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 2020  marzo 02 Lunedì calendario

Biografia di Achille Occhetto


Achille Occhetto, nato a Torino il 3 marzo 1936 (84 anni). Uomo politico • «Il compagno Akel, il protagonista della svolta della Bolognina del 1989, l’ultimo segretario del Partito Comunista Italiano e il primo segretario del Partito Democratico della Sinistra» (Alessandra Ricciardi, ItaliaOggi, 1/11/2018) • «Voglio dare una notizia a tutti coloro i quali ancora oggi me l’attribuiscono: la fine del comunismo non è stata determinata da me, è stata una crisi mondiale. Ho solo cercato di uscirne con una nuova sinistra» (a Alessandro Ferrucci, Il Fatto Quotidiano, 22/2/2016) • «Comunista borghese se mai ce ne fu uno, Occhetto scelse per professione il partito, oscillando continuamente tra populismo e mondanità, tra la rivoluzione e Capalbio, tra gli striscioni in fabbrica e le vele della barca per le vacanze d’estate» (Indro Montanelli, Mario Cervi, Italia degli anni di fango, Milano, Rizzoli, 1993) • Iscritto al Pci fin da giovanissimo. Membro del Comitato centrale dal 1960. Eletto per la prima volta alla Camera nel 1976 (rieletto nel 1979, 1983, 1987, 1992, 1994 e 1996, eletto al Senato nel 2001). Capo dello schieramento dei progressisti alle politiche del 1994, che definì «una gioiosa macchina da guerra», venne sconfitto da Silvio Berlusconi, appena sceso in campo. Nello stesso anno perse anche le europee e si dimise da segretario • «Massimo D’Alema raccontò di lui che “a furia di svolte e svoltine nel nostro partito non si capisce più un cazzo”. “Se penso a chi mi succedette”, si vendicò più tardi Occhetto, “passerò alla storia come uno che ha tenuto la barra dritta”» (Francesco Verderami) • Francesco Cossiga lo definì «uno zombie coi baffi». «Poi mi ha chiesto scusa. Sua figlia lo sgridò. Gli telefonò: “Che cosa penseresti se qualcuno trattasse così male tuo figlio?”. Comunque io chiesi il suo impeachment. Uno a uno?» (a Claudio Sabelli Fioretti, Sette, 3/10/2002).
Titoli di testa «Compagno Occhetto, nel Pd c’è stata una rimozione nei suoi confronti? “È così evidente…”. E perché, secondo lei? “Perché io sono considerato, sia dai contrari alla svolta sia dai favorevoli, quello che aveva compiuto l’atto più empio. Come se il Papa si alzasse e dicesse che non esiste la verginità della Madonna”» (Barbara Romano, Libero, 24/8/2014).
Vita «Avrebbe dovuto chiamarsi Akel. Il padre Adolfo avrebbe voluto infatti dargli il nome dell’esploratore danese che scoprì la Groenlandia. Ma lo stato civile fascista impediva queste bizzarrie, e così si ebbe non un Akel ma un Achille: il che (imperando sul Partito fascista, nel 1936, Achille Starace) poteva anche essere scambiato per un riconoscimento al regime» (Montanelli e Cervi) • «Che famiglia era la sua? “Papà lavorava all’Einaudi, a Torino, negli uffici amministrativi. Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Cesare Pavese erano spesso a casa nostra» (Concetto Vecchio, la Repubblica, 2/11/2019) • «È vero che Cesare Pavese le correggeva i compiti?
 “Succedeva a Forte dei Marmi. Ma non è quella l’immagine indelebile della mia infanzia”. Qual è? “Io che vengo portato sul balcone per vedere i piccoli carri armati che escono dalla Fiat col Tricolore e con le bandiere rosse. L’inizio dell’insurrezione del 25 aprile 1945. L’abitazione torinese dei miei genitori era una specie di sede clandestina della sinistra cristiana frequentata da partigiani di tutti i colori, che io consideravo come apostoli”» (Vittorio Zincone, 7, 26/7/2019) • «Scuola? “Liceo classico a Milano, dove ci eravamo trasferiti. Studi disordinati e discontinui. Meglio l’università, filosofia alla Statale”» (Sabelli Fioretti) • Nel 1959 incontra Palmiro Togliatti. «“Mi ricevette perché avevo chiesto di fargli leggere un numero di Nuova generazione, di cui ero direttore. Eravamo molto critici con il XXI congresso del Partito comunista sovietico, perché non c’era stato il rinnovamento atteso”. Togliatti come reagì?
