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 2020  marzo 30 Lunedì calendario

Biografia di Maurizio De Giovanni


Maurizio De Giovanni, nato a Napoli il 31 marzo 1958 (62 anni). Scrittore. Giallista. Dopo una vita passata a lavorare in banca, ha esordito nella letteratura a 48 anni partecipando a un concorso letterario • «I concorrenti, chiusi per 15 ore dentro caffè storici (il Gambrinus di Napoli nel suo caso), dovevano scrivere un racconto per andare in finale al fiorentino Giubbe Rosse. Qui una giuria di esperti (Carlo Lucarelli, Valerio Evangelisti, Gianrico Carofiglio, Daniele Protti) gli ha assegnato il primo premio» (Sandra Petrignani, Panorama, 7/8/2008) • «Ha creato, fra gli altri, il commissario Ricciardi, ambientato nella Napoli degli anni Trenta e I bastardi di Pizzofalcone, diventato una serie tv per Rai 1» (Francesca Rosso, La Stampa, 18/12/2019) • «Negli ultimi dodici anni ha venduto più di due milioni di volumi. E negli ultimi dodici mesi ha scritto quattro romanzi, due opere teatrali, un adattamento per il cinema, sei episodi di una fiction e una valanga di articoli» (Vittorio Zincone, 7, 28/9/2018) • «Diciamo che rompo lo stereotipo del napoletano pigro» • Ha vinto il premio Corpi Freddi Award 2010, il premio Camaiore per la letteratura gialla nel 2011 e nel 2013, il premio Viareggio 2013. «Non ho ambizioni letterarie e credo che i premi siano una stronzata. Racconto storie, in una città in cui è quasi inevitabile farlo. Ovunque qui si sentono storie: all’edicola, dal meccanico, al bar» (a Zincone) • «Ne sono convinto e l’ho detto spesso: è quasi impossibile non essere scrittori a Napoli» • «Mi diverto. Mica come ai tempi del lavoro in banca, quello era terribile» (a Alessandro Ferrucci, Il Fatto Quotidiano, 9/6/2019).
Titoli di testa «Siamo al Gran Caffè Gambrinus, il salotto liberty tra Chiaia, Palazzo Reale e il San Carlo dove tutto è cominciato» (Antonio Fiore, iODonna, 5/7/2014).
Vite «La vita di De Giovanni sono tre vite. Una trilogia» (Zincone) • Nato e cresciuto nel Vomero, quartiere collinare di Napoli • «Sapevo scrivere e a scuola, in italiano andavo bene, ma non avevo mai preso in considerazione il percorso narrativo» (a Zincone) • È uno studente modello e si dedica allo sport • «“Giocavo a pallanuoto, dagli 8 ai 23 anni, nella prima vita, quella più acquatica” Era bravo? “Ho giocato anche in nazionale, guadagnavo a sufficienza per non pesare sulla famiglia. Mi sono divertito, ma sono convinto che lo sport vada fatto per piacere, non per lavoro”. Cosa le ha portato via? “Mi ha rubato molta conoscenza, erano allenamenti lunghi e pesanti, anche fisicamente: ho perso quattro denti, una clavicola e un pezzo di ginocchio. Ma me la sono cavata meglio di tanti altri”» (Maria Grazia Ligato, iO Donna, 16/8/2018) • Tutto cambia nell’estate del 1982. «“Mio padre morì d’infarto, a 52 anni. Rimasi instupidito di fronte a questo calcio in faccia che la vita mi dava a freddo. Una prova enorme. Dentro c’era un grumo di emozioni, lo sperdimento e il terrore per il futuro. Ho scoperto la paura. Sono il primo di tre figli, ero uno studente di 22 anni, cambiarono tutti i miei programmi, volevo fare il giornalista…” Invece? “Entrai in banca, allora assumevano, e cominciai la seconda lunga parte della mia vita”» (Ligato) • «“Lì è inevitabile il confronto quotidiano con i soldi che inquinano ogni rapporto umano: in 31 anni ho visto e vissuto di tutto, figli contro padri, fratelli azzannarsi, anziani trattati di merda”. Bel quadro… “E poi quando sei sottoposto a una forma di lavoro piramidale, è inevitabile confrontarsi con degli idioti. È statistica”» (Ferrucci) • «Mette su famiglia. Nel 2000 si separa dalla prima moglie e diventa padre affidatario dei due figli, Giovanni e Roberto» (Zincone) • «Che papà è (ed è stato) Maurizio De Giovanni? “Un papà-mamma, letteralmente. Li ho cresciuti io perché dopo il divorzio dalla loro madre, quando avevano 9 e 6 anni, sono stati affidati a me. Ricordo quel periodo come uno dei più belli e insieme più angoscianti della mia vita”. Non era pronto? “No, sia perché non sono capace di friggere un uovo, sia perché ricordo il disagio nell’essere l’unico papà ai colloqui a scuola o in coda al supermarket. Perché, per inciso, siamo ancora pochi i papà affidatari e non ci sono regole condivise o riconoscibili. Rammento una paura su tutte: quella di non sentirli di