31 gennaio 2020
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Biografia di Mario Bellini
Mario Bellini, nato a Milano il 1° febbraio 1935 (85 anni). Architetto. Progettista. Storico protagonista del Made in Italy nel mondo • Nel 1965 ha disegnato l’Olivetti Programma 101, il primo personal computer. Nel 1972 ha progettato Kar-a-sutra, concetto precursore delle monovolume moderne. Nel 1987 la Olivetti ETP 55, una macchina da scrivere elettronica • «Fra i massimi maestri del design, ha vinto otto Compassi d’oro, un record. Il MoMa di New York ospita 25 sue opere nella collezione permanente e già nel 1987 gli aveva dedicato una retrospettiva» (Candida Morvillo, Corriere della Sera, 8/7/2018) • Come architetto, ha progettato, tra le altre cose, la Fiera-Portello di Milano, l’edificio per il dipartimento di arti islamiche del museo del Louvre di Parigi, il Tokio Design Centre, in Giappone, la sede centrale del gruppo Natuzzi negli Stati Uniti, la National Gallery of Victoria di Melbourne, la scuola elementare di Giurano, il centro internazionale congressi di Villa Erba a Cernobbio, il parco scientifico tecnologico di Genova. Ha curato il restauro dei due grattacieli della Deutsche Bank a Francoforte • «Nella seconda parte della sua carriera è un progettista di “contenitori”, nella prima, più mainstream, ha disegnato alcuni oggetti molto identitari per tinelli e salotti e scrivanie globali e locali» (Michele Masneri, Il Foglio, 8/3/2019) • Premio speciale alla carriera al salone del mobile di Milano del 2019 • Già professore all’Istituto superiore di disegno industriale di Venezia (1962-1965), alla Hochschule für angewandte Kunst di Vienna (1962-1983) e all’Accademia Domus di Milano (1986-1991) • Già direttore della rivista Domus (dal 1986 al 1991) • «Dal design all’architettura, agli spazi espositivi, Bellini ha incrementato la già nutrita scuola milanese: quella della sintesi tra forma e tecnologia, potenziata dall’originalità sofisticata del vero modernismo. Egli passa dalle sensuali poltrone intitolate Le bambole (1972), alla calcolatrice con forma “a ciotolo” (la Divisumma della Olivetti), all’allestimento di pregevoli mostre d’arte (Grand Palais di Parigi, Royal Academy of Arts di Londra) a grattacieli in Giappone. Una personalità sfaccettata (per temperamento potrebbe ricordare Gio Ponti, suo professore all’Università di Milano) che ha lasciato un segno sia nel design di auto (Renault, Fiat, Lancia), sia negli arredi da ufficio, lampade, televisori e hi-fi» (Riccardo Barletta) • «Per me il modello di ambiente di lavoro è quello che si vede nel San Gerolamo nello Studio di Antonello da Messina. L’uomo al centro, il pavimento rialzato per far passare i cavi, la scrivania ad angolo con gli scaffali che isolano dal resto del mondo, il leggio inclinato dove mettere il touch screen» (a Bruno Ruffilli, La Stampa, 4/4/2017).
Titoli di testa «“Fare una buona sedia è più difficile che fare un grattacielo”. E perché mai? “La sedia esiste dai tempi di Tutankhamon, è un paramento del corpo umano: se consenti a una sedia di essere brutta, è sgraziato e brutto anche chi ci si siede”» (Morvillo).
Vita «Da piccolo giravo sempre con una matita in mano e non smettevo mai di disegnare: bottiglie d’inchiostro, soprattutto, e imbuti cui davo braccia e gambe come piccoli esseri umani. A volte penso che questo sia alla base della curiosità e dello stupore che ci riserva il mondo quando impariamo a osservarlo con gli occhi mai sazi di un bambino» (a Fulvio Irace, Il Domenicale, Il Sole 24 Ore, 1/2/2015) • «Da bambini eravamo sfollati in una villa del Varesotto, con mio fratello e 10 cugini ci divertivamo a giocare, andavamo a rubare i mattoni nella fornace lì vicina, a 9 anni ho costruito una casetta completa con la porta e gli interni» (a Fiorella Minervino, La Stampa, 2/2015) • «La libertà di crescere nel verde, inventarsi i giochi, mi ha regalato l’immaginazione necessaria al mio lavoro» (alla Morvillo) • Laurea in architettura al Politecnico • «Lei è nato assieme al design. “Pensi che, all’università, avevo per professore Gio Ponti, che era visto con sufficienza dagli architetti della vecchia guardia perché disegnava anche mobili e oggetti”. Invece lei iniziò proprio con gli oggetti. “Era il 1960, volevo sposarmi e avevo bisogno di lavorare. La Rinascente aveva messo su uno strano ‘ufficio di ricerche merceologiche e progettuali’ affacciato sul Duomo. Cercavano architetti per ‘disegnare cose’. Lampade, mobili, tutto. Eravamo tre amici