6 febbraio 2020
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Biografia di Gay Talese
Gay Talese, nato a Ocean City, negli Stati Uniti, il 7 febbraio 1932 (88 anni). Giornalista. Scrittore • «L’ultimo dandy di New York» (Antonio Monda, La Stampa, 19/1/2020) • «L’uomo il cui lavoro ha ispirato almeno due generazioni di cronisti» (il premio Pulitzer David Halberstam) • Per dodici anni ha lavorato per il New York Times, poi ha scritto per la rivista Esquire e per The New Yorker • «Ho cominciato questo mestiere facendo il cronista del New York Times, quando lo chiamavano la “Vecchia Signora in Grigio” e c’erano ancora i correttori, che spulciavano ogni articolo col diritto di riscriverlo dalla testa ai piedi, se l’autore aveva fatto sciocchezze» (a Paolo Mastrolilli, La Stampa, 22/5/2006) • «Forse il più celebre tra gli scrittori italo-americani. Senza dubbio quello meglio vestito. Il suo abito grigio su misura strapperebbe un sorriso al padre sarto, e il suo Fedora è ancora più notevole, verde lime, lo stesso colore del manico del suo ombrello, un accessorio essenziale in un giorno piovigginoso d’ottobre» (John Domini, Il Giornale, 16/3/2018) • «Le sue frasi hanno lo stesso buon taglio dei suoi abiti. Usa paragrafi perfettamente equilibrati e parla con una certa nostalgia per i giorni degli anni Sessanta in cui era tra i pionieri del new journalism, i giornalisti che, per meglio immergere il lettore nel racconto, applicavano alla cronaca le tecniche e la forma della grande letteratura americana. Talese, assieme a Tom Wolfe, Truman Capote e altri scrittori ne erano considerati i maestri» (Tim Adams, The Guardian, 20/7/2016) • «In quanto scrittore di non-fiction, bisogna avere tutti gli strumenti e i talenti dei grandi scrittori di narrativa. Gabriel García Márquez, Ernest Hemingway, Graham Greene erano tutti reporter quando iniziarono le loro vite professionali e, persino nei loro romanzi migliori, si intravedono il cuore e l’anima del reporter» (da Il Sole 24 Ore, 7/4/2016) • Tra i suoi libri: Il regno e il potere, un saggio sul lavoro al New York Times (1969); Onora il padre (1971), la storia del boss mafioso Joseph Bonanno; La donna d’altri (1981), un’inchiesta sulla libertà sessuale in America; Ai figli dei figli (1992), sulle origini della propria famiglia; A Writer’s Life (2006), una autobiografia • «Non mi interessa scrivere romanzi, la vita è sempre più ricca e imprevedibile della fantasia» (a Monda).
Titoli di testa «Si sfila lentamente la giacca e mostra l’etichetta: A. Cristiani, 2 Rue de la Paix, Paris “Ne ho un centinaio, tutti fatti da componenti della mia famiglia. Durano una vita. Mio padre andò dalla Calabria a Parigi per diventare apprendista di Cristiani”» (a Domini).
