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 2020  marzo 01 Domenica calendario

Intervista a Maria Grazia Buccella

Fonzie in Happy Days, alla fine degli anni Settanta, salta uno squalo tigre con gli sci d’acqua: da lì è iniziata la crisi della serie tv perché la scena venne giudicata troppo irreale dai fan.
Maria Grazia Buccella e il suo fidanzato di allora, Vittorio Cecchi Gori, qualche tempo prima, e in vacanza, avevano tentato la stessa sorte, senza salto, ma con gli sci ai piedi, “peccato che a pelo d’acqua c’erano dei coccodrilli”. E? “Non lo sapevamo, ma a un certo punto abbiamo visto i bagnanti sbracciarsi e urlare verso di noi. Disperati. Noi niente, non capivamo, pensavamo a una sorta di isteria collettiva. (Ride, a lungo). Eravamo un po’ incoscienti; quante ne abbiamo combinate”.
Maria Grazia Buccella è icona inconsapevole, preferisce sottrarre che aggiungere, sminuisce invece di illuminare, smussa ogni angolo della sua vita privata e professionale, ma non rinuncia al sorriso e alla gentilezza: “In realtà sono stata solo un’attrice fortunata circondata da grandi attori e da belle persone come Vittorio”.
Cecchi Gori è di nuovo nei guai.
Situazione assurda, perché non è in carcere ma ricoverato in ospedale; in questi anni gli è successo di tutto, povero amico mio.
Siete molto legati.
Ci conosciamo da quasi sessant’anni, e ancora oggi ci frequentiamo spesso, spesso andiamo a mangiare insieme e magari gli chiedo qualche consiglio.
Conosciuti, come?
Durante le riprese de Il gaucho (uscito nel 1964): atterro in Argentina per le riprese, scendo dalla scaletta, e trovo proprio lui ad aspettarmi. Da quel momento è nato tutto, ci siamo immediatamente fidanzati; veramente due matti, insieme abbiamo girato il mondo, e per allora non era comune né semplice.
Due matti…
In Messico abbiamo provato la marijuana, la vendevano ovunque e a quel tempo era come bere una grappa da noi, anzi dell’acqua; una sera al ristorante non siamo stati in grado di ordinare, ogni volta che arrivava il cameriere scoppiavamo a ridere, e ci nascondevamo dietro il menù; la scena è durata, credo, un paio di ore, ma non ne sono certa, la percezione del tempo era completamente dilatata.
Perfetto.
Una notte mi sono addormentata per terra e non ricordo neanche il motivo; sì, mi sono veramente divertita e lui è stato perfetto compagno di goliardia.
Però vi siete lasciati.
Due ragazzini, e per una lunga fase è scattato il classico tira e molla, anche perché l’ambiente era lo stesso, e magari ci ritrovavamo per una partita di tennis a casa di Tognazzi.
Prima ha detto: “Sono stata un’attrice fortunata”.
È la verità, visto quanto sono sbadata e le mie difficoltà con la memoria.
Però ha vinto un Nastro d’Argento nel 1968…
Se è per questo negli Stati Uniti mi avevano offerto di restare, di studiare all’Actors Studio, con la promessa di venir scritturata poi per alcuni programmi televisivi e film a Hollywood.
E invece?
Avevo solo 18 anni e i miei non erano contenti: non riuscirono a metabolizzare una scelta così importante e in così poco tempo. Quindi ripresi l’aereo, e addio.
Come mai gli Stati Uniti?
Un’amica di mia madre era nel giro dei concorsi di bellezza e, all’improvviso, nel giro di una settimana organizzò un viaggio negli States per partecipare a Miss Universo. Partii da sola. Dovevo ancora compiere diciotto anni.
Coraggio o incoscienza?
Non lo so, ma dalla provincia di Trento mi ritrovai immersa in una realtà stupenda, con l’Actors Studio materializzato davanti alla mia vita.
Quanto ha ripensato a quel “no”?
Da subito: ancora oggi è un interrogativo che fa parte di me; la fortuna è aver strappato tante belle soddisfazioni anche in Italia.
È una delle poche attrici ad aver recitato con i cinque fenomeni del cinema italiano: Sordi, Manfredi, Tognazzi, Mastroianni e Gassman.
E non mi spiego il motivo, è incredibile; (sorride) avevo un debole professionale per Vittorio: quando parlava lui, restavo in silenzio per cercare di carpire pure le virgole del suo pensiero; (sorride ancora) ho lavorato anche all’estero…
Con Peter Sellers nel film di Vittorio De Sica, “Caccia alla volpe”.
Una tragedia quei due.
In che senso?
Non si sopportavano, non riuscivano a incrociare la loro visione artistica e umana, così era guerra perenne.
A che livello?
Alcune scene dovevamo girarle a Capri, ma si rifiutarono di salire sullo stesso motoscafo.
Addirittura.
Eccome! Per questo si crearono due gruppetti, ben separati anche nelle traiettorie delle imbarcazioni: una circumnavigò l’isola da sinistra e l’altra da destra.
Esagerati.
