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 2020  febbraio 20 Giovedì calendario

Biografia di Margarethe Maria von Trotta


Margarethe Maria von Trotta, nata a Berlino il 21 febbraio 1942 (78 anni). Regista. Attrice. Sceneggiatrice • «Protagonista della rinascita del cinema in Germania» (Maria Pia Fusco, la Repubblica, 19/7/2015) • «È tedesca, ha vissuto in Italia, parla italiano, vive a Parigi» • «Autrice di Anni di piombo, il film più importante sul terrorismo tedesco degli anni ’70» (Natalia Aspesi, la Repubblica, 21/1/2004) • Tra i suoi altri film: Sorelle – L’equilibrio della felicità (1979), Lucida follia (1983), Rosa L. (1985), Paura e amore (1988), Rosenstrasse (2003), Vision (2009), Hannah Arendt (2012), Alla ricerca di Ingmar Bergman (2019) • «Il suo è stato, soprattutto agli esordi, un cinema politicamente impegnato, che ha puntato fondamentalmente sul rinnovamento dei contenuti, affrontando temi di attualità e privilegiando soprattutto la costruzione dei personaggi femminili, attraverso l’analisi delle loro motivazioni psicologiche profonde» (Enciclopedia del Cinema, 2004) • «Margarethe von Trotta sta al femminismo cinematografico come Roberto Rossellini sta al neorealismo o Sergio Leone allo spaghetti western» (Rodolfo Casadei, Tempi, 17/11/2014) • «Non faccio differenza fra un film politico e uno che non lo è: tutto è politico, ma anche legato alla mia persona. Per raccontare una storia non scelgo l’argomento, ma un personaggio con cui confrontarmi e che possibilmente mi insegni qualcosa»
Titoli di testa «Nanni Moretti mi ha detto una volta che non bisogna parlare dei film che vuoi fare perché se ne parli non li farai» (a Cristina Paternò, Cinecittà News, 27/3/2015).
Vita «Io porto il cognome di mia madre, che era di nobile famiglia tedesca trapiantata a Mosca. Ritornata in Germania dopo la Rivoluzione, divenne apolide» (alla Aspesi) • «Era giovane e poverissima, i nobili costretti ad andarsene dalla Russia avevano perso tutto» (a Maria Pia Fusco, la Repubblica, 23/3/2015) • «Sono nata quando lei aveva 42 anni e portavo il suo cognome perché non era sposata con mio padre» • Lui, di anni, ne aveva 62. «Era stato un pittore di regime, di idee hitleriane, ma non mi risulta che abbia mai dipinto altro che cavalli» (alla Aspesi) • «È morto quando avevo dieci anni, era sposato, aveva vent’anni più di mia madre, non ha vissuto con noi. Era un pittore, io nel disegno ero un disastro, ero convinta che non mi volesse bene. Invece mi ha molto amato […] Mia madre e io avevamo vissuto da sole, c’era una comunicazione profonda, le raccontavo tutto, mai una bugia» (alla Fusco, 2015) • «Da bambina non sapevo che i tedeschi fossero responsabili della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto» (alla Paternò) • «Eravamo circondati dal silenzio, anche a scuola si parlava tanto di Rilke, ma sul nazismo, sulla storia che gli adulti avevano vissuto, si sorvolava. Tutti volevano dimenticare, anche gli ebrei: i tedeschi per vergogna e paura, loro per non rievocare sofferenze indicibili» (alla Aspesi) • «Fino alla mia laurea ho vissuto con mia madre in una stanza. Con lei condividevo tutto […] a scuola le classi erano femminili, Berlino era distrutta e gli unici uomini che frequentavo erano i miei zii invalidi di guerra. Tutti gli altri erano in prigione. Insomma, il mondo maschile normale l’ho conosciuto molto tardi […] Sono nata a Berlino ma sono in realtà cresciuta in Renania […] A sei anni l’ho lasciata, e mi sembra di essere diventata una testa pensante in altri paesi, a cui quindi sono più affezionata. Io poi ho vissuto la Berlino della guerra e del muro, mi sentivo più a casa in Italia o in Francia» (a Alma Mileto, Fata Morgana, 24/1/2019) • «Sono stata apolide sino al mio primo matrimonio» • «A Düsseldorf, a 16 anni, vidi I bambini ci guardano di Vittorio De Sica, e capii l’importanza della verità e di ciò che diciamo