4 febbraio 2020
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Biografia di Mario Cardinali
Mario Cardinali, nato a Livorno il 5 febbraio 1937 (83 anni). Fondatore e direttore del Vernacoliere, mensile satirico livornese. Giornalista. Scrittore. Conferenziere • «Ha scritto il primo libro a dieci anni (cioè nel 1947, quasi ieri). Ha poi prodotto migliaia di articoli in italiano e in vernacolo satirico livornese (raccolti anno per anno in agili volumetti, dal 1965 ad oggi) e un mare di rubriche umoristico-satiriche ed eziandio storico-linguistiche per il periodico “Livornocronaca il Vernacoliere”, da lui fondato nel 1961, e del quale è sempre stato anche editore e direttore, oltre che proprietario, e per una trentina d’anni ha fatto anche il correttore di bozze, il caporedattore, l’impaginatore, il grafico e l’amministratore. E quando si metteva la granata nel sedere riusciva anche a spazzare. Oggi però gli frizza il culo e fa spazzare parecchio anche il fratello Umberto e il figlio di lui Valter, ai quali ha delegato un bel po’ di faticaccia tecnica imbarcandoli sulla Mario Cardinali Editore srl, di cui Valter è divenuto insostituibile colonna» (dal sito del suo giornale) • «Lo studio di Mario Cardinali, davanti ai fossi veneziani di Livorno, è tappezzato di locandine […]. Niente male come assaggio della satira irriverente che ogni mese fa la sua comparsa nelle edicole toscane, e non solo. La chiesa che denuncia i preti cinesi perché fanno concorrenza non chiedendo l’otto per mille, il PCI che si scinde, la famosa contessa che pubblicizzava i cioccolatini Ferrero Rocher e il suo autista Ambrogio, Berlusconi che appare alla Madonna annunciandole che le darà un altro figlio, sono scenette dipinte con un linguaggio forbito che non risparmia nessuno, meno che mai i vicini pisani, eterni nemici dei livornesi» (Tania Masi e Alessandra Bartali, Toscana, Clup guide, 2006) • «Ci siamo divertiti per decenni con i pisani. Ebbe grande successo anche nel resto d’Italia il mio titolo dedicato a Cernobyl: “Nuvola atomica / Primi effetti spaventosi / È nato un pisano furbo / Stupore nel mondo e sgomento in Toscana”. O anche quello che inventai quando vararono la legge sulla tutela degli animali: “I pisani sono bestie anche loro / Vogliamogli bene”» (a Paolo Conti, Corriere della Sera, 1/11/2011) • «Un piccolo grande uomo, età da pensione, ma senza pensarci minimamente, ha creato la sua fortuna attraverso le guerre di campanilismo toscane. Ma il suo linguaggio, puro, vociante, irriverente, lo ha trasformato in un fenomeno che gli permette di sopravvivere senza chiedere a nessuno quattrini. Un piccolo esempio: Cardinali avrebbe avuto il diritto al finanziamento pubblico per i giornali. Anche negli anni durante i quali la presidenza del consiglio dei ministri distribuiva soldi a destra e a manca. Lui non li ha mai voluti quei soldi. Ha stampato il giornale, pagato i collaboratori, attraversato momenti di crisi. Ma il Vernacoliere è ancora lì a giocarsela. Un giorno combatte la sua battaglia contro i pisani, spesso se la prende con Renzi, ogni tanto il papa, Bossi, Berlusconi, Salvini. E non sono mai parole tenere. Nella migliore delle ipotesi li ha mandati tutti a fare in culo» (Emiliano Liuzzi, Il Fatto Quotidiano, 26/1/2015).
Titoli di testa «Maggior fortuna sarebbe, se in Italia ci fossero più toscani e meno italiani» (Curzio Malaparte, Maledetti Toscani, 1956).
