16 marzo 2020
Tags : Edin Dzeko
Biografia di Edin Džeko
Edin Džeko, nato a Sarajevo il 17 marzo 1986 (34 anni). Calciatore. Attaccante. Capitano della nazionale bosniaca. Già centravanti del Wolfsburg (dal 2007) e del Manchester City (dal 2011). Alla Roma dal 2015 • «Lo spilungone» • «Il cigno di Sarajevo» • «Kloc, lo chiamano affettuosamente i bosniaci, parola che viene per brevità tradotta come lampione ma che sottintende una persona che è anche un po’ tonta, lenta, imbranata» (Rodolfo Toè, Linkiesta, 6/8/2015) • «Cento novantatré centimetri d’altezza e fisico da armadio, Džeko è un corazziere, come molti giocatori delle sue zone: attaccante micidiale sulle palle alte, non è però il tipico "lungo" da gioco aereo. Le sue capacità tecniche sono elevate ed il tiro di destro potente, ma ciò che maggiormente lo rende speciale è l’intelligenza tattica nel fare "lavoro sporco", senza risultare però solo una pedina di contorno. Il senso del gol è quello di un grande bomber ed i movimenti in area di rigore da rapace: rapido e bravissimo a proteggere la palla, sa usare anche il sinistro per offrire assist ai compagni, una sua peculiarità. Un giocatore molto moderno, non geniale e tecnico ma forse più potente» (Sport Mediaset, 8/6/2009) • Un campionato tedesco (2009), due campionati inglesi (2012, 2014), una coppa d’Inghilterra (2011). Capocannoniere della Bundesliga nella stagione 2009-2010. Capocannoniere della Serie A nella stagione 2016-2017. Capocannoniere della Uefa Europa League nel 2016-2017. Unico giocatore ad aver segnato almeno 50 gol in Bundesliga, Premier League e Serie A • «I numeri di Džeko lo eleggono tra i migliori attaccanti giallorossi dell’epoca moderna: la sua media è di un gol ogni 158’, è la più bassa del dopoguerra tra quelli che hanno segnato più di 40 gol nella Roma» (Salvatore Malfitano, Rivista Undici, 3/10/2019) • «Oggi nella sua terra è l’idolo assoluto proprio tra i ragazzini. Il 70 per cento delle maglie vendute della nazionale hanno sulle spalle il suo numero 11 e il suo cognome. Per i 42 gol in 72 partite, ma ancora di più perché lui è cresciuto lì, durante quell’orribile conflitto» (Ugo Trani, Il Messaggero, 3/8/2015) • «È stato il periodo più brutto della mia vita. A Sarajevo vivevamo in 15 in 37 metri quadrati. Ci svegliavamo a volte senza avere quasi nulla per fare colazione. Mio padre era al fronte e tutti i giorni, quando suonavano le sirene, avevo paura di morire» (Massimo Cecchini, La Gazzetta dello Sport, 30/10/2015) • «Se dovesse raccontare la sua vita in una frase cosa direbbe? “Ho avuto un’infanzia difficile, ma poi ho ottenuto grandi cose”» (ibidem).
Titoli di testa «È il delirio all’aeroporto di Fiumicino. Un delirio colorato di giallorosso, tutto dedicato a Edin Džeko, il nuovo acquisto della Roma. Millecinquecento tifosi adoranti riversati fra i terminal e i vacanzieri, e cori, canti, bandiere, palpiti da scudetto. Visto da vicino, sembra l’arrivo di Diego Maradona a Napoli o di Leo Messi a Barcellona. “Forza Roma”, sibila Edin, più spaesato dall’affetto che felice. Avrà tempo per comprendere» (Benedetto Saccà, Il Messaggero, 7/8/2015).
