Corriere della Sera, 29 marzo 2019
Su "L’ultimo abbraccio" di Frans de Waal (Cortina)
Mama, 59 anni, è gravemente malata, sta rannicchiata nel suo giaciglio, inerte. Poi le si avvicina il suo amico Jan, 80 anni, che non vedeva da tanto tempo. Mama alza gli occhi e lo riconosce, la smorfia di sofferenza si trasforma in un sorriso, si tira su con fatica e abbraccia Jan, felice e commossa come il visitatore. Sembrerebbe un normale incontro fra vecchi amici, se non fosse che Mama è una scimpanzé dello zoo di Arnhem, in Olanda, e Jan van Hooff il primatologo che l’ha studiata per decenni. "Quando ho visto il video (bit.ly/2z8foAp) mi sono rammaricato di non essere lì: Mama era anche una mia amica, intelligente, empatica, carismatica, grande pacificatrice. Il suo abbraccio, la sua riconoscenza e felicità nel vedere un amico mi hanno commosso, ma non stupito".
A parlare è Frans de Waal, 73 anni, primatologo olandese docente alla Emory University e massimo conoscitore al mondo di scimpanzé e bonobo, che studia fin dagli anni Settanta. De Waal è tra gli scienziati che hanno cambiato la nostra visione degli animali, non più macchine animate, ma esseri complessi quanto noi, mostrando, per esempio, che le scimmie cappuccine adorano commerciare o che gli scimpanzé sono "machiavellici", perché basano le loro gerarchie su giochi politici, alleanze, favori e tradimenti.
Fra uomini e animali, spiega De Waal, non c’è una cesura netta, ma una base comune di comportamenti, emozioni e processi mentali, che ogni specie ha poi adattato alle sue esigenze. A questo convincimento ha dedicato il libro Mama’s Last Hug (W.W. Norton, pp. 336, dollari 28, in Italia uscirà tradotto da Cortina in autunno), in cui parte proprio dall’ultimo abbraccio di Mama.
"Le emozioni sono stati mentali che sorgono in seguito a stimoli ambientali e provocano reazioni, e spesso espressioni facciali, molto simili nell’uomo e nell’animale. Eppure nella comunità scientifica c’è resistenza a equiparare le nostre e loro emozioni, si parla per esempio di suoni simili a risate, quando un ratto o uno scimpanzé, chiaramente, se la sta spassando. Il punto è che noi possiamo spiegare con il linguaggio quello che sentiamo, gli animali no. Per questo il neurologo Joseph LeDoux, che studia l’amigdala, ha dichiarato che non userà più il termine "paura" per i ratti, non sapendo che cosa provino in realtà quei roditori".
Ma lei non è d’accordo.
"Avendo i cervelli dei mammiferi uguali struttura, aree, connessioni e neurotrasmettitori all’opera, non si capisce perché il nostro dovrebbe farci sentire cose diverse".
Forse una differenza è che un animale si abbandona alle emozioni, mentre gli uomini possono controllarle.
"Gli animali dominano le emozioni quanto noi, del resto è proprio la possibilità di essere controllate che le distingue dagli istinti. Un esempio: le scimpanzé adolescenti spesso rubano i piccoli alle madri, per coccolarli un po’. In quel caso la madre non cede all’ansia e alla rabbia, per evitare rischi al cucciolo. Segue la giovane ovunque, senza minacciarla, fino a che questa si stanca e lascia il piccolo: solo allora la madre, infuriata, la insegue e le dà una lezione".
Però, alcune emozioni sembrano solo nostre, per esempio il disgusto.
"Al contrario, il disgusto è forse la più primitiva delle emozioni, aiuta l’animale a stare lontano da cose tossiche o infette. Anche i cani lo provano: fate annusare loro un agrume e vedrete la loro espressione".
Ma nell’uomo il disgusto è esteso anche a comportamenti sociali deplorevoli...
"Anni fa ho mostrato a delle scimmie cappuccine scene in cui un uomo aiutava un altro in difficoltà, oppure non lo aiutava. In questo secondo caso, quando quell’uomo si avvicinava a loro, facevano una faccia schifata e si allontanavano: l’egoismo è disgustoso anche per loro".