Vita «Noi livornesi siamo una razzaccia a modo nostro» • «I pisani si sentono, e davvero sono, toscani antichi, autentici, doc. Hanno l’orgoglio della gloriosa Repubblica marinara. Sono giustamente fieri della loro università. Ma tendono a essere chiusi, calcolatori, un po’ egoisti. Noi livornesi siamo invece figli di puttana nel senso letterale e più autentico del termine. Ferdinando I de’ Medici, nel 1593, con la Costituzione livornina, proprio per fondare la città e il porto, concedette l’amnistia a tutti i mercanti che avessero pendenze. Arrivarono i cattolici perseguitati dai protestanti dal Nord Europa, gli ebrei cacciati dalla Spagna, altri dal Sud. Un crogiolo di gente, insomma. Molti maschi seguiti da donnine di facilissimi costumi. Per questo la natura dei livornesi, all’opposto dei pisani, è libertaria, allegra, godereccia, disincantata. E ironica» (a Paolo Conti, Corriere della Sera, 1/11/2011) • Mario prende la maturità classica. Poi si laurea in Scienze Politiche. «Ho fatto la tesi in diritto costituzionale comparato, quando sparo le mie cazzate so perché le sparo, non apro bocca per dare fiato, se ti mando affanculo poi ti spiego anche il perché» (a Costanza Baldini, intoscana, 2/9/2015) • «Giornalista pubblicista dal ’66, ha avuto esperienze giovanili di teatro (serie) e sempre giovincello ha fatto seriamente, da studente-lavoratore, il produttore di pubblicità» (dal sito del Vernacoliere) • Nel 1961 fonda Livornocronaca, che esce a cadenza settimanale. Dal ’69 al ’72 diventa quindicinale. Poi mensile, con il sottotitolo «il Vernacoliere». Dal 1982 è semplicemente Il Vernacoliere • «Creai questo giornalismo che era riferito a fatti d’attualità ma poi diventava un giornalismo fantastico, basato su una lingua, il vernacolo, che è tipicamente irriverente, sovversivo perché non porta rispetto e corrisponde perfettamente alla mentalità dei livornesi […] Cominciai quando venne il Papa Wojtyla a Livorno e feci il titolo “Boia il Papa a Livorno”. E già cominciarono a dirmi che avevo offeso il Papa perché molti non sapevano che “boia” è una tipica esclamazione livornese che vuol dire “accipicchia”, “accidenti”, “caspita”, “perdindirindina”, “perdincibacco”» (alla Baldini) • «L’anno dell’esplosione fu il 1982, e nella Milano da bere […] si affogavano anche di risate a leggere il Vernacoliere da dove, anche Roberto Benigni, avrebbe attinto parte del suo repertorio» (Emiliano Liuzzi, Il Fatto Quotidiano, 31/8/2103) • Nel 1984 si prende una denuncia. Il governo istituisce la Socof, la sovraimposta comunale sui fabbricati, quella che poi diventerà l’Ici. Lui titola: «Sovraimposta Governativa sulla Topa / allarme tra i consumatori» • «Ci fu un signore, comunista tra l’altro, il direttore della biblioteca comunale di Pisa, che mi querelò per oscenità. Ci fu un processo per direttissima. Per la prima volta c’era la topa su una locandina. Feci una deposizione di un’ora e un quarto, fui praticamente l’unico a parlare. Andai a testimoniare che la topa non è un lemma osceno, a Livorno è un lemma normale, familiare. Andai a dimostrare che la parolaccia non era uno sfogo epidermico ma era una riacquisizione del linguaggio popolare contro il linguaggio colto, che io ben conosco» (Liuzzi 2015) • «Lo scampato pericolo rinvigorisce l’inchiostro per una nuova locandina: “La topa non è reato! / Livorno in festa, / il mondo esulta”» (Laura Montanari, la Repubblica, 2/12/2007) • «Dire dieci volte di fila culo, topa, culo, topa è inutile. Ma se le parolacce servono per parlare di altro allora veicolano un messaggio. La topa, ad esempio, non è più nemmeno un referente fisiologico; la topa è come una categoria kantiana, diventa la speranza del poveraccio. Il socialista spera in un mondo migliore su questa terra, il religioso spera in un mondo migliore nell’aldilà, il poveraccio invece arriva la sera a casa e dice “ma, speriamo almeno ci sia magari un po’ di topa!”. Questo linguaggio diventa così veicolo di contenuti di dissacrazione, protesta e libertà di pensiero» (ad Andrea Provinciali, Il Mucchio Selvaggio, 1/2/2008) • «È un modo di fare satira e critica, è una forma di ribellione al potere anche per rompere con l’italianese della politica da azzeccagarbugli. Anche Don Milani faceva la stessa cosa, anche se non in vernacolo. In fondo la storia della resistenza umana comincia dai cristiani. Io più che altro lo faccio per divertirmi, fa parte della mia filosofia, del mio modo per essere vivo» (a Costanza Baldini, Intoscana, 22/9/2015) • «Penso di essere un uomo libero, e grazie a questo e ai miei collaboratori sono riuscito fino dai tempi di Livornocronaca a portare avanti questioni che mi stavano