notte, qualora avessero chiesto aiuto. Da allora io non ho più dormito bene. Ancora oggi, che sono adulti, li sento due volte al giorno”. E qual era la parte bella? “Rivestivo un ruolo femminile, inedito. Ero nei panni di una donna e questo mi ha insegnato molto. Ha alimentato la scrittura che covava in me e che, più tardi, sarebbe esplosa”» (Roberta Scorranese, Corriere della Sera, 30/8/2018) • «Fino a 48 anni sono stato un buon lettore, uno da 4-5 libri al mese, e dei più vari argomenti, spaziavo, mi divertivo a scoprire, a capire i dettagli» (a Ferrucci) • «Nel 2005 i figli hanno cominciato a giocare a calcetto e io mi sono ritrovato il mercoledì libero e mi sono iscritto a un laboratorio di scrittura umoristica a fare esercizi» (alla Petrignani) • «Alcuni colleghi, conoscendo la mia fissazione per la narrativa, mi avevano iscritto, credo per sfottermi, a una gara per giallisti principianti. Avevamo a disposizione 15 ore e 11 primi, in tutto 911 minuti: 911, come il famoso modello della Porsche, casa automobilistica che aveva indetto il premio. Io non avevo la minima idea di che cosa scrivere quando apparve dall’altra parte del vetro una bambina, una zingarella che mi guardava con una bambolina in braccio. Mi fece una boccaccia, e sparì. Un fantasma, pensai, e cominciai di getto a pestare sul Mac per raccontare la storia di un poliziotto che vedeva cose che gli altri non vedevano, come una bimba morta. Quando due giorni dopo mi comunicarono via mail che avevo vinto, risposi che ci doveva essere uno sbaglio. Invece era vero. Partecipai anche alla finale nazionale, a Firenze. Vinsi anche lì”. Non una Porsche, ma la pubblicazione del suo racconto su L’Europeo: il commissario Ricciardi – l’uomo che conosce il dolore perché ascolta gli ultimi pensieri di chi muore – era nato» (a Fiore) • Graus editore gli pubblica Le lacrime del pagliaccio, il suo primo libro • «Poi sempre il destino, nei panni di Francesco Pinto, direttore del centro Rai di Napoli, porta quel libro, scovato per caso in libreria, fra le mani di Domenico Procacci e di Rosaria Carpinelli alla Fandango e de Giovanni riceve un’altra telefonata fondamentale: “Vorremmo ristampare il romanzo e pubblicare anche le altre storie”: era Carpinelli. “E che dovevo dire? Sono napoletano... Come no, ho risposto. Così mi sono rimesso in ferie e ho sfornato il secondo Ricciardi”» (Petrignani) • Il destino si serve anche di Paola Egiziano, la sua compagna. «“Ricordo ancora quando Fandango ha rimandato indietro il secondo manoscritto, era completamente segnato di rosso, correzioni continue, suggerimenti che per me erano coltellate”. E… “Lo buttai nel cestino con la frase: è finita; quindi andai a letto distrutto. Lei no. Lo riprese dalla spazzatura, si mise alla scrivania, e al mio risveglio trovai il lavoro completato”» (Massimo Vincenzi, la Repubblica, 25/6/2015) • «Il successo di Ricciardi e dell’altra sua serie, I Bastardi di Pizzofalcone, fu immediato. “Sì. E a 48 anni è iniziata la terza parte della mia esistenza”» (Ligato) • «Quanto ci mette a scrivere un romanzo? “Tre o quattro settimane”. Solo? “Parto da un foglio A3, grande, scritto a mano. Lo divido in punti: che cosa voglio dire nella storia principale, in quella secondaria, nei capitoli d’ambiente… I miei gialli si svolgono sempre in cinque o sei giorni: quindi elenco anche che cosa succede nelle varie giornate. Avendo una calligrafia decisamente dimmerda, il foglio A3 lo capisco solo io”. Compilato il foglio A3… “Comincio a scrivere. E andando avanti cancello i punti segnati”» (Zincone) • «Non mi immedesimo nei miei protagonisti, lo trovo anzi un errore grave, tipico della letteratura italiana. L’autore deve fare un passo indietro, deve lasciarli vivere, limitandosi a osservarli. Deve voler loro bene, capirli, ma non ti devono assomigliare. E così è più facile, naturale costruire figure credibili: siano uomini o donne» (Vincenzi) • «Questi romanzi si svolgono sempre nella sua città. Descritta – si tratti della Napoli di ieri o di quella d’oggi – con una minuzia di particolari straordinaria. Qual è il suo segreto? “Mi possono criticare per le trame, o lo stile. Sulla documentazione, mai. Ho la fortuna di contare su due, chiamiamoli così, “gruppi di lavoro” distinti. Per la Napoli contemporanea dei “bastardi”, una volta decisi storia e snodi, invito a cena tutto lo staff della Questura: gli racconto la