Vita «Gay è figlio di un sarto calabrese, emigrato nel New Jersey a cavallo del secolo» (Monda) • Sua madre, Catherine De Paolo, ha un negozio di abiti da donna a Ocean City, cittadina sulla costa atlantica a sessanta chilometri da Filadelfia. Suo padre viene da Madia, in provincia di Catanzaro • «Un villaggio sprofondato nel Medioevo, dove il dialetto non conosce neppure un verbo per esprimere il futuro» (a Angelo Aquaro, la Repubblica, 14/2/2011) • «Un paesino sul fianco di una collina da cui si vedevano paludi malariche e, più in là, il Tirreno, il mare che fin dall’antichità aveva portato flotte e flotte di invasori ostili e che per giunta, secondo la leggenda, era la tana di un mostro marino omerico con un grande appetito per la carne umana. Nel 1922, all’età di 17 anni, mio padre, soffrendo per la paura e per il mal di mare, aveva viaggiato da solo per dieci giorni su una nave di immigrati, prima di trasferire i suoi incubi marinareschi nel Nuovo Mondo. Finì che trasformò quegli incubi in storie della buonanotte, tese a istruirmi su quanto fosse stato difficile e spaventoso per lui cercare una vita migliore in America e, ovviamente, a farmi capire che non avevo motivo per lamentarmi di niente» (lui, sul New York Times, 2/7/2009) • «La mia famiglia era come la grande maggioranza delle persone del Sud Italia. Non eravamo persone di lettere» (a Domini) • «Non conoscevano il significato della parola “depressione” perché erano reduci da secoli di fame e povertà, dall’Impero romano in poi» (a Alessandra Farkas, Corriere della Sera, 16/5/2009) • «I fratelli di mio padre avevano combattuto per Mussolini» (a Domini) • «Avevo 10 anni quando mio padre mi raccontava degli zii italiani in guerra contro gli americani che volevano liberarli. Gay sta per Gaetano: ma da bambino non volevo essere considerato italiano. Papà pianse quando vide le foto di Mussolini a testa in giù. Non era fascista: ma sentiva l’umiliazione pubblica di tutto un popolo» (ad Aquaro) • «Io odio l’opera, mio padre metteva su Caruso e mi vietava lo swing» (ibidem) • «“Ho avuto un’istruzione cattolica, che voleva dire che ogni domenica il prete ti diceva di stare attenti ai film e ai libri sporchi”, racconta. Dice che fino a 22 anni ha dormito sdraiato sulla schiena, con le braccia incrociate sul petto per cercare di non di toccarsi» (Mick Brown, The Telegraph, 18/11/2015) • Da ragazzo passa ore nel negozio della madre. Origlia le chiacchiere delle clienti. Impara ad ascoltare la gente, a lasciarla parlare e che «anche quello di cui esitano a parlarti, ti dice molto di loro» (dal saggio Origins of a Nonfiction Writer) • «Guardavo queste donne in reggiseno raccontarsi le loro vite. Fu quella la mia scuola di giornalismo. Ho imparato a trattare la gente con rispetto, ho imparato quando è meglio non fare domande e come far sentire la gente a suo agio. I nomi di queste donne non sarebbero mai finiti sul giornale, ma anche loro avevano qualcosa da raccontare» (a Adams) • «Quasi tutto, nella sua carriera giornalistica, si è sviluppato in maniera diversa rispetto a quello che avrebbe pensato, a cominciare dal modo in cui ha scoperto di avere talento sostituendo il suo allenatore di baseball nel resoconto delle partite. Il suo intento era quello di ingraziarsi il coach per assicurarsi il posto nella prima squadra, ma tutti si accorsero che i suoi resoconti lasciavano incantati i lettori. Imparò già in quella prima occasione a iniziare i suoi racconti in medias res, qualcosa di inedito, a quei tempi, per gli autori americani» (Monda) • Studia giornalismo all’università dell’Alabama, poi, grazie a un amico, trova lavoro al New York Times. Comincia come copyboy, deve ricopiare in bella copia i pezzi che i cronisti portano in redazione, poi passarli ai capiservizio • «Allora, ai miei inizi, noi giornalisti della mia generazione eravamo i primi membri delle nostre famiglie a frequentare un college e a laurearci. Non avevamo frequentato college d’“élite”, perché eravamo soprattutto membri delle classi inferiori - eravamo ragazzi delle famiglie ebraiche, delle famiglie irlandesi, di quelle italiane, persone che da poco avevano superato l’esperienza di essere immigrati» (dal Sole) • «Ci