a cuore come il divorzio, l’aborto e la contraccezione; abbiamo fatto inchieste sugli ospedali, sulle case popolari, e per questo ci siamo guadagnati una certa stima da parte dei lettori, anche se c’era sempre qualcuno in alto a esserne infastidito: siamo sempre stati il dito nell’occhio del Palazzo […] Il linguaggio, sì, può sconcertare. Ma perché non se ne conosce il contesto. Questo continuo riferimento a concetti gastro-ano-genitali, che per gli altri può apparire osé, sboccato, villano, per il livornese è puramente colloquiale, è un modo di esprimersi che non è turpiloquio, ma un sostrato culturale: la parolaccia altro non è che il primo modo di uscire da certi schemi di potere prestabiliti. Il livornese rompe con i canoni del perbenismo proprio tramite questa sua espressività, che dà forma linguistica al sostrato ribellistico tipico di questo popolo. Il nostro vernacolo è propositivo, non fine a se stesso come quello delle maschere, teatrale, che sciorina le solite scenette di vicende familiari, con il quale ho una profonda diversità culturale. Io con il mio vernacolo ho inteso veicolare contenuti di critica sociale e politica, riappropriandomi dello spirito ribellistico dei livornesi, esaltandone l’essenzialità dell’espressione» (a Masi e Bartali) • Quando il Pci diventa Pds, lui titola: «Cambia nome anche la topa / non è più rossa nemmeno quella» • Sfotte la religione: «Dopo tutte le madonne che piangono, un nuovo sorprendente caso / San Giuseppe s’è pisciato addosso» • Nel 1993 la cantante Madonna pubblica il libro Sex. Lui titola: “Madonna trogolona” e pubblica in copertina una vignetta del Papa che cade nell’equivoco ed è attratto da quel libro. «Menomale che la cosa si risolse con la Corte d’Appello di Firenze che sancì che “neppure i fatti, i simboli, le cose e le persone pertinenti alla religione possono ritenersi immuni dall’esercizio del diritto di critica e da quello di satira” […] Quella sentenza che mi assolse argomentava che la satira fosse un’estrinsecazione tipica ed essenziale della manifestazione della libertà di pensiero secondo l’articolo 21 della Costituzione. Un anno prima, però, un’altra sentenza di Cassazione penale diceva che anche l’ironia, l’umorismo e la satira per essere accolti come manifestazioni del pensiero devono essere innocui, innocenti e inoffensivi. […] Purtroppo dipende tutto dai giudici nelle cui mani si capita: c’è chi pensa che la satira sia una cosa, chi un’altra» (a Provinciali) • «Tante cause, tanti processi. C’è chi voleva ripristinare il vilipendio alla religione di stato, chi ha fatto richiesta di sequestro preventivo, ma ne siamo sempre usciti illesi» (a Masi e Bartali) • «Tra i bersagli preferiti, i pisani: è del 2003 la celebre “Tragedia ‘ar mare: pesceane si mangia pisano!” seguito dal catenaccio: “S’ è sentito male”, riferito naturalmente al pescecane. Oppure: “La Chiesa si pente de’ su’ antichi errori. ‘R Papa chiede scusa ai Pisani. Aveva sempre penzato che ciavessero la coda”. […]. Un’altra locandina celebre è quella del 1984, quando vengono scoperti i falsi Modì e il Vernacoliere sbeffeggia tutti con uno: “Sconvolgente a Livorno! E dopo Modigliani... trovata una sega! Questa vorta è vero, si tratta di uno straordinario manufatto del Quaternario. Ora è sicuro: già a que’ tempi si facevano le seghe!”. Il Vernacoliere è questo, prendere o lasciare. Nell’anno in cui si introduce l’euro, i prezzi schizzano alle stelle e si fatica a raccapezzarsi coi centesimi, Cardinali si sente libero di alludere in locandina: “Il 69 è diventato 0,036. Un si sa più ‘ndove ficcà la testa”. Fra i bersagli facili, il Cavaliere: “Berlusconi su Marte, entusiasmo ner paese”» (Montanari) • «Dopo la strage di Charlie Hebdo: “Il Vernacoliere propone all’Isis un confronto civile. Basta terrore! Cari mussurmani facciamo a chi ce l’ha più grosso. Voi ci mettete le fave cor turbante. Noi ci si mette le testediazzo della Lega. Poi voglio vedé chi vince!”. Seguita, la locandina, “da una vignetta con loro che ci mettono il turbante e l’italiano che urla: Salviniiii! La Lega si è arrabbiata e ha riempito di proteste Facebook”, racconta Cardinali» (Ilaria Ciuti, la Repubblica, 15/2/2015) • «Ho dato dei contenuti non sono solo parolacce. In televisione la volgarità è stupidità, è sintomo della banalità. I titoli del Vernacoliere prendono spunto per la maggior parte da episodi di attualità, ma mentre negli anni ’80 mi riferivo a episodi di costume o fatti paradossali, pian piano c’è stata una svolta diciamo socio-politica. Il Vernacoliere è stato un referente di anti-politica, anzi di anti-potere e anti-palazzo. Il servilismo è tipico del giornalismo di