ai giovani» (alla Paternò) • Da ragazzina, in Francia, recita in qualche film. «Sono arrivata dalla Germania prima della Nouvelle Vague, noi avevamo solo film poco seri. Quando arrivai a Parigi, vidi molte opere di Ingmar Bergman e tutto d’un tratto capii cosa potesse essere il cinema. Guardai Alfred Hitchcock e la Nouvelle Vague francese. Mi fermai e pensai, “ecco cosa voglio fare nella vita”» (citato dal sito germanflicks) • «Ho aspettato diciassette anni prima di poter produrre il mio primo film, ma è Bergman che mi ha dato questo slancio e questa voglia. Per questo gli sarò grata per tutta la vita» • «A Parigi ho incontrato degli studenti francesi che mi hanno aggredito in quanto tedesca e io non sapevo neppure cosa rispondere perché non sapevo di cosa parlassero. È lì che è iniziato il mio interesse per il passato. Sono tornata in Germania e a quel punto volevo sapere. Questa negazione della verità ci ha reso ribelli» (alla Paternò) • «Dopo gli studi compiuti a Parigi e a Monaco, si dedicò al teatro a Dinkelsbühl, Stoccarda e Francofort » (Enciclopedia del cinema) • Recita anche al cinema per registi come Rainer Werner Fassbinder, Volker Schloendorff e Herbert Achternbusch • «Ha raccontato quanto sia stato difficile per una donna essere riconosciuta come regista. “Da sempre ho pensato di diventarlo, ma quando ho fatto il mio primo film, L’onore perduto di Katharina Blum, nel 1974, hanno cercato di cancellare il mio contributo, sui manifesti c’era solo il nome di Schloendorff”» (Paternò) • Tre anni dopo gira Il secondo risveglio di Christa Klages, storia di una donna che rapina una banca per salvare l’asilo dove lavora • Nel 1979 è la volta di Sorelle • «Avevo chiamato le protagoniste Maria e Hannah, pensavo che fossero nomi troppo biblici e volevo cambiarli ma non l’ho fatto. Poi ho scoperto che la mia sorella segreta, che ha quindici anni più di me, si chiama Hannah, e il mio secondo nome è Maria […] In occasione dell’uscita del film, la tv mandò in onda un’intervista in cui per la prima volta parlavo di mia madre, morta da poco. Raccontavo che era di una famiglia nobile dell’Est […]. Ho ricevuto una lettera, una donna mi chiedeva se mia madre si chiamasse Elizabeth e fosse nata a Mosca, cose che nell’intervista non avevo detto. Le chiesi come facesse a saperlo, la pregai di dirmi se aveva altri ricordi. Mi scrisse “sono tua sorella”» (alla Fusco, 2015) • Per Margarethe è un choc. Come ha potuto sua madre tacerle un segreto di tale portata? • «Con Hannah abbiamo indagato, forse l’aveva rimosso perché aveva sofferto troppo, aveva dovuto dare la bambina in adozione […] in caso di adozione non è possibile risalire alla madre naturale ma nella Germania nazista i genitori adottivi dovevano presentare i documenti per dimostrare che la figlia non fosse ebrea. Grazie a quei documenti Hannah ha scoperto tutto. Anche chi fosse il padre. Mia zia - neanche lei sapeva - mi ha detto che mia madre aveva avuto un fidanzato, si amavano ma lui era ricco e la famiglia, se l’avesse sposata, lo avrebbe diseredato. La lasciò» (alla Fusco, 2015) • «Raggiunto il successo internazionale, a partire da Heller Wahn (1983; Lucida follia) la von T. ha concentrato la sua attenzione su alcuni “passaggi obbligati” della rivendicazione femminista» (Enciclopedia del Cinema) • Nel 1985 gira un film su Rosa Luxemburg. «Ho ereditato il progetto quando è morto Fassbinder, perché avrebbe dovuto girare lui il film. Ma la sua sceneggiatura per me non andava bene: era un melodramma, io dovevo prima capire in che modo Rosa Luxemburg comunicava con me, per poi poter realizzare un suo ritratto dalla mia prospettiva» • «All’epoca esistevano solo due biografie su di lei, ed entrambe si concentravano solo sul suo ruolo politico. Per poter scoprire qualcosa in più ho passato quindi tantissimo tempo a studiare le sue oltre 2500 lettere custodite dall’Istituto di marxismo-leninismo