Vita «Partiamo dall’inizio. Da dove pensi sia nata la tua passione per il calcio? È stata naturale? Ti ha spinto a giocare tuo padre? “Mio padre ha giocato nelle leghe inferiori bosniache, quindi è possibile che questo abbia influito. Ma non dimentichiamoci che all’epoca, quando ero piccolo, la Bosnia era in guerra» (Corriere dello Sport, 1/10/2019) • «Džeko aveva 6 anni e tifava Milan (era quello di van Basten […]), quando cominciò l’assedio nella sua città» (Trani) • «Sono stato in Bosnia per tutta la durata del conflitto. Ero giovane e forse è stato meglio così, perché non ho capito tutto quello che mi succedeva intorno, come è successo ai miei genitori. È una cosa terribile, che non voglio si ripeta mai» (Luca Valdisseri, Corriere della Sera, 26/11/2016) • «Che cosa le è rimasto di quegli anni? “Mi ricordo quasi ogni cosa”» (Paolo Brusorio, La Stampa, 13/11/2019) • «Costretta a lasciare la propria casa, troppo vicina al fronte dell’assedio, la famiglia Džeko non emigrò in un altro paese, ma rimase a Sarajevo e si trasferì nel quartiere Otoka, dai nonni […]. Edin ricorda che all’improvviso tutto era come prima, solo un po’ diverso: la seccatura più grande all’inizio era di non poter più uscire tranquillamente per giocare con gli amici. Poi arrivarono le privazioni, i pericoli, il padre sul fronte. Capì di dover vivere e sopravvivere all’interno di questo cambiamento, considerarlo un dato di fatto, aspettando che tutto finisse o ricominciasse» (Emiliano Battazzi, Ultimo Uomo, 10/9/2015) • «Erano anni difficilissimi. Dovevamo costantemente stare attenti, schivare le pallottole e le granate. Non c’era niente da mangiare, si viveva in quindici in una stanza sola. Era impossibile» (nel 2011) • Nonostante tutto continua a giocare a calcio per strada: «Mamma Belma lo cercava (e spesso non lo trovava) durante il giorno quando nel cielo di Sarajevo volavano le bombe e ovunque si sentivano gli spari dei cecchini. Lui si nascondeva, con il suo pallone» (Trani) • «Di questo periodo è l’aneddoto più famoso, raccontato dettagliatamente dai suoi amici e dai familiari: in una giornata del 1993 - Edin non ha che sette anni - sua madre Belma insiste più del solito perché non vada a giocare a calcio con gli amici e resti in casa. “Avevo una strana sensazione, quasi un groppo allo stomaco - racconterà la donna nel 2009 al Bild tedesco - Nella guerra avevamo perso la nostra abitazione, molti dei nostri familiari erano morti”. Edin per una volta obbedisce, per quanto di malavoglia. Solo qualche minuto più tardi, tre granate si abbattono sul campetto. “Quel giorno ho perso molti amici”, ricorda» (Toè) • «Abbiamo vissuto nell’incubo, sapendo di poter morire in qualsiasi momento. Sì, ho avuto tanta paura» • «Ho iniziato a giocare abbastanza tardi, dopo la fine del conflitto, quando mio padre ha iniziato a portarmi a giocare. Se non sbaglio avevo nove anni e mezzo, forse dieci, quando mi ha portato a fare i primi allenamenti. E ho anche iniziato a guardare alcune delle sue partite, cosa che prima non potevo fare, a causa della guerra» (Corriere dello Sport) • «Pensavi che avresti avuto successo? “A essere sincero, non ci pensavo. Ovviamente tutti sognano di diventare qualcuno e di raggiungere qualcosa, ma quando sei piccolo non pensi a troppi scenari futuri. Magari mi sarò sognato qualcosa del genere, ma all’epoca non immaginavo nemmeno che potesse diventare un lavoro. Quindi in realtà non ci facevo molto caso”» (ibidem) • «Già molto alto per l’età, è uno dei migliori per dedizione e impegno, ma non sembra uno dei più talentuosi. Riesce comunque a scalare le giovanili della più antica squadra di Sarajevo, mentre molti suoi amici si dedicavano ad altri sport come il basket. Nella squadra dei ferrovieri, Džeko gioca da attaccante, con buoni risultati, ma nel passaggio al professionismo perde sicurezza. Lo trasformano in centrocampista offensivo: dribbling discreto, buona progressione, piedi buoni ma non troppo, e incredibilmente anche difficoltà nel colpo di testa. Esordisce da professionista a 17 anni, e in due stagioni segna poco (per alcune fonti 5 gol, per altre 7) per uno che ne realizzerà così tanti. Per i tifosi, Edin diventa ben presto “kloc”, il lampione: un giovane molto alto e non troppo dotato» (Battazzi) • «Da bambino tutto ti dà fastidio, mi dicevano che con il tempo avrei capito. Così ora mi scivola tutto addosso» (a Brusorio) • «Ci sono