oggi, il Vernacoliere si oppone a tutto questo. La gente purtroppo legge solo i titoli sulle locandine, chi legge i pezzi sono solo trenta-quarantamila persone, quelli che comprano il Vernacoliere. Se dovessi vendere un decimo delle copie di quanti leggono le locandine sarei multimiliardario» (alla Baldini) • «Ormai il giornale gode di ampia risonanza a livello nazionale e più o meno tutti, a destra e sinistra, sanno che devono convivere con la nostra satira» (a Bartali e Masi) • «Mi ricordo la domanda di un giovane di sinistra a un convegno sulla satira al carnevale di Viareggio qualche anno fa: “Ma ora che c’è D’Alema al governo non bisognerebbe lasciarlo lavorare senza criticarlo?” “O bischerone mio”, gli risposi, “se rinunci alla tua possibilità di critica ti prepari mentalmente a un regime”. Il presidente del convegno, uomo anch’egli di sinistra, mi bollò immediatamente come qualunquista. Evidentemente confondeva il qualunquismo con la libertà di espressione e l’amore per la propria libertà» (ibidem) • «Una volta venne qui un manager della Mondadori perché erano interessati ad acquisire il marchio del Vernacoliere per fare dei gadget, per esempio parlava di un’anti-Smemoranda. Io dissi di no e quello sfoderò una Mont Blanc, aprì il libretto degli assegni e mi disse: “Faccia lei la cifra”. “Allora non ci capiamo proprio”, risposi io, “ho quarant’anni di indipendenza e di libertà di pensiero che non si vendono a nessun prezzo”» (alla Montanari) • «Avrei potuto incassare un bell’assegno da centinaia di migliaia di euro... ma se avessi voluto far carriera e quattrini sarei entrato in Parlamento anch’io. Non sono più stupido di tanti che già ci sono. Ma almeno ho l’illusione di essere un uomo libero grazie a un lavoro in cui credo e in cui ho sempre creduto» (a Provincali) • Dice che il suo Vernacoliere è diverso da Charlie Hebdo: «Io non voglio offendere nessun profeta, sia Cristo, Maometto o Visnù, ma non voglio neanche avere uno che mi dice come devo nascere, vivere e morire. Sono un uomo libero: nasco, vivo e muoio come voglio» (a Ilaria Ciuti, la Repubblica, 15/2/2015) • E quando Charlie pubblica una vignetta sui terremotati dell’Italia centrale, nel 2016, dice che lui non l’avrebbe fatto • «A mio avviso la satira è un particolare esercizio critico dell’intelligenza, nutrito, però, da una buona dose di passione civile, altrimenti si cade nella battuta fine a se stessa, limitandosi alla comicità» (a Provinciali) • «Bisogna conoscere bene il vernacolo per saperlo scrivere, anzi bisogna prima conoscere l’italiano per scrivere bene in vernacolo. Oggi la gente non conosce l’importanza di esprimersi bene in italiano, figuriamoci in vernacolo» (alla Baldini) • «Il campanilismo ha perso la sua forza, perché è il sentimento popolare che non è più lo stesso. Oggi al limite è un pretesto per una scazzottata allo stadio» (a la Repubblica, 23/11/2017) • «L’intima essenza dei livornesi oramai è dimenticata, eravamo dei toscani atipici, cicale in un mondo di formiche. Le nostre “pottate” erano uno stile di vita nato dal motto “oggi siamo vivi domani non si sa", per cui era bene vivere al di sopra delle nostre possibilità […] Ma siamo cambiati ed è un vero peccato» • «Alla mia veneranda età continuo a baccagliare per certe idee, per certi ideali, m’arrabbio da morire e mi sgomento quando sento dire che “non c’è più destra né sinistra”... Perché la sinistra, per me, è una parola che contiene concetti fondamentali: giustizia sociale, uguaglianza, diritti. Concetti che nei partiti non ci sono più. I partiti, oggi, sono diventati grandi e anche piccoli comitati d’affari. L’unico di sinistra, a sentire tanti, nel mondo di oggi, pare essere il Papa. L’unico rimasto a parlare, per certi versi, di socialismo. Un Papa "comunista": siamo arrivati a questo punto, ma ci si rende conto? Che poi la sua non è ideologia politica e sociale, semmai è carità cristiana - sempre lodevolissima ma pur sempre carità, è fede (che finisce sempre col dire “di raccomandarsi a Dio”). Ma quello che mi fa più spavento è l’odio così tanto diffuso, odio contro il diverso, contro l’immigrato, contro l’umanità. Non è più nemmeno “razzismo”: è odio, odio puro, verso tutto e tutti. Che ha sostituito anche ogni riferimento di salvifica speranza, ogni speranza di ritrovarsi tutti fratelli» (a Claudio Marmugi, Il Tirreno, 27/1/2017) • «Invidio i giovani che hanno ancora da vivere. A volte li compiango perché è un mondo di merda: un mondo di egoismi dove la gente ha barattato l’onestà col successo, con l’apparire. Questo lo devo dire. Però, perdio, oggi vorrei esser giovane io, sai quante cose vorrei ancora fare...» (a Provinciali).
