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 2020  febbraio 03 Lunedì calendario

Biografia di Boris Vasil’evič Spasskij


Boris Vasil’evič Spasskij, nato a San Pietroburgo quando ancora si chiamava Leningrado il 30 gennaio 1937 (83 anni). Giocatore di scacchi. Fu campione del mondo dal 1969 al 1975. Protagonista della famosa sfida di Reykjavík del 1972 contro l’americano Bobby Fischer, in cui perse • «L’incontro si consumò in 21 partite, tra l’11 luglio e il 3 settembre. Fischer perse le prime due, ma poi si riprese e vinse (con punteggio 12,5 e 8,5)» (Elisa Venco, Focus Storia, numero speciale, inverno 2008) • «La sfida del secolo» • «Il supremo capolavoro della guerra fredda. Il purismo astratto, l’incipiente paranoia, l’omicidio sublimato» (Daniel Johnson, storico degli scacchi) • «Un prolungamento sulla scacchiera della guerra fredda, in cui ironicamente a rappresentare l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti c’erano due dissidenti, che in seguito finirono entrambi in esilio dai rispettivi paesi» (Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica, 2/2/2014) • «Ma io e Fischer, un gigante, una figura tragica, eravamo solo scacchisti» (a Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera, 12/3/2005) • Volto alla Gèrard Philippe, passione per il cinema e Dostoevskij, eleganza garbata, bravo a tennis, amante della conversazione e delle belle donne (si sposò tre volte) • «Era l’icona di una nuova società, anticipava il disgelo, ma dai burocrati era considerato come un “guastafeste del sistema”» (Alberto Papuzzi, La Stampa, 18/10/2006).
Titoli di testa «Mussolini disprezzava gli scacchi e i suoi gerarchi li consideravano “un gioco da femmine”» (Anania Casale, Scacchi attrazione immortale, Aliberti Editore).
Vita Figlio di Vasili Vladimirovič Spasskij, militare, e di Ekaterina Petrovna Spasskaya, insegnante elementare. Da parte di padre, imparentato con Vladimir Spassky, chierico della chiesa ortodossa e, prima della rivoluzione, deputato alla Duma per un partito monarchico, reazionario, anti-socialista, anti-liberale e antisemita, sciolto nel 1917. Sua madre invece era figlia illegittima di un ricco di Pietroburgo, ma era cresciuta come una contadina •
«Ha vissuto l’infanzia sotto l’assedio tedesco? “No. I miei genitori mi mandarono negli Urali un mese dopo l’inizio della guerra. Loro rimasero, e mio padre fu ferito. Mia madre lo salvò portandogli da bere una bottiglia di vodka all’ospedale: lui la bevve d’un fiato, e si alzò guarito”. Quindi lei non ebbe problemi durante la guerra? “Beh, durante l’evacuazione il primo treno del nostro convoglio fu bombardato, nonostante avesse l’insegna della Croce Rossa, e tutti i bambini che trasportava morirono. Idem per il terzo treno. Io ero nel secondo, che per caso fu risparmiato: mi sono salvato per pura fortuna”. È negli Urali che ha imparato a giocare a scacchi? “Sì. Avevo cinque anni, e ho cominciato guardando. Un giorno, da solo, ho tolto due pedoni, e con la torre nera ho mangiato tutti i pezzi dell’avversario. È stato fantastico: non c’era nessuno che potesse fermare la mia meravigliosa manovra”» (Piergiorgio Odifreddi, dal suo sito, 5/2004) • «A sette anni i genitori divorziarono e restò con la madre, di origine contadina, che nella lotta per sopravvivere si spaccava la schiena a raccogliere patate. Come scacchista, lui fu un prodotto del movimento che, a partire dalla rivoluzione, considerava gli scacchi uno sport sociale da insegnare nelle scuole e propagandare nel paese» (Papuzzi) • «Una disciplina in cui la Russia deteneva la supremazia fin dal 1948, quando Michail Botvinnik conquistò il titolo di campione del mondo. Già Marx, Trozkij e Lenin avevano amato quel gioco che eliminava le distinzioni di classi e richiedeva ragionamenti logici. Perciò, negli Anni ’20, con il motto “Diamo gli