Peter Sellers era noto per il suo caratteraccio e De Sica non era uno qualunque, giustamente non poteva accettare certi capricci: ogni giorno accadeva qualcosa, ed era divertente. Ah, pure Gregory Peck non era secondo in quanto a carattere, e alla fine il film con lui è saltato.
La causa?
Per la pioggia; eravamo in Svizzera, ma in venti giorni non ha mai smesso, fino a quando il produttore si è arreso: “Basta, mi costa troppo, non ne posso più”.
Dalla provincia veneta al mondo.
Già Roma per me era magnifica e magica, quasi esotica: via Margutta la amavo, ci passeggiavo e mi stupivo della bellezza, poi ero circondata da personaggi magnetici per il loro fascino.
Tipo?
Ho debuttato al cinema con Alberto Sordi, ed ero talmente emozionata da dimenticarmi di entrare in scena: tutti mi aspettavano, e io niente, poi Sordi è stato carino nel voler provare le battute, solo per cercare di mettermi a mio agio.
Sedotto da lei.
Allora il cinema era pieno di belle donne, non solo io: da Marisa Allasio a Silvana Pampanini…
La Pampanini era proprio ne “Il gaucho”.
Ed era perennemente un personaggio pubblico, sempre perfetta e presa nel ruolo della diva: ogni suo arrivo si tramutava in apparizione, senza lasciare spazio all’errore.
“Il gaucho” non andò benissimo.
Forse perché Gassman era ancora associato al suo personaggio ne Il sorpasso, oppure la storia di emigranti e attori falliti era poco seducente per quegli anni di boom economico.
Con Gassman ha recitato pure ne “L’Armata Brancaleone”.
E con Vittorio non potevi sbagliare nulla, o si incavolava, ma il bello era assistere ai perenni confronti tra lui e Mario Monicelli, due personalità straordinarie, con un codice artistico comune, che alla fine trovavano sempre la mediazione che li soddisfaceva.
Lei sembra sempre spettatrice…
Io ho visto e conosciuto dei fenomeni, attori stupendi, e non mi riferisco solo agli uomini, la stessa Monica Vitti è stata molto importante per me.
Monica Vitti.
Donna decisa, consapevole della sua bellezza e della sua bravura davanti alla macchina da presa; (resta in silenzio un paio di secondi) quanto era bella…
Anche lei, è stata copertina di “Playboy”…
Per ben due volte, e dopo la prima uscita, per molto tempo, non sono più potuta tornare a casa: mio padre era inferocito, mamma più aperta.
Che famiglia era?
Borghese, papà era presidente dell’azienda del turismo europeo, e girava continuamente il continente; quando uscì Playboy mamma gli nascose la rivista e dopo papà fece finta di non aver visto, ma non mi rivolse comunque la parola.
Quando oggi rivede quelle foto?
Mi piacciono, sono belle, mi riportano a una fase piacevole, e poi allora non mi sono sentita costretta, né ho provato imbarazzo. Il nudo non mi infastidiva.
Altro periodo storico.
Rispetto a oggi senza dubbio: in qualche modo siamo tornati indietro; la copertina di Playboy era ambita dalle donne dello spettacolo.
Prima di diventare attrice, cosa amava?
Giocare a pallone: ero brava, ma l’unico modo per poter scendere in campo era vestirmi da maschietto. Quando ho compiuto quattordici o quindici anni ho smesso a causa del seno evidente. Chinaglia mi prendeva in giro.
Lo ha frequentato per un periodo.
Che tipo esuberante! Era capace di uscire pure alla vigilia di una partita, senza poi risentirne in campo. Godereccio al massimo.
Come mai a un certo punto la sua carriera si è interrotta?
Per problemi di salute sono uscita dal giro, e ho deciso di tornare negli Stati Uniti.
E lì?
Nei primissimi anni Ottanta ho cambiato totalmente vita: ho iniziato a lavorare come traduttrice per un quotidiano.
Niente più riflettori.
In quella fase non mi mancava, poi con il tempo ho ricominciato con il teatro, ma recitare dal vivo mi creava qualche intoppo a causa delle mie distrazioni; (ride) mi piace il palco ma sono proprio svaporata di natura.
La “svaporata” era il suo personaggio negli anni Sessanta.
Infatti ero io, non mi dovevo sforzare troppo, e per questo mi assegnavano quasi sempre delle parti brevi, e il secondo, terzo, quarto ciak mi salvava.
Mentre il teatro.
Ho causato situazioni tremende: come le ho detto prima, mi dimenticavo di entrare in scena, ed Enrico Montesano è stato una delle mie vittime, oppure Renato Rascel incazzatissimo.
Per cosa?
In uno spettacolo non ho chiamato la battuta ed è rimasto chiuso dentro l’armadio. Inferocito.
Lei al contrario è molto mite.
Amo sorridere, non mi piace vivere di nervosismi o di contrasti.
Cosa le dà fastidio?
Dipende dallo stato d’animo, ma in generale non sopporto le persone indisponenti o chi e ne approfitta, e per questo voglio bene a Vittorio.
In particolare?
È una delle persone più generose mai conosciute, e fa parte del mio pantheon famigliare.