Vita privata «Qualche volta ha anche fornicato, sempre in modo serio, piacendogli assai la topa che è divenuta infatti una categoria kantiana del suo pensar satirico sul Vernacoliere, ma qui con poca serietà» (dal sito del suo giornale).
Libri Molti degli articoli satirici e delle locandine sono stati raccolti e pubblicati in alcuni volumi, tra cui: E finalmente Ambrogio ha trombato la contessa (Ponte alle Grazie, Milano, 1995); Politicanti, politiconi ed altrettante rotture di coglioni (Ponte delle Grazie, 1996); I comandamenti del Vernacoliere. Trombare meno, trombare tutti (Piemme, 2006); Quando a Rambo ni ciondolava l’uccello (Mario Cardinali Editore, 2009); Berlusconi cià rotto i coglioni (Mario Cardinali Editore, 2010); Era meglio un Papa pisano (Mario Cardinali Editore, 2012).
Curiosità È alto 1 metro e 65, lui dice «coi capelli ritti» • Scilinguagnolo micidiale • Su change.org c’è una petizione per fargli avere il premio Pulitzer. L’hanno firmata in 153 • «Siamo pieni di mode insignificanti e stupide. Piercing, tatuaggi e via dicendo. Perché non si può dire che sono stronzate?» (ad Alvaro) • Non ha mai avuto tessere di partito • Si è esibito anche a teatro • Nel 2015 ha ricevuto l’onorificenza della Canaviglia dal Comune di Livorno e nel 2016 il Gonfalone d’argento dalla regione Toscana • Come molti suoi concittadini, era convinto che Ciampi, quando da presidente andava allo stadio per tifare Livorno, portasse sfortuna • «Mica ci vanno di fioretto neanche con Napolitano. Si mettessero in testa un giorno di denunciare qualcuno per vilipendio del presidente della Repubblica, ci finirebbe anche Cardinali in quel frullatore. Ma lui alza le spalle. Si rimette a scrivere e se può picchia ancora più forte. “Noi livornesi siamo fatti un po’ così”, dice. “Sarcastici e vocianti. Cattivi no. Ma quello che mi dispiace è la rassegnazione e la malinconia davanti a questa crisi. Non ci resta che ridere su noi stessi, prenderci in giro. La voglia di ribellarci non la vedo in giro”» (Liuzzi 2013).
Titoli di coda «In quanto all’accusa che i toscani non portano rispetto a nessuno, nemmeno a Cristo, scusandosi col dir “io non lo conosco”, sarebbe vera se fosse vera. Il fatto è che non solo lo conoscono, ma lo conoscono bene. Bisogna convenire, a esser giusti, che dell’eccessiva familiarità con cui lo trattano un po’ di colpa ce l’ha anche Cristo. Se non voleva che gli mancassero di rispetto, doveva fare a meno di trattar la gente a quel modo. Perché quello che, in fondo, gli rimproverano i toscani, (e sono i soli, tra tutti i popoli, che abbiano la lealtà di dirglielo in faccia), è di non aver avuto pazienza, e di essere volato in cielo alla prima occasione, lasciando il genere umano nei pasticci» (Malaparte).