scacchi ai lavoratori” nell’Urss furono formati migliaia di campioni. Fino agli Anni ’60 i migliori ebbero un ricco mensile e il permesso di uscire dal Paese per disputare i tornei» (Venco) • Finita la guerra, frequenta il circolo di Botvinnik, il campione che di sé dice «Ebreo per nascita, russo per cultura, sovietico per formazione», e che dopo ogni vittoria manda un telegramma a Stalin per ringraziarlo. Nel 1947, durante una simultanea, Spasskj è l’unico a batterlo • Studia per parecchie ore al giorno. A undici anni è candidato maestro. A quindici maestro sovietico. A sedici fa il suo debutto internazionale, in un torneo a Bucarest • «“A diciott’anni ho dato gli esami per l’ammissione alla Facoltà di Matematica e Meccanica di Leningrado, ma mi hanno bocciato nella prova di letteratura: ero riuscito a fare due errori in un’unica parola, scrivendo ‘pona rama’ invece di ‘panorama’! Poiché ero già un Grande Maestro negli scacchi, e forse uno dei cinque o sei migliori giocatori al mondo, mi hanno ripescato, ma dopo un paio di mesi di scuola mi sono accorto di non avere nessun talento matematico. Così sono andato dal famoso topologo Alexandrov, e il mio allenatore l’ha convinto che era meglio per me se passavo a Lettere. Lui mi guardò, sorrise, e firmò la liberatoria”. Quindi la matematica non le piaceva? “Mi piaceva, eccome, ma ero io che non piacevo alla matematica!” Strano: non è simile agli scacchi? “No, a parte il fatto che in entrambi i casi si usa la logica. Una differenza è, ad esempio, che il talento scacchistico non si eredita, mentre quello matematico sì. Un’altra è che io so cos’è la matematica, ma non so cosa sono gli scacchi!” Una volta lei ha detto che gli scacchi sono come la vita… “È vero, ma che cos’è la vita? Io posso solo dire che le leggi degli scacchi sono le stesse della vita: se si ha un vantaggio, bisogna sfruttarlo; se si è sotto attacco, bisogna difendersi; e così via”» (Odifreddi 2004) • Boris diventa un giocatore professionista. Nel 1955 ottiene il titolo di Gran maestro • «Durante il Campionato Sovietico di Leningrado del 1960 lei ha giocato con Bronstein quella che è considerata la più bella partita di sempre: è finita addirittura nel film di James Bond Dalla Russia con amore. “È vero, fu una partita molto artistica, anche se non credo che sia stata la mia migliore. Ma nel film tolsero due pedine dalla scacchiera, per non doverci pagare nessun diritto”. Poi vennero i due match mondiali con Petrosian, nel 1965 e 1969. Come li descriverebbe? “Petrosian si chiamava Tigran di nome, che significa ‘tigre’. E nel primo match mi sentivo proprio come un gattino che gioca con una tigre: io cercavo di graffiarlo con le mie zampine, e lui mi rigettava infastidito. Ma nel secondo match ero diventato un orso bruno: la tigre cercava di azzannarmi sul collo, ma io avevo una pelliccia folta, e l’ho stritolato tra le mie zampe» (Odifreddi 2004) • Boris è campione del mondo • Nel 1972, il segretario di Stato americano Henry Kissinger telefona al connazionale Bobby Fischer, 29 anni: «Pronto? Qui è il peggior giocatore di scacchi del mondo che vuole parlare con il migliore» • Fischer è figlio di un’ebrea polacca e di un biofisico tedesco. Non ha mai conosciuto il padre, è nato a Chicago e cresciuto a Brooklyn • «Qui Bobby conobbe gli scacchi e per 29 anni ebbe un solo costante obiettivo: diventare il campione del mondo. Non vinceva sempre, ma sempre impressionava. […] Spasskij era un uomo mite, educato, allevato agli scacchi ma non ossessionato: ascoltava musica classica e suonava, correva, leggeva. Viveva» • I due si sono già sfidati cinque volte, il russo non ha mai perso. Stavolta però è diverso • Spasskij: «Ormai Fischer era diventato più forte di me: lo sapevo, anche se non volevo saperlo» • Fischer: «Gli scacchi sono la guerra sul tavolo da gioco, lo scopo è