 “Bene. Mi chiese di diffondere l’articolo”» (Zincone) • «Politica attiva?
“Nella Fgci. Diventai uno dei leader nazionali degli universitari italiani. Feci l’alleanza con i radicali per impedire a Craxi di diventare presidente dell’Unuri» (Sabelli Fioretti) • «C’erano nel curriculum di Occhetto le immancabili intemperanze contestatarie. Una pubblicazione accesamente anticomunista degli anni Sessanta raccontava che “il 5 luglio 1963 ad Anguillara, nei pressi di Roma, alcuni giovani comunisti tra cui Occhetto durante un pranzo cantano strofette offensive per l’esercito. Un ufficiale presente alla scena reagisce prontamente interrompendo la gazzarra”: una goliardata di cattivo gusto ma di scarso peso» (Montanelli e Cervi) • «Tra il momento in cui Occhetto entra nel Comitato Centrale del Pci e la prima elezione in Parlamento trascorrono una quindicina di anni. Un’eternità. Racconta: “Uno degli incarichi che mi inorgoglì di più prima di entrare alla Camera fu quello di responsabile dell’amministrazione della mia sezione: scalinata per scalinata, pianerottolo per pianerottolo, andavo nelle case degli operai a chiedere i soldi per il bollino della tessera. Si parlava, ci si conosceva. Quella era la nostra università politica”» (Zincone) • «Da buon sessantottino aveva affermato, con qualche imprudenza, che “la rivoluzione è tornata all’ordine del giorno in Occidente”, ma poi l’avevano mandato in Sicilia a farsi le ossa come dirigente, e da allora in poi aveva studiato da segretario. I puri e duri del partito non lo avevano in gran simpatia: troppo disponibile e troppo malleabile» (Montanelli e Cervi) • «Io mi dichiaravo convinto togliattiano. Togliattiano di sinistra. Ma politicamente mi sentivo vicino ad Ingrao» (a Sabelli Fioretti) • «Lei ha conosciuto i vecchi leader, Napolitano, Natta, Pajetta, Togliatti, Amendola, Ingrao, Berlinguer. Chi le piaceva di più?
 “Io facevo le imitazioni, le mie imitazioni erano famosissime. Alla fine del dodicesimo congresso, quando fu eletto Berlinguer, andammo tutti in trattoria, Berlinguer mi chiese di fare le imitazioni di tutti. Ridevano come pazzi. ‘E la mia non la fai?’, mi chiese. Io gli risposi: ‘Aspetta, sei appena stato eletto’. Ma non sono mai riuscito a farla. Era difficile. Sembrava l’imitazione di un sardo qualsiasi. Mi chiamò perfino Noschese una volta per chiedermi consiglio. Niente. Né io né lui siamo mai riusciti a fare l’imitazione di Berlinguer”» (Sabelli Fioretti) • «Berlinguer. Pierluigi Bersani sostiene che avesse uno sguardo insostenibile. “La sua serietà e il suo modo di essere schivo ti mettevano un po’ in imbarazzo”» (Zincone) • Occhetto, quando viene eletto alla Camera, ha ormai quarant’anni • «Marzo 1978. L’edicola vicino casa. Ci arrivo ripassando il discorso con cui in direzione mi sarei dichiarato contrario ad appoggiare il governo Andreotti. Chiedo l’Unità e l’edicolante sbuffa: “Questo giornale ormai è vecchio”. Domando: “Perché?”. E lui? “Ma come, non lo sa? Hanno rapito Aldo Moro”» (a Zincone) • Nel 1984, quando muore Enrico Berlinguer, è responsabile della propaganda. «La leggenda narra che dopo il funerale di Berlinguer lei e Massimo D’Alema vi siete messi d’accordo per una staffetta alla segreteria del Pci: prima lei, poi D’Alema. Viene chiamato “il Patto del garage”.
