Corriere della Sera, 23 dicembre 2019
Su "Caterina de’ Medici" di Alessandra Necci (Marsilio)
Fra terreni infidi e mari in tempesta. Così fu la vita di Caterina dei Medici? Sì, per molti versi fu così, come racconta questa nuova biografia della regina, Caterina de’ Medici. Un’italiana alla conquista di Francia, scritta per Marsilio da Alessandra Necci, autrice, tra l’altro, di un bel profilo di donne del Rinascimento, dedicato alle due cognate Isabella d’Este e Lucrezia Borgia. Una storia machiavellica la vicenda di Caterina: personalità capace di cambiare verso e fisionomia, di adattarsi alle difficili e sdrucciolevoli condizioni dei due mondi entro i quali oscillò, quello della giovinezza, la splendida ma ambigua e ingannevole capitale del Rinascimento italiano, Firenze; e la Francia, vissuta da inaspettata regina.
Un personaggio affascinante, proprio per questa sua capacità di costruire la sua vita sulla prudenza, la convenienza, la sottigliezza politica, la pianificazione, l’adattabilità, il sacrificio, la padronanza di sé e mai sull’amicizia o l’empatia, bandite dal suo vocabolario, appartenenti ad un orizzonte a lei completamente alieno.
Un ritratto di una donna a tutto tondo quello regalato da Alessandra Necci, di una vita lunghissima e travagliata, cominciata a Firenze cinquecento anni fa, il 13 aprile 1519 e terminata lontano da casa, nel castello di Blois, il 5 gennaio 1589. Settant’anni coronati dal matrimonio con re Enrico II e dal suo ruolo di reggente del regno di Francia, che lasciano emergere una figura femminile di prim’ordine, spregiudicata e determinata, capace di districarsi con energia tra i veleni della corte del più grande regno d’Europa, che non sempre la guardò con fiducia, anzi con sospetto, diversità, invidia; e che la considerò sempre distante, la «banchiera», come veniva definita dispregiativamente, per i trascorsi della sua famiglia. Questi aspetti l’autrice li scopre con garbo, soprattutto sottolineando il ruolo svolto da Caterina come un vero e proprio ponte non solo tra due mondi culturalmente distanti (la sofisticata Italia, l’ancora acerba Francia di quell’epoca) ma come figura di transito di un lungo XVI secolo, «intessuto di novità e mutamenti, costellato di contraddizioni, ritmato da bellezza e atrocità, ansie di assoluto e paure escatologiche». Ed è questo l’elemento di maggiore vitalità del saggio, che ne fornisce la chiave di lettura e di esplicazione di maggiore consistenza.
Il libro passa attraverso i momenti centrali della vita di Caterina, ma sempre alla ricerca di uno spiraglio che faccia intravedere aspetti psicologici, sensibilità, risvolti privati della donna. Non è un caso che si apra con il suo matrimonio, avvenuto il 23 ottobre 1533: nozze di una ragazza non bella ma intelligente, piena di charme, discreta, attenta che piace al re, ma un po’ meno a suo figlio Enrico, lo sposo, intanto preso da passione per una delle più belle dame di corte, che ha vent’anni più di lui, Diana di Poitiers. Tre anni dopo, un episodio inaspettato: l’erede designato al trono di Francia muore e il nuovo delfino è Enrico, secondogenito del re. L’italiana, sua moglie, può diventare regina. Ma dovrà attendere 11 anni per salire al trono, cioè il 1547, quando Francesco I muore. Mentre la sua incoronazione ufficiale avviene solo nel giugno 1549.
Da lì comincia una serrata avventura politica, centrata sul grande scontro religioso tra cattolici e riformatori, che scoppia dagli anni Cinquanta del XVI secolo. Caterina è individuata da molti come persona aperta al dialogo coi protestanti, ferma sostenitrice della tolleranza civile, ma nemica di ogni estremismo. Diremmo oggi, una illuminata moderata. Quando muore Francesco II, nel 1560, e sale al trono Carlo IX, cerca di dare vita ad una politica di riconciliazione tra le opposte schiere religiose. Ma lo scontro è troppo duro, le distanze insanabili, gli odi acerrimi fino al massacro di San Bartolomeo, il 22 agosto 1572, dove solo a Parigi cadono uccise tremila persone e circa altre diecimila in diverse parti del Paese. Dopo San Bartolomeo la propaganda calvinista inondò l’Europa di pamphlet propagandistici: se c’era un colpevole, questo era lei, la regina.
La sua vita durò ancora 17 anni, in cui mostrò ancora tutta la sua capacità diplomatica, da donna, come disse di sé stessa, che aveva «Machiavelli nel sangue». Ed è questa riflessione dell’autrice che colpisce, che Caterina fu capace, prima di molti altri, di concretizzare l’intuizione della ragion di Stato che Machiavelli aveva introdotto. Non poteva essere diversamente per chi, nata a Firenze in casa Medici, aveva saputo felicemente coniugare le doti della virtù con quelle che la fortuna le regalò.