distruggere la forza mentale dell’avversario» • «Accadde nell’estate del 1972 a Reykjavik, luogo topico di tutte le metafore neutraliste dell’epoca, a metà strada tra Mosca e Washington» (Paolo Valentino, Corriere della Sera, 11/7/2012) • «Spasskij doveva mostrare la superiorità del sistema sovietico, a Fischer si chiedeva di ricreare l’idea di una battaglia del mondo libero» (Papuzzi) • «Arrivato a Reykjavik, Fischer chiese di avere in albergo un ristorante aperto 24 ore su 24, una persona che giocasse a tennis con lui quando ne aveva voglia e che gli fossero date le chiavi di una pista da bowling per poterci andare in ogni momento. Poi volle cambiare stanza perché quella disposta era troppo grande e chiassosa (dopo due partite accettò di tornare nell’altra, anche perché stava perdendo), e volle l’aria condizionata a 24 gradi (Spassky chiese 21 gradi: si mediò a 22,5). Volle il verde invece del nero sulla scacchiera (respinto), volle sedie diverse (accolto). Bloccò le telecamere che lo deconcentravano. Di quella partita restano appena cinque foto» (Marco Bucciantini, l’Unità, 30/3/2014) • Spasskij: «Si era messo a fare il diavolo a quattro per la sedia, le luci, i giornalisti, eccetera. Avrei potuto chiedergli di giocare secondo le regole o di andarsene, ma accettai perché volevo salvare il match, e non vincere a tavolino» • «È una guerra psicologica, Fischer ha accusato i sovietici, a ragione, di accordarsi nelle partite fra loro per eliminare concorrenti stranieri e giocarsi il titolo in casa. Fischer vuole abbattere questo muro. Ma è nervoso, fa un errore nella prima partita e perde. Poi, visto che le sue richieste non sono soddisfatte, non si presenta per la seconda. Spasskij va sul 2-0, la sfida sembra decisa. Si dice che Fischer stia per ritirarsi […] è un cavaliere solitario, e da solo va all’ assalto della fortezza sovietica. Si presenta, vince la terza partita, risorge dalle sue ceneri e dà il via a una rimonta entusiasmante. La gente si appassiona, persino sulle spiagge compaiono mini-scacchiere su cui si riproducono le mosse della grande sfida. […] Fischer diventa l’eroe che rivoluziona il mondo degli scacchi. Chi gioca con i bianchi, e quindi ha la prima mossa, di solito attacca, chi ha i neri si difende. Lui no. Lui attacca anche con i neri e sconvolge le regole» (Gennaro Bozza, la Repubblica, 11/7/2012) • «Fischer era veramente un giocatore diverso da tutti gli altri? “Era come un computer creativo: una specie di macchina umana, o di uomo meccanico. Il suo era un gioco progressivo, e non gli piaceva pattare: anche in una situazione di parità preferiva continuare e rischiare, a costo di scoprirsi e diventare vulnerabile, pur di provare a vincere» (a Odifreddi 2004) • «La tredicesima partita avvantaggiò Fischer in modo risolutorio. L’americano vinse» (Bucciantini) • «Uno Sputnik alla rovescia» (il New York Times) • «Spasskij venne visto come un traditore. Non solo era sotto il controllo delle autorità sovietiche e in particolare del Kgb, il servizio di spionaggio, ma mano mano che l’incontro si avvicinava alla sua fase culminante e si rendevano evidenti le debolezze del campione sovietico, da Mosca a Reykjavik si rincorrevano le voci di una sua diserzione. Nei corridoi della diplomazia si sentiva ripetere “Spasskij vuole passare all’Occidente. Spasskij vuole passare all’Occidente”» (Papuzzi) • Per prima cosa gli abbassano lo stipendio • «Presto fui rimpiazzato da Karpov, che per me è stato l’avversario più pericoloso: con lui ho vinto tre sole volte, e perso diciassette. Un’enorme differenza, in parte psicologica: tra noi c’era come una guerra civile, perché io ero un russo bianco, e lui un sovietico rosso. E si sa che i rossi hanno vinto contro i bianchi…» (a Odifreddi 2014) • Nel 1976 Boris si trasferisce in Francia, prende la cittadinanza francese due anni dopo.