trama, e chiedo come si muoverebbero nei casi che racconto, ad esempio la scomparsa di un bambino durante una gita scolastica; e in base ai loro suggerimenti intervengo, cambio, preciso, utilizzo il linguaggio tecnico come nei referti autoptici”. Un lavoro maniacale. E per la Napoli anni Trenta? “Ancora più maniacale. Ho due “angeli”: una fidatissima signora di Sorrento che è una maga del web, e una napoletana bibliotecaria a Roma, indispensabili per ricostruire la Napoli primi anni Trenta in cui si muove Ricciardi. Una Napoli che non c’è più, ma che io devo rievocare in ogni minimo dettaglio. L’ultima investigazione di Ricciardi, per dire, si svolge durante la Festa del Carmine del 1932. Per me era decisivo sapere quanto caldo facesse in quell’estate, che cosa succedesse in città in quei giorni, che cosa mangiassero e dove andassero al mare i Napoletani in quel periodo... E se qualche notizia non “torna” col mio racconto, lo cambio. Ricordo che ne Il giorno dei morti avevo immaginato che un ragazzino, per poter operare come ladruncolo negli appartamenti, facesse l’apprendista di uno stagnino, un idraulico: non avendo poi trovato notizie sugli stagnini partenopei dell’epoca, lo trasformai in aiutante del saponaro, il rigattiere, categoria su cui l’informazione era più ampia» (Fiore) • Nel 2015 si licenzia dalla banca. «Mi sono accorto che con un racconto buttato giù in due ore guadagnavo di più di quel che ottenevo lì in un anno. Non aveva senso» • «“Ogni giorno ho in mente un punto fondamentale della mia esistenza: sono fortunato, mi sento come Rocco Siffredi”. Uguali, uguali. “Mi pagano per scrivere e il pubblico è contento di vedermi; non solo: posso viaggiare in prima classe, ospitato in bellissimi hotel, mi applaudono a prescindere, anche se pronuncio una minchiata”. Una Pasqua. “Posso sempre esprimere la mia opinione e senza bluffare, libero di essere me stesso: con una situazione del genere, come posso qualificarmi infelice?” La banca l’ha proprio sofferta… “Da quando me ne sono andato non ho più indossato la cravatta, quel nodo lo considero una delle più alte forme di masochismo al mondo”» (Ferrucci).
Vita privata Sposato con Paola Egiziano, che gli tiene l’agenda, gli organizza le trasferte, parla con giornalisti, case editrici e produzioni tivù. «Ultimamente siamo arrivati a livelli mortificanti. Se qualcuno deve venirmi a prendere per andare alla presentazione di un libro, lei chiama lui, non me, per sapere se sono salito in macchina» (a Zincone) • I suoi figli si sono laureati in ingegneria e in medicina. Un giornalista tedesco ha chiesto loro come giudicano il suo lavoro. «La risposta mi ha commosso: “Le storie più belle le ha raccontate a noi da piccoli, non a voi”».
Vita pubblica Non gli piace Salvini • «Le sono arrivate proposte dalla politica? “Sì”. Ci pensa? “No”» (Ferrucci).
Calcio Grande appassionato. Traspone in racconti le partite più epiche • «Se il Napoli vince lo scudetto… “Mi metto a dieta. E guardi che alla mia età è difficile”» (Zincone) • «L’unica passione collettiva e non censitaria che ci rimane a Napoli. Ma è anche una grave malattia. Ci ha mai fatto caso? Si chiama tifo» • «Sarri allenatore della Juventus? “Dal momento in cui non sono più nel Napoli, cessano di esistere”».
Curiosità Legge un po’ di tutto: «Sono onnivoro» • Considera Camilleri un suo maestro. Come quello non parlava mai di mafia nei suoi libri, lui non nomina la camorra: «Non perché non esistano, ma perché possono diventare un alibi, un luogo comune con il quale giustificare tutto» • Oggi al Caffè Gambrinus c’è un tavolo riservato al commissario Ricciardi. Lui, quando ci va, ordina sempre caffè e sfogliatella • «Quante ore scrive al giorno? “Dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio”. Orario d’ufficio. “Dopo un po’ le parole cominciano a non venire più. Scrivo una ventina di pagine al giorno e appena ho finito le passo a Paola, che fa l’editing. Rilegge, corregge, controlla la coerenza della storia… Anche perché io non rileggo mai quello che scrivo”. Boom. “È così. Se scopro a pagina 200 che sarebbe stato meglio se un personaggio non avesse fatto una determinata cosa a pagina 3, non mi metto a correggere. Nella vita non si torna indietro. E io devo scrivere come la vita”» (Zincone).
Titoli di coda «Ho appena finito l’ultimo di Maurizio De Giovanni e mi sento già un po’ sola» (Milena Gabbanelli).