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 2020  marzo 04 Mercoledì calendario

Biografia di Letizia Battaglia


Letizia Battaglia, nata a Palermo il 5 marzo 1935 (85 anni). Fotografa • «Non diciamo sciocchezze! Io sono una persona, non sono una fotografa» • «La coraggiosa reporter che fin dagli anni ‘70 si recava per prima e senza paura a immortalare i delitti di mafia» (Luca Beatrice, Il Giornale, 4/1/2020) • «Ho lavorato per L’Ora di Palermo dal 1974 al 1991. A ogni delitto ero obbligata a correre sul posto e a scattare, ma non avrei voluto. Mi veniva da vomitare, continuavo a sentire l’odore del sangue dappertutto, anche a casa mia. Mi costava molto dolore. Non ero una fotografa che documentava un conflitto estraneo. Ero nella mia isola, in mezzo a una guerra civile» • «Celebre il suo scatto che il 6 gennaio 1980 immortalò l’allora presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella esanime tra le braccia del fratello Sergio» (Elena Del Santo, La Stampa, 25/1/2020) • «Ha fatto teatro: con Michele Perriera negli anni Settanta a Palermo, poi con Jerzy Grotowski a Venezia. È stata anche volontaria nel nosocomio psichiatrico del capoluogo siculo qualche anno prima che venisse approvata la legge Basaglia […], quando questi “ospedali” erano degli inferni che Letizia ha saputo documentare con la pietas e l’umanità che salvaguardano da una facile retorica. È stata editrice (Edizioni della Battaglia si chiamavano, per allontanare qualsiasi dubbio), e collabora tuttora con Mezzocielo, una rivista “fondata da donne”, come recita orgogliosa mente il sottotitolo della testata. È stata, negli anni Ottanta, consigliere comunale e poi assessore alla Cultura per il comune di Palermo durante la prima giunta di Leoluca Orlando: quella che inaugura la “primavera di Palermo”. Poi consigliere regionale eletta nella lista dei Verdi» (Gabriele Miccichè, Millennium, 1/9/2017) • «È stata anche la prima donna europea a ricevere, nel 1985, il Premio Eugene Smith, a New York, istituito per ricordare il fotografo di Life» (Simona Santoni, Panorama, 27/11/2019) • Dal 2017 dirige il Centro internazionale di fotografia di Palermo, metà museo e metà scuola di fotografia e galleria • «Capelli rosa tagliati a caschetto, la sigaretta in una mano, la Leica nell’altra. Letizia Battaglia ti guarda dritto in faccia quando ti parla ed è impossibile non rimanere sedotti da quella luce che brilla nei suoi occhi così come si resta contagiati da quella carica di umanità che sprigiona» (Nicoletta Orlandi, Posti, Libero, 20/3/2019) • «Io non ho fotografato solo la mafia, ho fotografato la vita, l’amore, la bellezza, l’intelligenza».
Titoli di testa «Per raccontare se stessa Letizia Battaglia non sa da che parte cominciare. “Dall’inizio o dalla fine? Da quando ero bambina o da quando sono andata a vivere a Parigi, dai miei nipotini o dalle mie foto?”. Una, bellissima, è alle sue spalle. Milano, 1971. Un uomo con la faccia coperta da dita nodose. “È Pier Paolo Pasolini al circolo Turati, quel giorno c’erano anche Dario Fo e Mario Capanna”. Milano? “Sì, sono stata lì tre anni, ma forse è meglio iniziare dal principio, quando sono nata…”» (Attilio Bolzoni, la Repubblica 16/11/2014).