Kaissa Fischer s’inventò un modo di giocare tutto suo, in cui le posizioni iniziali sono casuali. A lui non piace. «“Il gioco così com’è ha un equilibrio geniale, un’armonia suprema, che sarebbe stupido rovinare. E poi, perché mai uno che ha ricevuto il suo talento da Kaissa, la dea degli scacchi, dovrebbe sprecarlo in altre cose?” Dea degli scacchi? “Certo! È la protettrice dell’arte scacchistica, come gioco e come sport, e io me la immagino come una bellissima donna, molto generosa. Comunque, il motivo per cui Bobby non vuole più giocare nel modo solito, è che non si è tenuto aggiornato sull’enorme lavoro che è stato fatto negli ultimi decenni sulle aperture: ormai le prime venticinque mosse sono quasi obbligate. Quello di Fischer è un modo comodo per evitare di studiare…” Dunque lei è assolutamente contrario agli scacchi casuali. “Non ‘assolutamente’: giocherò anch’io qualche partita, per denaro. Ma tradirò Kaissa solo una volta: poi andrò in chiesa, mi confesserò e le chiederò perdono per il mio peccato, commesso per necessità. E non so se sarò assolto, perché la dea non è molto misericordiosa» (a Odifreddi 2014).
Rivincita Dopo la storica partita di Reykjavík, Fischer dà fuori di matto. Viene accusato di antisemitismo – pur essendo ebreo lui stesso – misoginia, evasione fiscale, antiamericanismo • «Fischer era noto anche per le sue idee antisemite, per una spiccata tendenza alla solitudine e per alcune altre manie che, unite alla sua indole geniale, hanno portato diversi psicologi a sospettare che soffrisse della sindrome di Asperger» (Graziano Graziani, il Tascabile, 17/1/2018) • Nel 1992, dopo quasi vent’anni che non partecipava a tornei di scacchi, accetta di concedere la rivincita a Spasskij. Viene pagato 3 milioni 800 mila dollari • La partita si gioca in Jugoslavia durante la guerra civile. C’è l’embargo dell’Onu. Il governo americano gli scrive intimandogli di non andarci, pena l’arresto. Lui, per tutta risposta, durante una conferenza stampa prende la lettera, ci sputa sopra, la ripiega e se la infila in tasca • «Come fu il match di Belgrado? “Molto strano: giocavamo a due chilometri dai cannoni serbi, che si stavano preparando per rintuzzare l’attacco della Sesta Flotta americana, che poi ha ridotto la Serbia a una colonia”. Ma non ci fu nessun embargo per lei. “ No. Io sono cittadino francese, e Mitterrand mi permise di giocare: d’altronde, gli industriali francesi avevano sempre tranquillamente continuato a fare affari con la Serbia» (a Odifreddi 2004) • Spasskij perde di nuovo • Gli americani condannano Fischer a dieci anni di carcere, gli sequestrano tutti i beni. Spasskij, allora, dalla Francia, scrive direttamente a Bush padre: «La legge è legge, non lo metto in dubbio, ma quello di Fischer non è un caso comune. Bobby ha una personalità tormentata: è onesto e altruista, ma assolutamente asociale. Non si adegua al modo di vita di tutti, ha un elevatissimo senso della giustizia e non è disposto a compromessi né con sé stesso né con il prossimo. È una persona che agisce quasi sempre a proprio svantaggio. Lui è fatto così. Vorrei chiederle soltanto una cosa: la grazia, la clemenza. Ma se per caso non fosse possibile, vorrei chiederle questo: la prego, corregga l’errore che ha commesso François Mitterrand nel 1992. Bobby ed io ci siamo macchiati dello stesso crimine. Applichi quindi le sanzioni anche contro di me: mi arresti, mi metta in cella con Bobby Fischer e ci faccia avere una scacchiera» • «“Bobby però ha detto che sono troppo vecchio, e che lui non è interessato a dividere la cella con me: solo con la campionessa-modella Alexandra Kosteniuk”.  Lei ha continuato a vedere Fischer? “Certo”. E a giocarci? “Non le posso rispondere: sa com’è Bobby, non vuole che si parli di queste cose”. Siete molto amici? “Io gli sono amico. Lui non ha amici, e a me accorda il massimo che può: la qualifica di frenemy, ‘namico’”» (a Oddifreddi 2004).