alti e bassi, soprattutto quando sei giovane. Nel mio Paese i giocatori più grandi avevano un ruolo importante. Ti dicevano sempre “sei ancora giovane…” e in quei casi non era semplice trovarsi delle opportunità. Guardando al passato non saprei, forse all’epoca non ero abbastanza forte, o magari lo ero, ma hanno puntato sui più grandi» (Corriere dello Sport) • La svolta arriva per caso. Nel 2005 il suo allenatore parte per il Giappone e, per quattro mesi, ad allenare lo Željezničar arriva un tecnico ceco, Jiri Plisek • «Quando se ne va, ritornando in patria, porta con sé il giovane bosniaco. Plisek trova al ragazzo il suo ruolo naturale, quello di punta: con 22 goal in due stagioni, segnati con addosso la maglia del Teplice e del Usti nad Labem, Edin è pronto per l’Europa del calcio che conta» (Toè) • «Era la prima volta che andavo via da casa, mi sentivo solo, non parlavo la lingua. Avevo 20 anni e i social non esistevano ancora. Fu molto triste» (Brusorio) • «Non è stato semplice, né per me né per i miei genitori, ma è la vita. Andando via di casa sono diventato un uomo, perché ho dovuto fare i conti con così tante cose a cui prima non avevo mai pensato”» (Corriere dello Sport) • «Sembra che la tua carriera sia stato un percorso di crescita graduale. C’è stato un momento in cui hai pensato di aver fatto il passo più lungo della gamba? Ti è sembrato così, all’epoca? “Probabilmente sì. Lo è stato perché la Bundesliga è uno dei cinque migliori campionati d’Europa. Quando sono andato lì, sono stato fortunato ad avere un allenatore, Felix Magath, che ci spingeva sempre a dare il massimo, fino al limite, a volte anche oltre. Ci allenavamo davvero duramente. È stata una lezione importante per me. E mi piace veramente pensare che sia stato un percorso graduale. Sempre un passo alla volta» • Un passo alla volta arriva in Premier League • «Quando segnava in Inghilterra sfoggiava magliette con su scritto: za moje mahalce, questo gol è “per i miei vicini”, espressione che però a Sarajevo ha un senso più familiare, più raccolto rispetto al suo equivalente italiano. La mahala, il piccolo quartiere, è letteralmente il luogo dove tutti si conoscono, dove sei cresciuto e dove la gente sa tutto di te. Dove hai lasciato il cuore» (Toè) • «La Roma in cui approda nel 2015 è una squadra che punta su di lui per vincere lo scudetto, dopo il secondo posto della stagione precedente. Solo che le cose non vanno come dovrebbero: Džeko segna poco, Rudi Garcia viene esonerato e sostituito da Spalletti alla fine del girone d’andata, i giallorossi chiudono terzi. Nel secondo anno invece è praticamente immarcabile e termina l’anno con 39 reti in tutte le competizioni, entrando anche tra i trenta candidati per il Pallone d’Oro (arriverà al 28esimo posto). Nella stagione seguente Džeko è autore di 24 gol complessivi, mentre il quarto anno è negativo: il suo score si ferma a 14 gol. La squadra cala con lui: dal secondo posto di Spalletti si passa al terzo di Di Francesco – addolcito dal favoloso percorso in Champions – fino alla sesta posizione dello scorso anno» (Salvatore Malafitano, dal sito di Gianluca DiMarzio, 10/2019) • Quando non segna lo prendono in giro. Su Internet lo chiamano Edin Ceco, lo ritraggono con gli occhiali scuri, il bastone. Lui dice che non gli importa, perché ha vissuto la guerra: «Certe esperienze rendono più forti e fanno apprezzare la vita nei momenti giusti. Quando hai avuto paura per la tua vita e quella dei tuoi familiari, i problemi del calcio sono niente al confronto. Non ho segnato? Fa niente, segnerò alla prossima partita. Le cose importanti sono altre» • «Pensa mai a cosa farà “da grande”? In Bosnia lei è più importante del Presidente della Repubblica e, forse, è l’unico a poterlo fare in una nazione che da anni non riesce a trovare un accordo sulle parole dell’inno nazionale. “Bosgnacchi, serbi, croati. Non è facile mettere d’accordo tutti. […] Penso che, se volessero farlo davvero, una soluzione si troverebbe. Quando vedo i calciatori italiani cantare l’inno, li invidio. È emozionante. No, niente politica. Rimango nel calcio. Ma prima voglio giocare ancora qualche anno, mi sento bene”» (Luca Valdisseri, Corriere della Sera, 26/11/2016) • «Mi sforzo di pensare che siamo usciti più forti da questa guerra. Non penso mai troppo al passato, vivo il calcio come la vita. Guardo avanti. Questa guerra non esiste più per me» (ibidem).