Vita «Sono nata nel 1935, mio padre faceva il marittimo, ci spostavamo da una città all’altra, Palermo, Trieste, Civitavecchia, Napoli, ancora Palermo...» (a Bolzoni) • A Trieste, come si faceva in quegli anni, cresce per strada. «È una bambina libera» (Miccichè) • Vive la guerra e i bombardamenti. «Ho negli occhi ancora l’immagine della nostra casa sventrata a Civitavecchia e quella di un cane che trascinava, chissà dove, la manica di una giacca con dentro il braccio di qualcuno» (a Bolzoni) • Quando torna in Sicilia ormai ha dieci anni. «Le elementari alle Ancelle, le alunne con i guanti, gli inchini, i rampolli della grassa borghesia e dell’aristocrazia siciliana. “Fra i banchi ho conosciuto tutta la Palermo bene, io non avevo la divisa fatta dal sarto ma quella che dava la scuola... Un giorno venne una vecchia nobile a casa mia e le dissi ‘Mamma arriva, intanto si accomodi in salotto’, lei mi guardò con disprezzo e rispose: ‘Salotto? Mia cara, questo non è un salotto’... non me le sono mai dimenticate le parole e gli occhi di quella donna» (Bolzoni) • «A Palermo […] scopre che in giro da sola non può più andare. Sta diventando un’adulta. Uscire da sola non sta bene» (Miccichè) • «Mi sentii morire. Mi sembrava che la mia vita finisse» • «Perché ti sei sposata a sedici anni? “Perché ho incontrato un uomo che mi amava e mi offriva il mondo”» (Bolzoni) • «Il 22 novembre del 1951 mi sposai con Franco Stagnitta, un bel ragazzo di ventidue anni, benestante. Pensavo che avrei potuto continuare ad andare a scuola, che avrei potuto scrivere» • «Arrivano le figlie. Prima Cinzia, poi Angela e Patrizia» (Bolzoni) • «Per l’opinione pubblica mio marito mi amava molto, però era un amore limitato: non pensava che era meglio che io studiassi, lavorassi, anziché stare lì senza far niente con i bei vestiti addosso e i gioielli. Non era cattivo, però cercava una mogliettina che cucinava e metteva il sale bene sulle cose. Non mi voleva male, mi voleva tutta per sé» (a Vaniity Fair) • «Sarei dovuta diventare una delle tante belle ed eleganti signore di Palermo» • «Letizia si sente diversa, sogna, confusamente capisce che la sua strada è altrove, che le catene oltre al corpo impastoiano la mente. L’esistenza dorata che il marito disegna per lei ha solo le cromature del nero. Sabbie mobili a cui disperatamente cerca di sottrarsi» (Tano Gullo, la Repubblica, 6/11/2010) • «Il matrimonio è come una prigione. E dura tanto, troppo. Letizia se ne va. “Se l’avessi fatto prima avrei tolto infelicità a me e a mio marito...”» (Bolzoni) • Letizia non vuole che lui le paghi gli alimenti, non sopporta l’idea di farsi mantenere. Poi, nel 1971, lascia la Sicilia. «Si rintana a Milano con le tre figlie e un nuovo amore, Santi Caleca, che poi le avrebbe contaminato la passione per la fotografia» (Gullo) • «Ho cominciato per amore. Era lui che voleva fare il fotografo» • «Fantasticherie e stenti da Bohème. Ma anche la sensazione di trovarsi “in contatto con quello che stava succedendo mentre stava succedendo”» (Gullo) • «Mi guadagnavo da vivere facendo la giornalista» (a Domenico Marcella, Atlante – Treccani, 19/7/2019) • «Comincia come cronista, collabora prima con Le Ore e poi con Abc, settimanali anticonformisti e anticlericali molto diffusi in quegli anni, servizi di politica e scatti molto osé per l’epoca. Con il “pezzo” le chiedevano sempre le foto, altrimenti non glielo pubblicavano» (Bolzoni) • «Mi sono così munita di macchina fotografica perché i miei articoli dovevano per forza essere accompagnati da qualche foto» (a Marcella) • «La