Epilogo Fischer fu latitante dal 1992 al 2004, quando lo arrestarono all’aeroporto di Tokio. Rilasciato dopo qualche mese, andò a vivere in Irlanda e lì morì nel 2008.
Vita privata Al giornalista che gli chiedeva se preferisse la donna a letto o sulla scacchiera, Spasskij rispose: «Dipende dalla posizione» • Tre matrimoni. Con Nadezda Konstantinovna Latyntceva (1959-1971), con Larisa Zakharovna Solovyova, poi con Marina Yurievna Shcherbachova (dal 1975). Da ciascuna di loro ha avuto un figlio: Tatiana (n. 1960), dalla prima moglie; Vasili (n. 1967), dalla seconda; Boris Junior (n. 1980), dalla terza • Dice che ora non gli va più di giocare, si accontenta di studiare e insegnare la teoria degli scacchi • Ha avuto due infarti • «Dopo aver avuto un colpo alla fine del 2010, che l’ha lasciato semiparalizzato, un giorno è sparito da Parigi, e poco dopo è riapparso a Mosca, scortato da gente che dice di averlo “liberato” dall’oppressione della moglie» (Odifreddi 2014).
Curiosità È il più anziano campione del mondo di scacchi vivente • «Uno scacchista è come uno strumento musicale? “Certo, e molto sensibile: basta un niente a scordarlo”» (Odifreddi 2004) • Dice di essere monarchico e nazionalista • «Se solo avessi saputo cosa sarebbe successo al Paese, sarei entrato nel partito comunista» (a Kaliningrad, nel 2005) • «Quel che mi rende felice della Russia di oggi è che stanno rinascendo le chiese» • In Dalla Russia con amore (1963) la scena ispirata alla sua sfida con Bronstein è verso l’inizio. Lì i giocatori si chiamano Kronsteen e McAdams • Giocò contro John Nash, che perse • Gli piacciono i computer che giocano a scacchi, purché i computer giochino con i computer e gli uomini con gli uomini. Dice che sono due cose diverse e non vanno mischiate • Non ha mai incontrato Nabokov («ho sognato di incontrarlo, poco prima che morisse…») però ha incontrato Solženicyn: «“Fu un incontro surreale, in un negozio russo in Rue St. Genevieve a Parigi. Io gli portai un album di francobolli del match in Belgrado, ma lui mi disse che non accettava regali. Gli risposi che questo era offerto amichevolmente: poteva passarlo ai nipotini se voleva, senza obblighi. E firmai la dedica ‘da un vitello riconoscente’, perché ero grato per come il suo libro La quercia e il vitello [il titolo allude a un proverbio russo: “Se un vitello prende a testate una quercia, probabilmente si rompe la testa, ma c’`e sempre la possibilità che abbatta la quercia”, ndr] mi aveva insegnato a combattere il sistema sovietico”. Cioè? “Se non si ha paura di rompersi la testa quando si combatte, allora non si può perdere: si può finire con la testa rotta, ma non vinti”» (Odifreddi)
Titoli di coda Ennio Morricone, grande appassionato di scacchi, una volta lo incontrò a Torino. Fecero due partite, una finì patta: «A cena, quella sera, gli chiesi se aveva giocato come fosse in un torneo vero: “Come se avessi davanti Fischer?”, mi chiese ridendo. Capii che non si era molto impegnato» (a Antonio Gnoli, la Repubblica, 12/8/2018).