Vita privata Sposato dal 2014 con Amra Silajdžić, ex attrice ed ex modella, due anni più di lui. Sono andati a vivere a Casal Palocco, nell’Agro Pontino • Amra descrive così la sua giornata tipo: «Porto a scuola i bambini, Una e Dani, e vado a crossfit; poi in pineta con i cani. A pranzo torno a casa, un’occasione per ritrovarsi con Edin. Cucino qualcosa di sano, ma quando andiamo al ristorante, invece, ordino la parmigiana. Se soffriamo di nostalgia, preparo piatti bosniaci. La nostra vita familiare è molto tranquilla, senza colpi di scena e posso dire di essere una donna felice» • «Nelle cose pratiche che riguardano i bambini, cerco di lasciare Edin tranquillo e concentrato sulla sua carriera di calciatore. Da quando è nata Una, la seconda figlia, non dormiamo neanche più assieme. Il letto lo divido con lei e Dani, così il loro papà può riposare di più».
Curiosità Pjanic ha chiamato il figlio Edin come lui • Sua sorella fa la giornalista • Su Instagram ha 1 milione 400 mila seguaci • Ha anche un profilo su LinkedIn • È musulmano • Dice che il razzismo negli stadi è un problema più grave in Italia che altrove • «In Italia si sente straniero? “Non sono italiano, ma ci sto bene” Džeko è italiano in che cosa? “Ormai gesticolo come voi quando parlo. Il primo passo è imparare la lingua: se vai in un paese straniero e non sai esprimerti, allora è meglio stare a casa”» (Brusorio) • Oltre al serbo-croato, parla italiano, ceco, inglese e tedesco • «Quando la nazionale si allena in casa, non è raro incontrarlo insieme ai suoi compagni mentre passeggia per le vie del centro, fermandosi a mangiare un burek come farebbe chiunque altro. I passanti lo salutano, magari chiedendo una foto, ma si astengono dalle scene di euforia collettiva cui si assisterebbe in Italia. In fondo, Džeko “è uno di noi”» (Toè) • «Quando torna, trova il suo Paese cambiato? “È casa mia, non ci vado spesso e quando capita voglio fare tutto in pochi giorni. Come se dovessi recuperare il tempo. Io parlo spesso con mia moglie su che cosa fare a fine carriera, ecco, voglio tornare a casa. La mia vita è là”» (Brusorio) • «Alla domanda “che cos’è la fortuna?” non risponde “evitare una granata per strada” bensì “vincere una partita decisiva che al 92’ stavi perdendo 2-1”» • «È ambasciatore Unicef: se le dessero la bacchetta magica come la userebbe? “Non vorrei vedere più nessuna guerra nel mondo”» (Brusorio).
Titoli di coda «Guardandomi indietro ho due scelte: pensare di aver buttato via anni di spensieratezza, quelli che sono dovuti ai bambini e ai ragazzi, oppure pensare che quello che è successo mi ha fortificato. Ho preferito la seconda» (a Trani).