ha liberati proprio Sinatra: il primo italiano d’America di cui andare orgogliosi. E poi il cinema. La dolce vita! L’Italia non era solo miseria» (ad Aquaro) • Al giornale gli fanno scrivere i necrologi. «Non erano neanche quelli delle persone famose, ma quasi tutti di illustri sconosciuti: dovevo concentrare in sette righe un’intera vita. Soffrivo, all’epoca, per quella che mi sembrava una punizione, ma ora sono grato a quell’esperienza: di fronte alla morte bisogna essere sobri ed essenziali» (Monda) • «Sono stato molto influenzato da alcuni cronisti vecchia-scuola che ho conosciuto quando ho iniziato a lavorare. Uno di loro, uno che aveva vinto un premio Pulitzer, mi disse: “Giovanotto, stai lontano dal telefono. Alza il culo e vai là fuori. Devi andare dove c’è la storia. Parlare con le persone coinvolte. Guardarle negli occhi”» (Nick Tabor, New York Magazine, 24/6/2016) • Talese un giorno incontra l’uomo che lavora dietro gli schermi di Times Square dove scorrono le notizie. Lo intervista. Glielo pubblicano senza firma. In poco tempo comincia a seguire lo sport. Gli piace il pugilato. Scrive trent’otto articoli solo sul peso massimo Floyd Patterson, poi lo trasferiscono all’ufficio di Albany, per seguire la politica locale • «In tempi brevissimi si accorse anche che il mestiere di cronista gli andava stretto: “Il giornalista scrive con la speranza di arrivare in prima pagina sul New York Times, in modo da dimostrare che quel giorno è vivo, e che lo sarà ancora nei microfilm dei giorni successivi”» (Monda) • Nel 1965 lascia il Times e inizia a scrivere solo per le riviste • «Nell’inverno del 1965, l’Esquire mi spedì a Los Angeles per un’intervista a Frank Sinatra che l’addetto stampa dell’artista aveva concordato con il direttore […]. Ma dopo che mi ero registrato al Beverly Wilshire Hotel, che avevo prenotato un’auto a noleggio nel garage dell’albergo e avevo passato la serata in una stanza spaziosa a digerire una spessa mole di materiali su Sinatra, insieme a una bistecca altrettanto spessa accompagnata da un buon Borgogna californiano, ricevetti una telefonata dall’ufficio del cantante che mi informava che l’intervista programmata per il pomeriggio del giorno dopo non avrebbe avuto luogo» (su la Repubblica, 13/12/2015) • Sinatra è preoccupato perché i giornali lo accusano di avere rapporti con la mafia. L’addetto stampa del cantante dice a Talese che Frank ha il raffreddore e non può incontrare nessuno • «... Sinatra è malato. È vittima di un malanno talmente comune che la maggior parte delle persone lo giudicherebbe banale. Ma se colpisce Sinatra è capace di precipitarlo in uno stato di angoscia, depressione profonda, panico, perfino rabbia. Frank Sinatra ha un raffreddore. Sinatra con un raffreddore è un Picasso senza i colori, una Ferrari senza carburante. Anzi, ancora peggio: perché il comune raffreddore priva Sinatra di quel gioiello non assicurabile, la sua voce, affondando il coltello nel cuore della sua sicurezza; e oltre a colpire la sua psiche sembra provocare una sorta di gocciolamento nasale psicosomatico in decine di persone che lavorano per lui, bevono con lui, dipendono da lui. Un Sinatra col raffreddore può scatenare ripercussioni in tutta l’industria dell’intrattenimento e oltre, così come un’improvvisa malattia del presidente degli Stati Uniti rischia di scuotere l’economia nazionale…» • Talese passa giorni e giorni a incontrare attori, musicisti, dirigenti di studi cinematografici, produttori, ristoratori, signore che Sinatra lo conoscono. A ognuno di loro ruba un dettaglio. Rimane a Los Angeles per quattro settimane, in totale. Esquire gli paga cinquemila dollari di spese. Per un motivo o per l’altro, grazie a mille scuse dell’ufficio stampa, Sinatra non riesce a incontrarlo. Ma non gli serve • «Tornai a New York e mi presi altre sei settimane per organizzare e scrivere un articolo di cinquantacinque pagine ricavato in gran parte da duecento pagine di appunti che contenevano interviste a più di cento persone e descrivevano Sinatra in posti come un bar a Beverly Hills (dove era stato coinvolto in una rissa), un casinò a Las Vegas (dove aveva perso un piccolo patrimonio a blackjack) e lo studio della