21 marzo 2020
Tags : Peter Brook
Biografia di Peter Brook
Peter Brook, nato a Londra il 21 marzo 1925 (95 anni) • «Nome leggendario del teatro contemporaneo» (Fabio Larovere, Corriere della Sera, 31/10/2013) • «Considerato uno dei più grandi registi viventi, certamente uno dei più grandi del Novecento» (Graziano Graziani, Il Tascabile, 9/4/2018) • Già direttore di numerose opere alla Royal Opera House, poi al Covent Garden (1947-50). Dal 1961 al 1970 è direttore della Royal Shakespeare Company. Suo il merito di aver modernizzato la messa in scena dell’opera shakespeariana, con trasposizioni anticonvenzionali. Poco amato dalla critica, nel 1974 si trasferì a Parigi dove fondò l’International Center of Theatre Research • «L’attività di Brook […] rientra in quel contesto sperimentale delle neoavanguardie del secondo dopoguerra che ha oltrepassato le barriere fra le arti, praticando un’interazione tra cinema, teatro e televisione» (Valentina Valentini, Enciclopedia del Cinema, 2003) • «Il suo è un teatro asciutto, pulito, dove il gesto e la parola vivono di una sobrietà in realtà generatrice di inedite risonanze di significato» (Fabio Larovere, Corriere della Sera, 31/10/2013) • «Spericolato contestatore della tradizione teatrale che paradossalmente è oggi il più “classico” e puro tra i numi della scena internazionale» (Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 16/5/2010) • Due premi Tony per il teatro. Un premio Emmy per la televisione. Candidato alla Palma d’oro a Cannes e al Leone d’oro a Venezia • Famoso per aver allestito La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat, rappresentato dalla compagnia filodrammatica dell’ospizio di Charenton sotto la guida del marchese de Sade di Peter Weiss e per averne tratto un film. Famoso anche per Mahābhārata (1985), la sua opera più importante, tratta da un poema epico indiano, che dura nove ore • «È un omino cauto e gentile, dal sorriso dolce e la voce chiara, ferma» (Anna Bandettini, la Repubblica, 4/5/2016) • «Credo sia l’unico ad aver esteso al di là dei confini del nostro dilavato Occidente il suo lavoro estrattivo, per fini di scoperta e ri-ossigenazione, in spazi vergini, di motivi e personaggi per la scena (Iran, India, Africa subsahariana) – e tuttavia, la sua navicella non ha mai tolto le ancore dal Tamigi e dall’Avon: è il più scespiriano dei registi di Shakespeare, dal quale è partita la sua carriera elisabettiana (Marlowe, Doctor Faustus, 1942; fa Re Giovanni nel 1945; Misura per misura nel 1950; Titus Andronicus nel 1955, il suo primo Amleto nel 1955; La Tempesta nel 1957; ruota attorno a King Lear fino al 1970)» (Guido Ceronetti, La Stampa, 11/12/2007) • «Non sono un maestro e non sta a me dare lezioni» • «Vorrei condurre il pubblico a confrontarsi con temi assenti dalla vita quotidiana, invasa ossessivamente da violenza, miseria, pornografia, disperazione, frustrazione, malattie, inquinamento. Vorrei che cercassimo una strada diversa, il riflesso di una vita interiore. Quando cominciai a fare teatro le scene londinesi non mostravano altro che un mondo bello e gentile. Tutto il resto era tabù. Con Marat-Sade mostrai scenari di follia e criminalità: scioccare il pubblico era necessario. Oggi le priorità sono cambiate” [...]» (a Leonetta Bentivoglio, la Repubblica, 13/1/2005).
Titoli di testa «Il bastone che lo aiuta a camminare, con l’impugnatura d’argento, lo agita per spiegare che cosa è il teatro “Lo allunghi in avanti e smuovi un esercito, lo avvicini a te e attiri l’attenzione, lo fai battere a terra e c’è il silenzio, lo dimeni in aria e scoppia la guerra. La scena non ha bisogno di altro. Gesto e parole. Lo spettacolo prende forma nel momento in cui c’è qualcuno che parla e qualcuno che ascolta”» (Simona Antonucci, Il Messaggero, 10/8/2018).