macchinetta che mi ha regalato una mia amica è stata determinante. Ero una donna con tanti problemi, ero infelice, inquieta, non avevo elaborato la strada: ero madre, ma volevo essere io. Sono riuscita a riappropriarmi di me quando ho iniziato a fotografare» (alla Orlandi Posti) • «Non sapevo proprio nulla di fotografia e tecnica, ma col passare del tempo ho preferito fare la fotografa perché mi ero innamorata del mezzo» (a Marcella) • «È la Milano di Dario Fo, Franca Rame, Mario Capanna. Frequenta la casa delle donne. La rivista comunista Vie Nuove le chiede di collaborare» • «Fotografavo i processi. Mi attirava la teatralizzazione dei protagonisti che si esibivano nelle aule giudiziarie. Erano rappresentazioni shakespeariane» (a Miccichè) • «Nel 72, ho fotografato Pasolini a Milano al circolo Turati, i suoi occhi seri; a Venezia a 28 anni quando ho visto Ezra Pound, occhi grandi e tristi. Piangevo in silenzio, tutta sporca del trucco nero, come si portava allora, che mi colava sulla guance. Mi sono entrati nell’anima» (ad Alessandra Coppola, Corriere della Sera, 27/3/2011) • «Da Palermo quelli del quotidiano L’Ora, che giù tutti chiamavano il L’Ora, prima chiedono a lei e a Santi qualche articolo sui siciliani diventati “milanesi”, poi il direttore Vittorio Nisticò li vuole in redazione. Scendono» (Bolzoni) • «Una delle cose sorprendenti della sua carriera, è che ha iniziato a fare la fotografa a 39 anni. Quindi non c’è un’età per trovare
la propria strada? “Dipende anche da quello che hai dentro, da quello che vuoi, dalla forza che ti porti dietro, la disperazione o la gioia. Ma comunque a qualsiasi età puoi trovare la tua strada. Un inglese mi disse: “Letizia, non devi per forza andare avanti così: puoi andare a destra, a sinistra, tornare indietro”. È una cosa banalissima ma non me la sono più scordata”» (Santoni) • «“Già allora non c’era una sola Letizia”. Fa volontariato alla Real Casa dei Matti, l’ospedale psichiatrico di via Pindemonte. Fa scuola di teatro al Teatès di Michele Perriera, fa foto che porta sulle scrivanie di talentuosi giornalisti come Salvo Licata, Mario Genco, Nino Sofia. E si butta nella mischia siciliana» (Bolzoni) • «Ho incominciato così a fotografare tutto quello che avveniva in città: le scuole che crollavano, le partite di calcio, la ricchezza, la povertà, il dolore, i feriti e i morti. Ci sono tante emozioni dentro una vita, e io dovevo raccoglierle» (a Marcella) • «L’Ora tenta l’avventura dell’edizione del mattino, destinata però a naufragare dopo sei mesi. L’impatto non è facile. La redazione - come lei ricorda - fa fatica a lasciare la vecchia strada per la nuova. L’agenzia Scafidi, sorprendentemente estromessa, annoverava fior di fotografi, i titolari Nicola e Franco, Gigi Petyx, Pietro Lo Bianco. Professionisti con cui i giornalisti si capivano con un batter di ciglia. Santi, e più ancora Letizia, agli esordi sono smarriti. I ritmi forsennati della cronaca non sono ancora nel loro dna. Lo diventeranno presto. Il morto insegna a piangere, recita un proverbio siciliano. E Palermo diventa un mattatoio» (Gullo) • «La guerra di mafia che si annuncia alla periferia dell’impero. Con la sua gonna svolazzante e con i suoi zoccoli, Letizia arriva sempre per prima sulla scena del delitto. È testimone oculare nella Palermo più cupa, le sue foto fanno il giro del mondo» (Bolzoni) • «L’Ora di Palermo, quando fotografava nelle strade insanguinate dalla guerra di mafia, essere donna è stato un limite o un dono? “Ma quale limite! Chi me lo poteva imporre un limite? È stato