Nbc a Burbank (dove, una volta rimessosi dal raffreddore, aveva di nuovo registrato lo spettacolo e aveva cantato magnificamente). La redazione dell’Esquire intitolò il pezzo: Frank Sinatra ha il raffreddore e fu pubblicato sul numero dell’aprile 1966. Non ebbi mai l’opportunità di parlare a tu per tu con Frank Sinatra, ma forse è proprio questo uno dei punti di forza dell’articolo» (su la Repubblica) • Nel 1969 pubblica Il regno e il potere, che svela come funziona la redazione del New York Times. È subito un successo. Due anni dopo Onora il padre, la storia di un boss della mafia. Guadagna abbastanza soldi da comprarsi una casa nell’Upper East Side di Manhattan • «“Nella mia mente i romanzi non finiscono mai: Onora il padre è continuato per decenni dopo la sua pubblicazione, perché continuavo a frequentare il clan Bonanno. Sono stato al funerale di Joe un decennio fa, a quello di Bill un anno fa”. Mentre li frequentava con assiduità per scrivere su di loro, dal 1965 al 1971, non si sentiva minacciato? “Non ci ho mai pensato. Se ci pensi ammattisci e smetti di informarti”» (Tommy Cappellini, Il Giornale, 24/5/2011) • Diventa famoso per i suoi libri e, soprattutto, per la sua cura maniacale per i dettagli • «A un certo punto, durante la nostra conversazione, gli ho chiesto se, durante il suo leggendario processo di ricerca, mesi e anni di perfezionamento della “arte di andare a zonzo”, si sia mai dimenticato di essere un cronista. “Nemmeno una volta”, risponde con sicurezza. “Per La donna d’altri, per esempio, anche se una donna mi offriva del sesso orale, cercavo di concentrarmi sulla stanza e di accertarmi di ricordarmi il colore delle pareti. La precisione per me è sempre stata fondamentale”» (Adams) • «Da quando ci sono tv come la Cnn o la Fox, e i blog, tutti sentono la necessità di correre per non subire scoop. In questo modo, però, ci tagliamo le gambe da soli, perché pubblichiamo così tante corbellerie che i lettori non ci seguono più. Ormai l’unica cosa vera, nei giornali di oggi, sono i risultati degli incontri sportivi: sono numeri, è difficile manipolarli. Il resto è tutto superficiale, inaffidabile. Non è che quando io facevo il cronista ci piaceva prendere buchi, però l’accuratezza e la rilevanza degli articoli venivano sempre prima della quantità e della velocità. Se non avevi la storia giusta e completa, non scrivevi. Meglio rimandare che sbagliare» (a Mastrolilli) • «Penso che la maggior parte dei giornalisti siano proprio pigri. Un po’ pigri e anche vengono imboccati con informazioni, come quella volta con le armi di distruzione di massa nel 2003. [...] c’è questa gente che costruisce notizie impacchettate, le sviluppa come in un film e trovano, come disse una volta Mailer della stampa, giornalisti che sono come degli asini. Bisogna dar da mangiare all’asino. L’asino deve mangiare ogni giorno. Così [interessi particolari, ndr] lanciano informazioni a questi maledetti animali che mangiano di tutto. Barattoli, spazzatura» (David Shankbone, Wikinews, 27/10/2007) • «Oggi su cosa appunterebbe la sua attenzione? “Scriverei di una donna apparentata con un membro di Al Qaeda, che è una società segreta come la mafia, e come i Navy Seals che hanno ucciso Osama Bin Laden. Se è per questo non capisco come Gheddafi sia diventato un criminale solo negli ultimi sei mesi. O perché al tribunale dell’Aja non ci vadano Rumsfeld, Cheeney e financo George W. Bush. Vede, ho la stessa abitudine del cardinale Rufo, un calabrese come me: guardo le cose da troppi punti di vista”» (Cappellini) • «Ho visto persone di talento morire senza gratificazione, e so che la qualità non è sufficiente. Forse non è sufficiente neanche quello che gli ebrei chiamano chuzpah, la consapevolezza arrogante e piena di energia della propria qualità. Mi rifiuto però di credere che sia il caso a dominare le nostre vite, come teorizza Woody Allen» (Monda).
Vita privata Marito di Nan Ahearn, sua coetanea, che lavora per la casa editrice Random House • Si sono sposati a Roma nel 1959, «Eravamo stati sedotti da Fellini». Cerimonia in Campidoglio, ricevimento di nozze all’hotel Excelsior • Due figlie, Catherine e Pamela, entrambe divorziate, entrambe senza figli.
