Non avevamo abbastanza pezzi però li rimpiazzavamo con i bottoni. Ci chiamavamo con i nomi dei grandi giocatori. Io ero Keres e lui Bronstein, giocavamo più di una partita contemporaneamente» (Károlyi) • «Abbiamo cominciato a giocare anche noi con gli adulti, lungo il fiume, e ci siamo accorti che i giocatori migliori erano tutti iscritti a un circolo di scacchi» • I due fratelli diventano allievi di Antal Csuti, forte giocatore di quegli anni • «Purtroppo ho cominciato molto tardi. Avevo già dodici anni e sono maturato lentamente: sono nato in una piccola città in Ungheria. Non c’erano manuali, non c’erano computer ovviamente, non avevamo nemmeno gli orologi per segnare il tempo tra una mossa e l’altra. Per questo sono così lento a fare le mie mosse, e vado così male nel gioco rapido» • Vincere gli piace moltissimo: «Qualunque ragazzino è felice se riesce a battere un adulto» • «Quanto spesso si allenava allora? “Non avevo orari fissi, giocavamo tutto il tempo non occupato dalla scuola e da altri impegni. Poi ovviamente c’erano le vacanze: potevamo dedicarle tutte ai tornei. Sono diventato presto il miglior giocatore di Zalaegerszeg. Ma la prima volta che sono arrivato alle semifinali nazionali, vedevo ancora la cosa come un gioco. Prima di una partita occorre prepararsi seriamente, io non lo capivo. Quando hai un torneo il giorno dopo, be’, andare al luna park non è la cosa più indicata. Invece, mio fratello mi disse ‘Andiamo al luna park’ e siamo andati al luna park… E infatti ho perso”» (Károlyi) • «All’epoca non avevo un giocatore preferito, poi sono riuscito a trovare due libri di Nimzowitch, che mi hanno molto influenzato. È stata una vera fortuna: ho potuto iniziare seguendo le sue strategie. Non a caso in quegli anni la mia apertura preferita era e4-Cc6» (a Károlyi) • A diciassette anni si guadagna il titolo di maestro • «Quanti anni aveva quando si è reso conto che sarebbe potuto diventare un giocatore professionista? “Alla fine delle superiori, andai all’università per studiare Scienze economiche ma non ero proprio portato. E così, dopo un mese ho mollato e ho deciso che volevo diventare uno scacchista professionista. Avevo diciotto anni”» (Silver) • Portisch all’epoca suona il violino, i suoi lo vorrebbero musicista. Decide di lasciar perdere anche quella strada: «Pensavo che negli scacchi bisognasse studiare meno che nella musica. Poi ho capito che mi sbagliavo» (a Károlyi) • Portisch diventa famosissimo nel mondo degli scacchi ma non riesce mai a vincere il campionato del mondo • «Spesso mancò quell’ultimo passo verso il successo, probabilmente sempre frenato da un pizzico di nervosismo e insicurezza: di solito nello sport il super-campione lo si riconosce nei momenti cruciali, quando riesce a dare quel qualcosa in più in grado di fargli raccogliere i massimi risultati; lui invece nei momenti cruciali riusciva a perdere in parte la convinzione e la fiducia nelle proprie enormi capacità, in special modo nei matches. E così restano oggi celebri più i suoi passi falsi dei suoi successi. Il primo passo falso gli accadde a Stoccolma 1962, quando già avrebbe potuto agguantare la qualificazione al Torneo dei Candidati se avesse battuto all’ultimo turno l’ultimo in classifica, l’indiano Aaron. Aaron giocò invece la partita della vita e Portisch uscì sconfitto. Curiosamente pochi mesi dopo affrontò lo stesso avversario nel match olimpico Ungheria-India, e non a caso ci perse di nuovo. Anche in questa occasione seppe comportarsi, a differenza di tanti altri grandi, con ineccepibile signorilità: si fermò a lungo sulla scacchiera ad analizzare la partita insieme ad Aaron. Le sconfitte più brucianti non hanno mai tolto a Lajos la serenità. Esemplare in questo senso fu il torneo di Zagabria 65, quando sconfisse, tra gli altri, anche l’allora campione del mondo, Tigran Petrosjan. Il vincitore Ivkov dichiarò che Portisch aveva giocato meglio di chiunque altro e che la vittoria finale era sfuggita all’ungherese solo per un caso. Portisch replicò: “No, Ivkov ha meritato di vincere”. Insomma, era un pochino diverso da Bobby Fischer e forse anche da Carlsen, eh? […] L’ultima grande opportunità della sua carriera la ebbe ad Abano Terme nel 1980, quando incontrò nel “match dei Candidati”, da favorito, il tedesco Hubner. E qui emerse di nuovo, nonostante l’esperienza, la sua fragilità psicologica: lui fu come ipnotizzato da Hubner, giocò assai male e perse il match per 4,5 a 6,5» (Moneta) • «“Ci sono stati molti giocatori della vecchia generazione, come Korchnoi, come Timman, come Keres, come me, che non sono mai diventati campioni del mondo, anche se erano molto forti. Con Mecking penso di aver giocato una volta sola a Wijk aan Zee. Ci incontrammo in chiesa. Io sono cattolico praticante, sa? Vado in chiesa ogni domenica. E a Wijk aan Zee c’era solo una chiesetta, divisa tra cattolici e protestanti: per dire, facevano messe cattoliche al mattino e funzioni protestanti il pomeriggio […] Insomma, Mecking lo incontrai lì. Stupefatto, gli dissi: ‘Pensavo che fossi ebreo!’ Lui si mise a ridere: ‘Pensavo lo stesso di te!’. Ovviamente la cosa importava veramente solo per Bobby Fischer, la cui prima domanda era ‘Credi forse nell’Olocausto? Se la risposta è sì, allora non abbiamo nient’altro da dirci’”. Non pensavo fosse una cosa su cui ci possono avere dubbi. “Ma infatti! Povero Bobby. Per fortuna ha fatto un’eccezione nel mio caso. Ha vissuto per tanto tempo in Ungheria, sa? Ci incontravamo spesso. Parlavamo e studiavamo le mosse. Era ancora molto forte […] Veniva a trovare me e mia moglie, lei gli preparava degli ottimi manicaretti”» (Silver) • Negli ultimi anni Portisch continua a giocare ma senza più i successi del passato. È un bravo baritono e si dedica al pianoforte e all’opera lirica • «Le mie canzoni preferite sono le romanze tedesche, da Beethoven a Strauss. Ne conosco tante e le canto spesso. Mi piace la musica. A patto che sia musica classica» (Silver).
Vita privata Vedovo.
Curiosità Poiché in ungherese il nome segue il cognome, all’anagrafe non si chiama Lajos Portisch ma Portisch Lajos • Da giovane praticava tennis e nuoto. «Ma a tennis chiacchieravo tutto il tempo e gli altri si scocciavano. Come nuotatore ero bravo, un giorno sì e uno no andavo in piscina a Budapest, tenevano una corsia riservata apposta per me» (a Silver) • Suo fratello, Ferenc Portisch, è arrivato al titolo di maestro internazionale • Ora che è vecchio non riesce più a suonare il violino.
Titoli di coda «Volevo ringraziarla per aver trovato il tempo per questa intervista, spero avremo altre occasioni. “Il piacere è stato mio”» (Silver).