meraviglioso, è stato un dono. Sono felice di essere una donna”» (Renata Ferri, iO Donna, 10/12/2019) • «C’è un nuovo amore ancora. Anche lui si chiama Franco. E anche lui fa il fotografo. Compagno per lunghissimi anni» (Bolzoni) • «Non mi piaceva fotografare i morti di mafia, la violenza. Lo dovevo fare, e io ho sempre avuto un forte senso di responsabilità: il lavoro al giornale non potevo non portarlo» • «Le foto devono poter dire insieme una cosa sola: che nel mio piccolo cerco la giustizia, la bellezza, cerco l’innocenza. E nel momento in cui fotografo un delitto non ci deve essere sciatteria, non ci deve essere casualità. In quel momento devo onorare quella morte, devo onorare il dolore, la tragedia» • Nel settembre 1979 organizza una mostra di fotografie sulla mafia e nessuno osa visitarla • Ruba uno scatto anche al boss Leoluca Bagarella: «“Quella foto è il risultato di un gesto semplice. Non mi è mai interessato fare delle opere d’arte, volevo che il mondo sapesse che c’erano i malvagi, e che in Sicilia non eravamo e non siamo tutti mafiosi. Volevo raccontare i personaggi e le dinamiche di quella forza che ci stava sovrastando. La potenza della foto a Bagarella è data, non soltanto dalla sua espressione feroce, ma anche da me perché ho avuto il coraggio di avvicinarmi a lui. Ho sempre utilizzato il grandangolo che impone ovviamente una certa vicinanza al soggetto”. Ti sei avvicinata talmente tanto che ti sferrò un calcio. “È vero, ma sono riuscita a schivarlo. Sono però caduta all’indietro. Quel suo gesto non mi turbò perché avevo già scattato la foto. Mi alzai di corsa e ne feci altre”» (Marcella) • «Sono stati anni in cui si veniva sballottati da una parte all’altra. Ovviamente non sapevamo nulla su chi fossero i capi e i mandanti. L’unica certezza era il dolore che tutti provavamo nel vedere la città di Palermo orfana delle sue persone migliori: politici, poliziotti, carabinieri, gente normale, donne e bambini; come quel ragazzino ucciso perché aveva visto in faccia i killer di suo padre. Sono stati anni orribili. Ricordo il 6 gennaio 1980. Ero in macchina con Franco Zecchin e mia figlia Patrizia. Notammo una piccolissima folla di persone in strada, e ci fermammo. La vittima di quell’agguato mafioso era il presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella. In quella foto c’è anche un signore con i capelli al vento, era suo fratello Sergio» (a Marcella) • «In strada Letizia Battaglia prende i calci dei poliziotti che la vogliono allontanare dalle scene dei delitti, ma matura anche le sue convinzioni politiche che la vedono sempre dalla parte dei più deboli, degli emarginati, dei vessati, delle donne in cerca di emancipazione. E poi ci sono le meravigliose foto delle bambine […]. “Quando incontro la ragazzina imbronciata, sulla soglia dell’adolescenza, magra, con le occhiaie, i capelli lisci”, spiega Letizia, “sono io. Cerco i suoi occhi sognanti e profondi, mi ricordano me stessa a dieci anni quando mi resi conto, di colpo, che il mondo non era poi così bello”» (Orlandi Posti) • «L’irrequietezza e la curiosità la portano a esplorare altre strade» (Gullo) • «Letizia viene nominata dal sindaco Orlando assessore comunale, delega alla Vivibilità Urbana. Porta sempre quelle sue gonne colorate e gli zoccoli. “[…] mi sentivo cittadina e quindi più che solo una fotografa. Ma io non facevo politica, io amministravo, facevo cose concrete, vedevo un angolo sporco e facevo sistemare una pianta”» (Bolzoni) • «Amministrare è come lavare i piatti o mettere in ordine i libri. Non ho dato a mia figlia