di Berlino Est. Nelle lettere agli amici e agli amanti è una persona completamente diversa rispetto a quella che emerge dalle lettere ai compagni» (alla Branca) • Nel 1988 lavora a Paura e amore, ispirato alle Tre sorelle di Čechov, e a un episodio del film a più mani Felix • Nel 1990 gira L’Africana, storia di un triangolo amoroso, nel 1993 Il lungo silenzio, che parla dell’impegno civile di un magistrato ucciso dalla mafia. Con La promessa, nel 1995, racconta di due giovani berlinesi che riescono ad amarsi nonostante siano divisi dal muro • Continua a lavorare per il cinema e la televisione. Il suo ultimo film è un documentario su Ingmar Bergman • «Lei inizialmente rifiutò l’idea: “Non è possibile, ho troppa paura e lui è troppo grande”» (Charlotte Micklerwright, Cinefilia ritrovata, 28/6/2018) • Poi si convince • «Nel corso del film, realizzato assieme al figlio Felix Moeller, Margarethe, von Trotta intervista Liv Ullman, Gaby Dohm e Rita Russek, le attrici ancora viventi che hanno lavorato con Bergman, assieme alla montatrice che lo ha seguito in 40 anni di lavoro, e ne ricordano le caratteristiche di persona semplice, ma anche un po’ infantile e capricciosa […] Bergman appare in questi racconti con molti dei suoi aspetti infantili, delle sue nevrosi che non voleva curare perché gli avrebbero fatto perdere la sua creatività, che era in fondo quella di un bambino che gioca con le marionette del suo teatrino» (Ester de Miro, il manifesto, 18/5/2019) • «Lei ha fatto parte del “nuovo cinema tedesco”. Che ne è rimasto e che rapporto c’è con gli autori di oggi? “Ci siamo sparsi per il mondo, Wenders gira un po’ ovunque, Schloendorff è rimasto qui, io vivo a Parigi, Herzog sta spesso in America. Non c’è più una generazione unita dalla ribellione contro il cinema dei padri”» (alla Fusco, 2015).
Vita privata Sposata due volte. Dal 1964 al 1968 con Jürgen Moeller, che le ha dato il figlio Felix, anche lui regista. Dal 1971 al 1991 con il regista Volker Schlöndorff, che l’aveva diretta in alcuni film.
Politica «Ha mai incontrato la signora Merkel? “L’ho vista una volta, prima di essere cancelliera era spesso nella villa di Volker, sembrava simpatica. Ma non ho votato per lei. Ogni tanto qualcuno mi chiede perché non faccio un film su di lei. No, dovrà passare del tempo per raccontare la sua storia, ci vuole la giusta distanza, come c’è voluta per raccontare il nazismo e la riunificazione della Germania”» (alla Fusco, 2015) • «Oggi siamo tutti dei piccoli Eichmann. Come il criminale nazista di cui Hannah Arendt ha saputo cogliere l’intima essenza, evitiamo di pensare. Il totalitarismo ha vinto anche se ha perso come sistema politico. Per reazione ha prodotto un individualismo che è vuoto di pensiero».
Curiosità È alta 1 metro e 72 • Cittadina onoraria di Firenze e di Palermo • È presidente di Bif&St, il festival del cinema di Bari • Per anni ha avuto il sospetto che suo padre fosse stato iscritto al partito nazista. Poi suo figlio ha fatto delle ricerche e ha scoperto che non era così • Ingmar Bergman metteva Anni di piombo nella lista dei suoi film preferiti • Tre anni dopo Visioni, il suo film del 2009 su Hildegard von Bingen, Benedetto XVI nominò la monaca medievale dottore della Chiesa. «Era il momento di farlo, spero che il mio film abbia dato una spinta al papa che si era occupato di Hildegard molti anni prima, quando era giovane aveva scritto su di lei. Ma Hildegard ha dovuto aspettare mille anni per essere nominata dottore della Chiesa, a differenza di tanti uomini» • «Avrei voluto fare un film con Gian Maria Volontè o Marcello Mastroianni, in Germania è difficile trovare due attori così bravi. Peccato che siano morti perché adesso avrei il coraggio di chiederglielo».
Titoli di coda «Sono abbastanza scoraggiata dalla realtà di oggi, ma non mi ritiro. Lutero ha detto: anche se muoio domani, oggi pianto ancora un albero» (alla Paternò).