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 2019  dicembre 14 Sabato calendario

Su "Vita? O teatro?" di Charlotte Salomon (Castelvecchi)

«Accade che tutti i personaggi rappresentati abbiano un loro testo da cantare e così ne risulta un coro… L’autore si è sforzato, come forse apparirà più chiaramente nella parte principale, di staccarsi completamente da sé….per penetrare nella profondità delle anime». Parla di se stessa in terza persona, Charlotte Salomon, che apparteneva a una famiglia di religione ebraica ed era nata a Berlino il 16 aprile 1917. Ma è proprio lei la protagonista della splendida opera autobiografica composta da tempere accompagnate da fogli manoscritti con la storia della propria esistenza, da riferimenti musicali e poetici, da Paul Verlaine a Heinrich Heine.

Questo singolare insieme artistico che, influenzato dall’espressionismo, alla maniera di Kandinsky mette insieme musica, documentazione storica, letteratura e testimonianze di vita, oggi appare come una modernissima graphic novel. Adesso esce la prima edizione italiana integrale di questo monumento pittorico e letterario con il titolo Vita? O Teatro?. Il volume, composto da un preludio, una parte principale e un epilogo, accoglie 781 tempere. Carlo Levi - tra i primi a occuparsi della pittrice - chiamò il complesso elaborato un «romanzo di sentimenti di fronte al destino». E Jonathan Safran Foer lo ha definito «il più grande libro del ventesimo secolo». Il «romanzo di sentimenti» della Salomon trabocca di umori, di amori e di passioni: si apre con un disegno cupo dominato dal blu e dal nero, datato 1913, l’anno in cui la sorella più piccola della madre di Charlotte si gettò nello Shlachtensee. L’ultimo dipinto è un autoritratto in cui l’autrice si raffigura con il pennello in mano davanti al mare burrascoso. Era la spiaggia che Charlotte raggiungeva dalla villa di Villefranche-sur-mer dove si era rifugiata per sfuggire alle persecuzioni razziali. Tra la prima e l’ultima delle tempere è racchiusa la storia dell’esistenza della Salomon che in una lettera si descrive «non molto bella, non molto dotata, non molto diligente, assai indolente, indisciplinata ed egoista». Eppure quest’ artista, i cui splendidi lavori sono stati esposti per la prima volta nel Joods Historisch Museum di Amsterdam e poi hanno fatto il giro del mondo, era invece aggraziata, con la pelle bianca trasparente e i lineamenti delicati.

La sua tragedia era iniziata quando la mamma Franziska Grunwald, una musicista, si era suicidata anche lei come la sorella. A Charlotte, che aveva 9 anni, in un primo momento, verrà detto che la mamma se ne era andata per l’«esito letale di un’influenza». Il papà si risposa con Paula Levi, famosa e attraente cantante d’opera berlinese, «stella di un ambiente culturale orgoglioso delle sue origini giudaiche», e l’artista avrà con lei un rapporto ambivalente, oscillante tra invidia, gelosia e ammirazione. Con l’avvento al potere di Hitler e l’emanazione delle leggi antisemite, il padre perde il lavoro di medico e Paula non può più esibirsi in pubblico. Charlotte è costretta a lasciare il liceo, ma continua a frequentare l’Accademia di Belle Arti. Ed ecco un terribile schiaffo. E’ prima classificata in una selezione ma non può esserle assegnato l’ambito riconoscimento in quanto ebrea.

Nel 1939 si rifugia a Villefranche-sur-Mer, dove sono approdati anche i nonni materni. Dal 1940 al 1942 lavora a più di mille tempere dalle tinte scintillanti e disegna l’avanzare delle svastiche, gli assiepamenti minacciosi, l’addensarsi di cartelli rossi e neri in cui si sputa veleno contro «gli ebrei maiali». In quadri color sangue rappresenta il pogrom dei nazisti contro gli ebrei avvenuto nella notte tra il 9 e 10 novembre 1938 in Germania, Austria e Cecoslovacchia, quando vengono distrutte sinagoghe, cimiteri, migliaia di negozi e di case. Ma raffigura anche il suo grande amore che non sembra ricambiarla, Alfred Wolfsohn, insegnante di canto e psicoterapeuta che era stato ospitato nella casa paterna e da cui era affascinata pure la sua matrigna. Anche a lui è dedicata la serie dei disegni Vita? O Teatro?. Nel 1940 la nonna con cui vive nel Sud della Francia si uccide davanti agli occhi di Charlotte. L’anziano marito sopravvissuto svela alla nipote il segreto: ben sette suicidi, in prevalenza femminili, si sono susseguiti nella loro famiglia.

La Salomon, nonostante le fortissime depressioni, vuole vivere e dipingere: affida parte della sua opera all’amica americana Ottilie Moore (che la salva dalla distruzione) e sposa Alexander Nagler. Nelle sue note registra, sempre in terza persona, che «nonostante la sua enorme debolezza il nostro personaggio non volle lasciarsi trascinare nel gorgo». Nel gorgo la portarono le SS il 7 ottobre 1943, appena 26 enne, quando irruppero nella villa in Costa Azzurra e la uccisero ad Auschwitz il giorno dopo il suo arrivo. Era incinta di cinque mesi e anche Nagler perì nel lager. I disegni, che all’inizio della narrazione erano ricchi di personaggi, progressivamente diventano sempre più vuoti e bui, privi di figure umane. Charlotte raffigurava il mondo criminale che la circondava totalmente disumanizzato.