o a mia madre, ho dato a degli sconosciuti. Mi ha fatto sentire bene, nonostante gli attacchi, le mafie che bussavano. È stato il periodo più bello della mia vita, più dei periodi di amore, che pure ci sono stati...» (alla Coppola) • «Dopo la giunta ‘colorata’ di Leoluca Orlando, l’elezione alla Regione Siciliana. “Esperienza inutile, non facevo niente, non mi facevano sapere niente”» (Bolzoni) • «Perché dopo gli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ha smesso di documentare i fatti di sangue? “Non sono più riuscita ad accettare la violenza”» (Gloria Satta, Il Messaggero, 14/6/2019) • «Letizia non vuole fotografare più i morti, gli amici morti. Parte per Parigi. È depressa, per lunghi mesi passa le sue giornate al tavolino di un bistrò. "Senza parlare, senza bere perché io non bevo nulla”. Solo una grande solitudine. Lei dentro un gorgo e gli altri che la onorano. Le arrivano i premi più prestigiosi. Dalla Francia, dalla Germania, da Londra. È anche la prima donna europea a vincere negli Stati Uniti la borsa Eugene Smith. La consacrazione. Torna un’altra volta a Palermo» (Bolzoni) • «“Sono impastata con Palermo, con rabbia. Non trovo la strada per arrivare a qualcosa”. A che cosa? “A una città più vivibile, amorosa, meno sgraziata”. Un’utopia: “Non abbiamo più niente. Palermo non ha un edificio pubblico nuovo dal ‘47, né un auditorium né un museo, solo porcherie private. È morta”. Per la mafia “che domina e umilia, subdola: ha armi ma non le vedi, spara alle spalle”. Per la società ormai corrotta: “Il berlusconismo ha stimolato i sentimenti più banali: possedere, avere successo, la vanità... La generazione nata negli ultimi 20-25 anni si è trovata questi modelli: un danno irreparabile” . Chi vuole realizzare qualcosa va via. “Da decenni vedo partire intelligenze” […] “Penso spesso di andare a Berlino, una città che può saziare la mia curiosità d’arte, che ha attenzione per le intelligenze. Ho anche cercato casa in affitto, se ne trovavano a 250 euro al mese. Ho detto a mia figlia Patrizia: trasferiamoci. Non l’abbiamo fatto, perché lei qui organizza incontri di poesia […] Rimaniamo per dare un po’ di nutrimento, penso di essere comunque una presenza”» (Coppola) • «Sono piccole cose a trattenermi. Il cielo di questa città…» • «Mi emoziono sempre camminando nei vicoli... una statua della Madonna, un Gesù, gli odori, una finestra sbilenca...» (Bolzoni) • «Fotografa ancora. Fotografa le bambine. Ce ne sono bellissime, raccolte con cura e scelte per Diario, il suo ultimo libro. “Le cerco, le rincorro, in loro mi ritrovo me stessa bambina”. Quando va in giro per Palermo la fermano, l’abbracciano. “Quando ero deputata alla Regione tutti mi chiamavano onorevole e io alzavo il dito medio della mano e rispondevo ‘Tié’. Gli onorevoli di solito vengono chiamati onorevoli anche quando non sono più in carica, a me invece continuano a salutarmi sempre nello stesso modo: ‘Ciao Letizia’”» (Bolzoni) • «“In vecchiaia devi adeguarti armoniosamente ai cambiamenti del tuo corpo, dei tuoi rapporti con l’altro sesso. […] Ho capito che non potevo più puntare sulla ricerca di un compagno, di un amore. Era necessario farlo, perché non bisogna umiliarsi, non accetto la sofferenza del proporsi. Forse ho ottenuto così manifestazioni di affetto maschile più profonde...”. Senza tristezza. “L’amore che hai fatto, tutti i bambini che hai incontrato: mi sento forte, trasmetto tutto quello che mi hanno dato”» (ibidem) • «Adesso mi sento forte nella testa e nelle mie idee, ho avuto tanto e non voglio più nulla» (a Bolzoni).