Allora passiamo alla socialità: alcuni animali cooperano, ma certo la loro generosità non arriva ai livelli umani, che talvolta si sacrificano per degli sconosciuti.
"Anche qui devo contraddirla. Ci sono stati scimpanzé che sono affogati per salvare cuccioli caduti nei fossati degli zoo. La famosa Washoe, scimpanzé che aveva imparato a usare il linguaggio dei segni, una volta si precipitò fuori della gabbia sentendo le grida di un’altra scimpanzé, appena conosciuta, che era finita nel fossato, e riuscì a salvarla. In gioventù ho studiato in Thailandia il caso di Maer Perm, una elefantessa che dedicava la sua vita ad accompagnare una compagna cieca".
Tutte femmine...
"Non è un caso, in effetti, penso che l’empatia sia nata come estensione sociale del senso materno di cura. Dopo la morte di Mama, solo le femmine del gruppo stavano in silenzio intorno al corpo pulendolo e accarezzandolo, mentre i maschi facevano la solita confusione. È però curioso che l’empatia sia un’emozione a "geometria variabile": noi uomini siamo passati dalle torture pubbliche al non sopportare di veder soffrire neanche un cane. Gli scimpanzé sono cooperativi e generosi con i membri del proprio gruppo, per esempio nutrono gli infermi, ma se i maschi incontrano un estraneo si divertono a massacrarlo. Sono gli unici, con noi, che sembrano godere a far soffrire gli altri, un frutto distorto dell’empatia. Meno male che ci sono i bonobo, che sono molto meno violenti e risolvono le tensioni con il sesso: se due gruppi di scimpanzé si incontrano finisce in un massacro, se si incontrano due gruppi di bonobo finisce in un’orgia...".
Secondo lei neanche il senso di giustizia è un’esclusiva umana.
"È così. E l’abbiamo dimostrato in modo spettacolare: se, a fronte dello stesso test, davamo una ricompensa meno pregiata a una scimmia cappuccina rispetto a un’altra, quella discriminata a volte ce la tirava addosso: preferiva punirci, che accettare l’ingiustizia. In test analoghi hanno avuto la stessa reazione anche cani e pappagalli. Ma poi abbiamo scoperto che anche chi riceve troppo si può sentire a disagio: i bonobo, per esempio, respingono ricompense esagerate rispetto agli altri. Attenzione però a credere che questi comportamenti derivino da nobili sentimenti: i primi sono probabilmente indotti dall’invidia, i secondi dalla paura di essere puniti dagli altri. Non credo però che la giustizia umana abbia basi molto diverse".
Ma insomma esiste un’emozione presente solo nell’uomo?
"Non siamo ancora riusciti a trovare un equivalente animale della vergogna. Ciò che certe volte ci sembra esserlo, per esempio in un cane che ha fatto qualche disastro, in realtà è la paura di essere puniti e non il "senso di colpa". Invece nell’uomo il sentirsi imbarazzati o in colpa ha persino un segnale tutto nostro: il rossore. Credo che questo indichi l’importanza che ha per noi la fiducia degli altri".
Però noi ci vergogniamo anche di cose che non sono una colpa, come fare sesso.
"La vergogna che proviamo nel mostrare certe parti del corpo o atti probabilmente aiuta la coesione sociale, evitando di suscitare invidia e desideri pericolosi negli altri. Anche gli scimpanzé certe volte si nascondono per fare sesso, anche se solo per sfuggire al controllo del maschio dominante. E quando gli amanti vengono scoperti, il maschio si copre subito il pene con entrambe le mani, un gesto molto umano per nascondere la ragione per cui si trova accanto alla femmina".
Se gli animali ci somigliano così tanto, allora è moralmente inaccettabile farli soffrire.
"È così, abbiamo un obbligo morale verso di loro. Ritengo sia necessario ridurre via via l’allevamento animale, a partire da quello intensivo, e vietare pratiche crudeli, come separare alla nascita le mucche dai loro vitelli. Anche molti laboratori in cui ho lavorato sono stati chiusi e gli animali trasferiti in strutture più vicine alle loro esigenze naturali, dove vivono molto più felici e rilassati. Dopo quello che abbiamo scoperto sui primati, questo era il minimo che potessimo fare".