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 2020  marzo 23 Lunedì calendario

Biografia di Gianni Mura

Gianni Mura (1945-2020). Giornalista. A Repubblica dal 1976. Cominciò alla Gazzetta dello Sport nel 1964, poi Corriere d’Informazione, Epoca, l’Occhio. Dal 1991 teneva insieme alla moglie Paola una rubrica di enogastronomia sul Venerdì di Repubblica. «Mi interessa essere chiaro, negli articoli uso un linguaggio comprensibile, da parla come mangi. Ho un’allergia violentissima verso gli anglicismi. Io voglio trasmettere emozioni: se sono sul Tourmalet e tu sei a casa a Bologna, devo farti arrivare qualcosa oltre al fatto che il primo è bravo e il secondo è un pirla, cosa peraltro che non credo». Figlio di Antonino Mura, carabiniere sardo di stanza a Roma che per potersi godere Meazza chiese il trasferimento a Milano e un giorno sul treno, mentre se ne stava ammanettato a un detenuto in trasferimento ad Alessandria, guardò Germana e se la sposò. «Al liceo andavo forte in italiano, ero in classe con la figlia del direttore amministrativo della Gazzetta. Dopo la maturità mi manda un bigliettino: guarda che stanno cercando un paio di ragazzi, presentati in via Galilei. Fino ad allora avevo scritto sul giornale del liceo, recensivo film assurdi, quelli con diciotto spettatori in platea, come sport vedevo l’Inter e basta, ero grassoccio, all’oratorio giocavo solo se portavo il pallone. Per cui mi vedevo a stendere un elzeviro da terza pagina sul Corriere, mica alla Gazza. Va be’ va, mi son detto, sto un po’ lì, imparo l’arte. E ci ho passato otto anni» (ad Andrea Aloi). Si è interessato al cibo quando è diventato giornalista sportivo. È stato il ciclismo ad avvicinarlo alla buona tavola: «Ero giovane, forte, quasi magro e scapolo. Passavo almeno sei mesi fuori casa, dove non m’attendeva una trepida moglie con figlioletti pigolanti, ma solo un padre e una madre abbastanza fieri di quel figlio unico che alla laurea non sarebbe mai arrivato ma un lavoro decente se l’era trovato». A 22 anni il primo Tour con la Gazzetta dello Sport e il primo plateau Royal al Reine Anne di Saint-Malo: «Ricordo la solennità da Bossuet con la quale Bruno Raschi, il caposquadra, chiese quattro plateaux. E la solennità con la quale i camerieri portarono questi vassoi con un’alzata. E, da esordiente in tutti i sensi, imitai quello che facevano gli anziani, gli esperti. A me, per essere sincero, quel che percepivo col naso non prometteva nulla di buono. Ma ero curioso e mi regolai come loro: una fetta di limone spremuta sull’ostrica (che aveva una contrazione, non era più tanto viva ma neanche morta) e ingoiare. Dopo la prima ostrica gli esperti bevvero un sorso di Muscadet, li vidi con la coda dell’occhio mentre schizzavo verso la toilette per improvvisi e non rimandabili problemi di stomaco. Il primo e ultimo plateau della mia vita». Non mangiava foie gras («Quando il disgusto per la procedura cancella il gusto del boccone»); spiedini di polpi o di seppie vivi coreani («che muovono i tentacoli»); Ikizukuri giapponese («Si sceglie un pesce e un esperto cuoco lo sfiletta avendo cura di non ledere gli organi vitali, così il pesce arriva in tavola col cuore che batte, la coda che si muove e gli occhi che esprimono un dolore senza fondo»). Non sapeva cucinare nemmeno due uova fritte. Nel 2007 ha pubblicato il libro Giallo su giallo (Feltrinelli), premio Grinzane-Cesare Pavese per la narrativa. Nel 2008 La fiamma rossa. Storie e strade dei miei Tour (minum fax). Nel 2012 Ischia (Feltrinelli), protagonista, come nel primo romanzo, il commissario Magrite. Nel 2013 Non gioco più, me ne vado. Gregari e campioni, coppe e bidoni (Il Saggiatore) e Tanti amori. Conversazioni con Marco Manzoni (Feltrinelli). Nel 2015 Non c’è gusto. Tutto quello che dovresti sapere prima di scegliere un ristorante (minimum fax). Con Maso Notarianni è stato direttore della rivista di Emergency, E – Il mensile (chiusa nel luglio del 2012). È morto all’ospedale di Senigallia, in provincia di Ancona, per un attacco cardiaco.
Vedi in Terza Pagina il ricordo di Emanuela Audisio