Vita «Famiglia di ebrei russi» (Leonetta Bentivoglio, la Repubblica, 7/9/2001) • Il padre Simon è emigrato giovanissimo a Parigi, poi a Liegi, poi a Londra. Il cognome originale, Bryk, diventa prima Brouck, poi Brook • Peter «avverte per la prima volta “l’importanza del semplice” da bambino, di fronte a un piccolo teatro di cartone dai colori netti e con figurine terse “che trovavo tanto più convincenti del mondo là fuori”» (Bentivoglio 2010) • Fin dall’infanzia gli piacciono cinema e teatro. A dieci anni, Peter mette in scena un Amleto fatto con le marionette per la sua famiglia. • Il padre lo vorrebbe laureato in legge: lui però studia letteratura • «Esordì nel cinema mentre completava gli studi a Oxford, con Sentimental journey (1943), un film privo di dialoghi e interpretato da attori non professionisti reclutati nei pub, nel cui sonoro è integrata la voce di commento. Fra il 1944 e il 1945 realizzò cortometraggi didattici per l’esercito e contemporaneamente iniziò un’intensa attività teatrale» (Valentini) • «Inizia ad occuparsi di teatro, a sentir lui, più per caso e per necessità economiche che per un interesse profondo: la sua passione dichiarata era infatti il cinema» (Larovere) • «Ha già messo in scena titoli di Shakespeare, Marlowe e Cocteau quando, a ventidue anni, viene assunto come direttore delle produzioni alla Royal Opera House Covent Garden di Londra, contesto che gli si rivela orripilante, con scenografie ammuffite e soprani elefantiaci e immoti. Un regno di vieux monstres gonfi di gestualità retorica e “venerati da un pubblico senza criterio, pronto a sorbirsi qualsiasi caduta di gusto” (Bentivoglio 2010) • «Da giovane ho usato in palcoscenico tutte le tecniche del cinema, della musica, della danza, poi gradualmente ho iniziato a capire che c’è qualcosa di essenziale. E la parola essenziale significa che c’è qualcosa di più profondo e più forte di ogni effetto. E così in ogni produzione ho imparato che di tutto quello messo in campo durante le prove molte cose non sono necessarie, che un’idea è bella ma se è tolta è meglio... L’importante è restare a stretto contatto con gli spettatori su qualcosa che credo sia essenziale per tutti» (Antonucci) • «Dopo l´intensissima e fruttuosa direzione della venerabile Royal Shakespeare Company e un gran numero di successi applauditi nel mondo, Brook, molto famoso negli anni Sessanta, rigetta l’appeal del teatro “borghese’ per puntare a un’esperienza teatrale “diversa’, lanciata in palcoscenici en plein air e in grado di scoprire testi e autori inusuali e di occupare spazi-camaleonte come le Bouffes, “un po’ cortile, un po’ casa e un po’ moschea”» (Bentivoglio 2010) • Anche al cinema Brook ottiene ottimi risultati. Nel 1953 realizza Il masnadiero, trasposizione dello spettacolo del drammaturgo John Gay. Mel 1960 Moderato cantabile ‒ Storia di uno strano amore, dal romanzo di Marguerite Duras. Nel 1963 porta sullo schermo Il signore delle mosche di William Golding • «Tra le tappe più importanti della sua produzione […] è lo spettacolo Mahabharata che nel 1985 sconvolse la platea di Avignone e fu salutato come uno dei capolavori del teatro contemporaneo, a cui lo stesso Brook dedicò un lungometraggio. Basato sul testo di Jean-Claude Carrière, lo spettacolo durava nove ore, un’estensione notevole a prima vista, ma forse non così tanto se si tiene conto che il Mahabharata – uno dei principali poemi epici della tradizione indiana – è composto di novantacinquemila versi e racconta una serie imponenti di battaglie e altri accadimenti» (Graziani) • «Il Mahabharata racconta la storia della guerra fratricida di due rami della famiglia Bharata, i Pandava e i Kaurava, che causerà un numero esorbitante di morti. I primi risulteranno vincitori ma il re Yudhisthira, il più anziano dei Pandava, salirà al trono consapevole della carneficina che è stata necessaria affinché ciò accadesse. La riflessione sulla distruzione provocata e sulle proprie responsabilità, dal punto di vista di un governante, è al centro del poema e della sua versione teatrale. Nei tempi antichi, in India, la lettura di questo poema era prescritta ai futuri governanti perché si rendessero conto del potenziale distruttivo che a volte può scatenare l’esercizio del potere. E ovviamente la tentazione di fare un parallelismo con il nostro presente di guerre viene spontaneo, anche se non può esaurire la lettura di un poema ricchissimo e vasto. Lo stesso Brook, presentando