 “Quel patto se lo è letteralmente inventato D’Alema. Non c’è mai stato”» (Zincone) • Con D’Alema, Occhetto non ha un buon rapporto: «“Quando era il mio vice nella segreteria si muoveva su una linea diversa dalla mia non in modo aperto, ma agendo alle mie spalle con la complicità degli apparati. È questo metodo il male oscuro della sinistra” […] Lei usò lo stesso metodo nei confronti di Natta, per sostituirlo alla segreteria del Pci. “Mi sbalordisce quest’accusa, perché io sono stato un sostenitore di Natta. Votai per lui quando ci furono le consultazioni dopo la morte di Berlinguer, nonostante già allora si facesse il mio nome per la segreteria. E fui un vicesegretario leale. Non ci sono tracce nei dibattiti pubblici di miei scontri con Natta, mentre D’Alema era continuamente in polemica con me”. Ma lei fece fuori un segretario che era in un letto d’ospedale reduce da un infarto. “I medici dicevano che era meglio che lui lasciasse la politica e una parte consistente del gruppo dirigente del Pci ritenne che ormai era troppo anziano. Gli fu consigliato di fare un passo indietro. E si fece il mio nome”» (Romano) • Occhetto diventa segretario nel 1988. «Si distaccava per anagrafe, per orientamenti, per comportamenti dalla consolidata immagine dei leader comunisti: un’immagine che doveva essere fatta di austerità, di solidità, d’apparente infallibilità, intrisa insomma di certezze» (Montanelli e Cervi) • «I caricaturisti brindarono per l’ascesa politica di questo “baffino” (così lontano dal “baffone” della guerra fredda) che aveva un’aria da furetto bonario e astuto, indossava panciotti anche vistosi, sapeva ridere e sapeva piangere, confessava di sbagliare» (ibidem) • «Somiglia un po’ a Charlie Chaplin» (The Economist) • Sull’inserto satirico dell’Unità lo raffigurano come un bambino. Gli fanno dire: «Fonderemo il governo con quelle forze politiche che ci diranno chiaramente che intenzioni abbiamo» • Quando vaticina una «rivoluzione copernicana per il Pci», lo sfottono: «Quando alla base gli girano le balle, Occhetto si domanda: “Sono le balle che girano intorno alla base o è la base che gira intorno alle balle?”» • Il Venerdì di Repubblica pubblica delle foto scattate a Capalbio, mentre bacia la moglie. È uno scandalo • «È stato il primo segretario a sbaciucchiarsi in pubblico» (Antonello Caporale) • Si scatenano dibattiti giornalistici. I militanti organizzano referendum (scherzosi e no) • «Quando sentii i vetero-babbioni del partito che criticavano quelle immagini, ne difesi la pubblicazione. In realtà, però, non le avevamo concordate» (a Zincone) • «Cosa ricorda della notte in cui prese la decisione di cambiare nome al Pci? “Era il 9 novembre 1989 ed ero a Bruxelles per incontrare il leader laburista Neil Kinnock. Rimanemmo ipnotizzati di fronte alle immagini televisive che giungevano da Berlino. Stavano picconando il Muro. Dissi subito ai giornalisti: ‘Qui non crolla soltanto il comunismo, ma tutto il Novecento’» (Vecchio) • «Come il mancato omonimo danese, Akel, Achille stava per inoltrarsi, con notevole audacia e disinvoltura, nelle terre inesplorate del postcomunismo» (Montanelli e Cervi) • «Io avevo creato una serie di premesse che aprivano la strada al processo: la celebrazione del monumento dedicato a Togliatti, a Civitavecchia, in cui dichiaro che il Migliore è stato parzialmente colpevole dei delitti di Stalin; il viaggio a Budapest con l’omaggio a Imre Nagy; la manifestazione sotto l’ambasciata cinese dopo Tienanmen durante la quale dico che il comunismo è finito...» (a Zincone) • «Che flash ha di quel giorno alla Bolognina? “M’incamminai con il partigiano William, medaglia d’oro della Resistenza. Gli anticipai con un po’ di timore la mia decisione. Sa, all’epoca non era mica scontato che potessi spuntarla. ‘Ti capisco benissimo’, mi rincuorò William. ‘Bisogna cambiare tutto, anche se quel nome rimarrà nel mio cuore’, e si batté il pugno sul petto. ‘Le ragioni per cui abbiamo combattuto non saranno divelte’, risposi commosso”» (Vecchio) • Per cambiare nome al partito servono dieci direzioni, quattro comitati centrali, due congressi. Alla fine, quando il Pci si scioglie, Occhetto si mette a piangere • «Molti avevano il mal di pancia. La mia pretesa follia la utilizzavano per crearmi vuoto attorno» (a Sabelli Fioretti) • «A sorpresa non venne eletto segretario.