Politica Politicamente scorretto • Non gli piaceva Hillary Clinton: «Il peggior segretario di Stato, visto il caos che ha creato in politica estera» • Nel 1998, dello scandalo che colpì Bill Clinton, disse: «Ha visto che donne lo accusano? Tutte brutte. Paula Jones! Lei le avrebbe chiesto un appuntamento? La Lewinsky? C’è di molto meglio, mi pare. Il rimprovero che gli muovo è di mancare di gusto» • «Quando era stato eletto, lei aveva detto che Trump rappresentava l’essenza degli Usa. Lo pensa ancora? “Certo. Incarna tutto ciò che i giornalisti cresciuti nel privilegio e nel culto della correttezza politica disprezzano, e quindi non riescono a vedere” Cioè? “Un uomo egotistico e rude. Non di strada, ma che viene dalla strada. Dai cantieri edili di suo padre, dove gli operai sudano, imprecano e guardano le donne. Chi lavora nei media, ha studiato nelle università d’élite, fa l’avvocato a Washington, non ha la minima idea di come sia il mondo reale. Loro erano affezionati al professore di decoro Barack Obama, che aveva trasformato la Casa Banca in una classe di Harvard. […] Trump è una figura favolosamente fallace. Uno sfacciato newyorchese, come Giuliani o il suo avvocato Cohen. Viene da un mondo di costruttori, ruffiani, fornicatori. Intorno a lui è nata un’industria di odiatori, oscuri giornalisti diventati celebrità. Lo criticano ma è la loro fortuna. Senza di lui avrebbero il blocco dello scrittore”» (Paolo Mastrolilli, La Stampa, 14/5/2018).
Curiosità La sua festa di Natale è la più esclusiva di New York. Ci va pure il sindaco. Secondo Tom Wolfe, «lui e Nan sono gli unici tra i giornalisti a sapere come si organizza una festa» • Tiene per gli Yankees • Vive ancora con la moglie nella casa a cinque piani sulla 61esima strada est. Aveva comprato un appartamento nel 1957, quando lavorava per il New York Times, e il resto dopo aver venduto i diritti cinematografici di La donna d’altri per 2 milioni 700 mila dollari • Il film non fu mai fatto • Si alza alle sette del mattino e la prima cosa che fa è leggere il New York Times, che gli arriva a casa. Impiega circa due ore, per le 9.30 cerca di aver finito e di aver anche fatto colazione, perché a quell’ora arriva la sua donna di servizio, una signora francese con due cani. Poi si veste come se dovesse andare in ufficio, mette giacca e cravatta e scende nel seminterrato, «il bunker», dove inizia a lavorare. Scrive a mano, poi ricopia tutto con una vecchia macchina da scrivere. Non usa direttamente la macchina da scrivere perché vuole costringersi ad andare piano. All’una va in una palestra chiamata Equinox tra la 63esima strada e Lexington Avenue e si allena alla cyclette. Poi legge il New York Post e il Daily News. Per le tre e mezza lascia la palestra, torna a casa e ricomincia a lavorare fino alle 7 o le 8. La sera, esce con la moglie, ma non fa mai tardi perché la sera vuole leggere libri • «Mai capito quelli che dicono: il piacere della scrittura. Scrivere è fatica» (ad Aquaro) • Non è sui social, non ha un computer e nemmeno il cellulare • Dice che l’avvento del registratore è stato la rovina del giornalismo. «I giornalisti, se così possono essere chiamati, si sono arresi al registratore, e allo stesso tempo hanno rinunciato al loro ruolo di partner dotato di pari importanza nel processo dell’intervista. I giornalisti hanno cessato di “ascoltare” pienamente, ponendo domande doppie o anche triple al soggetto intervistato. Le parole registrate su una macchina hanno iniziato a dominare, e alla fine a rimpiazzare, le parole dette… Che è come dire che l’intervistatore accetta ciò che c’è sul nastro senza insistere per (né pretendere) una risposta più completa alla domanda» • «Un buon giornalista è sempre al di là del bene e del male? “Sì”» (Cappellini).
Titoli di coda «Ieri passeggiando tra la Nona avenue e la Quarantaduesima strada ho visto un operaio che su un Caterpillar spostava pietre enormi con una maestria straordinaria. Gli ho chiesto il numero di telefono e gli ho detto che volevo scrivere un articolo sulla gente come lui che sa ciò che fa e, anche se guadagna poco, lo fa con orgoglio e passione. Più che l’amoralità, il problema del nostro tempo è proprio questo: pochissimi, inclusi gli amministratori delegati delle banche che guadagnano nove trilioni di dollari l’anno, sanno che diavolo stanno facendo» (alla Farkas)