la nuova versione del lavoro, ha fatto accenno a questo aspetto, mettendo però in guardia dalla tentazione di considerare il teatro come uno strumento di propaganda» (ibidem) • «Il mio non è teatro politico sempre così arrabbiato, come i politici e gli economisti. Anche Beckett guardava gli uomini, la loro divina, cosmica commedia con amore. E accanto a lui, allo stesso altissimo livello, metto sia Shakespeare sia Cechov, che da medico conosceva e voleva curare la sofferenza» • «Ci ha guidato lungo il suo meraviglioso Shakespeare – l’ultimo, un Amleto senza costumi e in scena pochi cuscini colorati – fino al Mahabharata – epico e poco più arredato, soprattutto di luci – passando per la Carmen, per Beckett, per luminosi racconti africani, fino alla psicoanalisi di Oliver Sacks» (Laura Putti, la Repubblica, 7/3/2018) • «Il teatro, da quando ci sono la televisione e Internet, ci ha indubbiamente guadagnato molto. Trenta, quaranta anni fa si diceva ancora che il teatro – il grande Teatro – non era fatto per tutti, e che era soltanto per le élites: ma oggi che masse sterminate d’uomini, donne, bambini possono godere, senza interruzione, mediante televisione e Internet, di qualche spettacolo, allora il teatro può rivolgersi a pubblici in grado di comprenderlo a fondo» (a Ceronetti) • «Lavora ancora molto? Come passa ora le sue giornate? “Ogni giorno è diverso, ma queste sono cose personali, intime. La mia convinzione è che ognuno deve vivere cercando di essere utile agli altri e per farlo c’è bisogno di molte cose diverse, anche studiare. Posso solo dirle che alla mia età devo risparmiare un po’ di tempo. E visto il peso di quello che ci circonda cerco di vivere la mia giornata con più umorismo possibile. Perché credo che il più grande dono che ci è stato dato è la nostra capacità di ridere”» (Antonucci).
Vita privata Sposato dal 1951 con l’attrice Natasha Parry, morta nel 2015 • Due figli: Irina e Simon, anche loro impiegati nel mondo del teatro.
Curiosità «Occhi azzurri da lago alpino» (Claudia Provvedini, Corriere della Sera, 2/62013) • «Mi ha affascinato un film come La caduta, con Bruno Ganz nella miglior performance mai vista. Ma mi piacciono molto anche i western con Eastwood, le commedie di Mel Brooks e di Woody Allen. Avrei voluto avere Woody attore. Quando ci siamo incontrati mi ha colpito la sua capacità d’ascolto. Peccato che il progetto non sia poi andato in porto» (alla Manin) • Non ha mai diretto Macbeth. «Perché io sono superstizioso! Questa pièce, nel teatro inglese, non viene neppure nominata. Il teatro di Stratford mi aveva invitato a metterlo in scena: ebbe un rifiuto. Il direttore voleva sapere se non mi piacevano gli attori... La verità è che da quando sono nel teatro, quando si trattava di questo ho rifiutato sempre... Uno si azzoppa cadendo, l’altro cadeva dal praticabile... A Paul Scofield, deciso a provarci, avevo detto di stare attento, e dopo le prime prove si scoprì affetto, dal volto ai piedi, di un Erpes Zoster dei più micidiali. Finì tutto male...» (a Ceronetti) • «Cosa risponde quando un giovane aspirante viene da lei e le chiede come fare per diventare regista? E quando sente dire che il teatro è un’arte superata, obsoleta? “Si deve tener conto di due cose per chi vuole intraprendere questo lavoro: aver ben presente il punto d’arrivo e allo stesso tempo badare ai lati. Oscillare senza perdere di vista la meta. Altrimenti si cade”» (Famiglia Cristiana, 3/6/2016) • «Il miglior consiglio che si possa ricevere è questo: comincia ascoltando, leggendo tutto ciò che può esserti utile e poi sta a te trovare una via personale. Ogni giovane ha bisogno di convincere altri giovani a lavorare insieme. Insieme proveranno a scoprire di che cosa c’è bisogno, che cosa possono fare e come possono aiutarsi l’un l’altro» (a Graziani) • «Come giudica, come sopporta, o sormonta, questa nostra lunga, eccessivamente lunga, innaturale vecchiaia? “Pensandoci il meno possibile”» (Ceronetti) • «La vita prende un senso e la morte non fa più paura “La morte è naturale. L’anima si modella sul corpo e si libera quando il corpo si dissolve”. E quello che abbiamo vissuto? “Ne resta il gusto. Come di una buona grappa. Dopotutto, come ha detto una volta Olmi, noi registi siamo dei distillatori”» (Manin).
Titoli di coda «In un suo spettacolo, Warum warum, si dice che Dio il settimo giorno, vedendo gli uomini annoiarsi, diede loro il teatro… E loro gli diedero le chiese».