“Un trucco organizzativo. La maggioranza la ottenni. Mancò il quorum. Il quorum era facile sottrarlo con qualche giochetto”.
Tipo?
“Tipo dire alla gente di andare via”.
E la gente se ne è andata. “Un quorum così alto è stato inventato solo per me, e tolto subito dopo”.
Perché l’hanno fatto?
“Non pensavano di non farmi eleggere. Pensavano di farmi eleggere male. Per potermi condizionare”» (Sabelli Fioretti) • Sono costretti a ripetere il voto • «Molti la ricordano per quella frase sulla "gioiosa macchina da guerra" contro Berlusconi. “Non perdemmo certo per quell’uscita ininfluente le elezioni del 1994. E nemmeno perché, come talvolta ricordano, durante il confronto televisivo col Cavaliere indossavo un’antiquata giacca marrone” • «Perdere una campagna elettorale capita a tutti. Invece si è considerato il ‘94 come la colonna infame. E questo è vergognoso» (Romano) • «Nel giro di poche ore sono passato dal tutto al niente. Per descrivere la mia vicenda uso l’immagine di un altoforno che va a pieno regime e poi – improvvisamente – viene spento» • «Quando dovetti lasciare la segreteria del Pds mi si chiese cosa volessi fare e io risposi: “Il presidente della Camera, se volete essere così gentili”. Lasciarono cadere la cosa» (ibidem) • «Un anno dopo le mie dimissioni Claudio Velardi andava in giro a dire ai giornalisti: “Parlate ancora con quello lì? Non avete capito che Occhetto è un pazzo?"» (a Sabelli Fioretti) • «Come mai non viene in mente a nessuno il mio nome quando si propongono incarichi che hanno valore di testimonianza di ciò che una persona ha fatto? Sono tutte cose che non vorrei fare, e quindi non sono proposte su cui mi aggancio, tipo il Consiglio superiore della magistratura. Ma non c’è mai stata nemmeno quell’attenzione minima che il Partito comunista ha sempre avuto nei confronti dei personaggi scomodi» • «Alla persona che ha fatto l’atto più importante per salvare la sinistra in Italia non poteva essere proposta la presidenza onoraria del partito della sinistra? Ci stava tutta. Dico: onoraria» • Nel 2004 si presenta alle europee insieme con Di Pietro, ma l’esperimento non va bene: prendono il 2,1 per cento dei voti e seggi solo per i due capilista. Occhetto rinuncia per Giulietto Chiesa e crede di poter rientrare quando Di Pietro deve lasciare il Parlamento europeo per fare il ministro nel Prodi II: ma una lunga querelle con Beniamino Donnici, primo dei non eletti dell’Idv (e fortemente sostenuto nella sua battaglia dallo stesso Di Pietro) lo costringe alla fine a rinunciare al seggio • Aderisce al movimento di Fabio Mussi. Poi a Sel • «L’immagine di quel periodo?