Vita privata «La mia vita è circondata da donne. Ho fatto teatro, politica, giornalismo, mi piace lavorare con le donne, anche se i fidanzati li ho avuti tutti maschi» (alla Ferri) • L’ex marito, Franco, è morto nel 2008: «Quando si ammalò lo andavo a trovare e lui era felice, alla fine siamo stati amici» • Sua figlia Angela, dopo un viaggio in India, è diventata Shobha • I suoi cinque nipoti si chiamano Massimiliano, Gianfranco, Francesca, Matteo e Marta.
Politica «Ogni cosa che faccio è politica. Anche dirigere il Centro Internazionale di Fotografia per me è un impegno politico: fare crescere le persone, alimentare la cultura, questo è fare politica. Dirigo una rivista che si chiama Mezzocielo, lavoro con un gruppo di donne straordinario: non è vanità, non è potere perché non prendo soldi, però è politica. Politica per me è cambiare il mondo» (Del Santo)«Io sono molto comunista, anche se di comunista non c’è più niente, neanche un partito. L’importante è il rispetto verso gli esseri umani, tutti. Potrei dire la parola amore, ma preferisco rispetto. Amore può sembrare quelle minchiate che si vedono su Facebook, oppure le fiction. Invece, amore è rispetto» (a Vanity Fair) • Nel 2012 si è candidata con Sinistra ecologia e libertà alle comunali, ma non è stata eletta • «Tanti votano Salvini perché c’è una grande ignoranza» • «Ah queste sardine! Che bella novità» (alla Ferri).
Curiosità È bisnonna • Abita in un appartamento in centro a Palermo • I suoi scatti all’hotel Zagarella che ritraevano Nino Salvo con Andreotti finirono negli atti del processo contro il leader dc • Ha usato una Pentax finché non le hanno regalato una Leica • Daniela Zanzotto nel 96 ha girato un film sulla sua vita, Battaglia • Nel 1999 ha ricevuto il premio al fotogiornalismo The Mother Jones Achievement for Life • La stilista Chiara Maio ha stampato alcune delle sue foto più famose su una linea di borse • Mattarella le ha mandato un telegramma di auguri per i suoi ottant’anni • «A Palermo c’è un’atmosfera effervescente, la gente è più viva che mai e si riversa nelle strade anche di notte. Si aprono i locali, si moltiplicano le iniziative culturali. Abbiamo riscoperto la voglia di bellezza» (alla Satta) • «La mafia che ho fotografato io, quella dei Corleonesi, delle coppole, del sangue nelle strade, non c’è più. I mafiosi di oggi sono antropologicamente diversi, sono andati all’università, conoscono le lingue, si profumano. Li trovi nelle banche, nelle istituzioni, nella polizia... Non più poveracci con la lupara ma manager. Della sola industria florida di questo Paese, la droga. E non stanno neanche più a Palermo, dove oggi si vive benissimo. Si sono trasferiti al nord, hanno esportato il modello in Russia, in Cina» (a Giuseppina Manin, Corriere della Sera, 13/8/2019) • «Nei miei workshop voglio anche gente di 90 anni, come pure di 14, perché tutti possono incominciare. A loro dico: “Non si può più campare di fotografia perché oggi riviste e quotidiani pagano così poco i fotografi? Allora fate anche un altro lavoro. Due lavori”» • «La fotografia nel mondo degli smartphone e dei social: il mezzo è cambiato, come cambia il messaggio? “Non importa la macchina e neppure il metodo, importa quello che hai nella testa, nel cuore e nel tuo vissuto. Devi riuscire a trovare quell’empatia tra te e il mondo, con qualsiasi mezzo. Una poesia la puoi scrivere al computer ed è una cagata, puoi scriverla con la biro ed è una cosa meravigliosa. La fotografia è lo stesso. L’importante è che tu abbia un progetto dentro, rivoluzionario e di talento artistico”» (Del Santo) • «È normale che si producano tante immagini. Scrivono tutti, ma di Pasolini ce n’è uno solo».
Titoli di coda «Letizia è uno dei miei eroi della fotografia contemporanea» (Wim Wenders).