“È una brutta immagine. Quella della damnatio memoriae nei miei confronti, messa in atto dagli epigoni del mio partito. È una damnatio che ha sporcato anche il decennio successivo. Per molti, anche grazie alla complicità di alcuni ex comunisti, c’è stato Berlinguer, poi il buio, e poi Renzi. E viene dimenticato quel processo intermedio senza il quale non ci sarebbe stato né l’Ulivo né la nascita del Pd» (Zincone) • «Io non ho cambiato solo il nome. Dimentichiamo che io sono, scusi se lo dico con questo orgoglio, il comunista italiano che ha spostato il più grande partito comunista d’Occidente nell’Internazionale socialista. Mi basta solo questo per andarmene tranquillamente in pensione».
Vita privata «Diversamente dall’austero Berlinguer, Achille era, per i legami sentimentali, un farfallone» (Montanelli e Cervi) • La prima moglie: Ines Ravelli, figlia di un commissionario della Borsa di Milano. La seconda: Kadigia Bove, somala, cantante, attrice, molto bella, famosa per alcuni caroselli in cui pubblicizzava frigoriferi. Da lei ha avuto due figli: Malcom, come Malcom X, e Emiliano, come Emiliano Zapata. La terza moglie: Aureliana Alberici, senatrice comunista, sposata nel 1987 dopo sette anni di convivenza.
Vitalizi Dal 1976 al 2006 riceve 5.860 euro netti al mese. Per un totale di 632.937 euro già percepiti contro i 371.736 versati, con una differenza, finora, di 261.201 euro. «E cosa dovrei fare? Sono anche pronto a restituirli, ma vi assumete voi la responsabilità del fatto che finirei in povertà. Il mio assegno è di 5mila euro. Ma è la mia unica fonte di reddito. Con questo mantengo anche i miei due figli che sono disoccupati, perché non ho mai approfittato del mio ruolo per trovare loro un posto. Per cosa volete mettermi alla gogna? È tutto secondo la legge. Comunque, scriva: se si decide di togliere il vitalizio, sia io, sia mia moglie ci conformeremo a questa decisione» (Calessi, Libero, 19/5/2015).
Curiosità «Qual è stata la sua ultima tessera di partito? “Quella del Pds”» (Romano) • È stato il primo segretario comunista ad avere uno staff e a formare un governo ombra • Ha un casale in Maremma tra querce e olivi • Non frequenta più Capalbio • Nel suo libro La gioiosa macchina da guerra (Eir, 2013), il capitolo dedicato a D’Alema s’intitola Il male oscuro. Alla presentazione del libro il primo a essere invitato fu Renzi. «“Gliel’ho mandato in pdf, gli ho telefonato dieci volte…”. E Renzi? “Non mi ha mai risposto”» • «È pericoloso indicare un giornalista preferito. Gli altri ti diventano subito nemici. Una volta dissi che era Francesco Merlo. Si sono incazzati tutti. Quando entravo in sala stampa non mi salutavano più. Non lo farò mai più questo errore» • «Io penso che la sinistra non sia finita, che possa ancora uscire dal cono d’ombra in cui è oggi. C’è però un’avvertenza: non si può venir fuori dalla crisi se non si è capito bene come ci si è entrati. La sinistra è come un’araba fenice che può risorgere dalle proprie ceneri solo se è consapevole di aver raggiunto lo stato di cenere» (Ricciardi) • «Cosa fa adesso? “Leggo. Ho scritto dei libri, uno anche sulle bioscienze”. L’ultimo libro letto? “I dialoghi di Platone”. Cosa guarda in tv? “Mi piacciono i bei film. Guardo anche i talk, ma evito quelli gridati”. La morte le fa paura? “No, ma quando vedo che parlano di come sarà l’Italia nel 2040 o nel 2050, mi dico: ‘Beh, io non ci sarò più’”» (Vecchio).
Titoli di coda «Il rapporto di una parte della classe dirigente del mio partito con la Bolognina e con la mia persona è una pagina infame della storia politica italiana».