e ci offrimmo: ‘prendi tre e paghi uno’”. Primo oggetto di design? “Una lampada”» (Morvillo) • A Milano lavorano maestri come Ignazio Gardella, Luigi Caccia Dominioni, Franco Albini, i fratelli Castiglioni, Vico Magistretti: «A due passi dai nostri studi c’era il distretto dei mobili, in centro si stampavano riviste come Casabella e Domus, dopo il disastro bellico gli imprenditori costruivano con un’eredità leggera. Così sono nati marchi come B&B, Flou, Molteni, Kartell. Il rapporto tra imprenditore e designer era quasi familiare, c’era un rispetto assoluto e reciproco. Purtroppo oggi non sempre è così» (ad Annachiara Sacchi, Corriere della Sera, 22/3/2011) • «Ci ricorda il suo primo Salone? “Mi sono laureato a dicembre del 1959 e il 24 settembre del 1961 fu promossa la prima edizione. Io c’ero e ricordo uno spazio non grande (11mila metri quadri) nella fiera campionaria. Allora il design si pronunciava alla brianzola, si parlava piuttosto di mobile e arredo […] Nel 1962 vinsi il mio primo compasso d’oro con un tavolo disegnato per Sandro Pedretti e Fratelli. Un tavolo minimalista ante litteram che mi spalancò le porte del successo”. Racconti. “Lo disegnai su una piccola scatola di fiammiferi mentre camminavo in visita a una fabbrica di mobili in Brianza. Ho sempre pensato che un tavolo è una piccola architettura e quel pensiero ha guidato la mia mano. Il tavolo infatti sembra una sorta di gigantesco gazebo. Lo chiamai Cartesio» (Pamela dell’Orto, Il Giornale, 15/4/2016) • «Trovai qualcuno con un camioncino e andammo a Meda da Cesare Cassina. Arrivati nel cortile scaricammo il tavolo. C’era anche Dino Gavina, che per primo aveva cominciato a rieditare i classici del moderno. Cesare disse in dialetto brianzolo: “Da domani può lavorare per noi”. E cominciai”» (Ruffilli) • «Com’erano quei mobilifici degli Anni 60? “Il centro ricerca di Cassina era come una sala parto: coi falegnami, i tappezzieri, quelli che saldavano il ferro. Lo dirigeva Francesco Binfaré. Noi designer andavamo a turno per non spiare gli altri. Un giorno, dico a Francesco: facciamo una sedia. La facemmo coi tondini di ferro e il ragazzo che li saldava davanti a noi. Vidi lo scheletro e pensai di rivestirlo di cuoio. Nacque la Cab”» (Morvillo) • «Le Cab di Cassina, che ribaltano l’idea della poltroncina in pelle da casa dei ricchi, trasformandola invece in un telaio di ferro ricoperto da un guanto minimalista (700 mila esemplari, tuttora in produzione); e poi il divano “Le bambole” per B&B Italia, grande best-seller, che nasceva nei primi anni Settanta come un cuscinone morbido senza struttura portante, attacco al cuore del salotto “buono” italiano magari con sopra il suo centrino dell’epoca (era l’epoca in cui l’attacco alla borghesia era condotto soprattutto dai mobilieri, vedi la Sacco di Zanotta poi passata in Fantozzi). Piero Busnelli, fondatore di B&B, esempio di quella aristocrazia brianzola dell’imbottito che fece grande Milano e sconfisse il noce nazionale, ebbe l’intuizione di assumere Oliviero Toscani (nuovissimo anche lui, al tempo, dieci anni prima di Benetton) per farne la pubblicità. Toscani ci mise sopra la modella Donna Jordan, musa di Andy Warhol, in pose un po’ discinte, e funzionò» (Masneri) • «In un attimo arrivarono le proposte da Olivetti, Brionvega, C&B, ero corteggiato da aziende straniere, tedesche, giapponesi…”» (Dell’Orto) • «Con Olivetti ha lavorato a lungo. Cosa ricorda di quel periodo? “La nostra collaborazione è durata dal 1963 al 1991. Ho sviluppato tutta la nuova generazione di macchine per ufficio nata dalla miniaturizzazione dell’elettronica. Dalla P101 in poi, ho inventato cose di cui sono molto fiero, che non esistevano prima”» (Ruffilli) • «Vidi per la prima volta “quella cosa” una domenica mattina a casa di Roberto Olivetti in piazza Castello, a Milano; con lui c’era l’ingegner Perotto […] mi mostrarono un macchinone con un muso e una specie di colonnina. Dissero che volevano un oggetto da tavolo più snello e più friendly. Amichevole» (Chiara Beria Di Argentine, La Stampa 1/3/2014) • «Era l’Italia capace di indicare la strada al mondo, anche su un’industria di frontiera. La P101, progettata dall’ingegner Pier Giorgio Perotto da cui il soprannome “perottina”, fu venduta in 44 mila esemplari. Prezzo: 3.200 dollari, circa 50 mila dollari odierni. Ebbe un enorme successo» (Massimo Sideri, Corriere della Sera, 5/3/2017) • «Era un computer che non ti guardava come una minaccia ma come un compagno» (a Sideri)
• «“La presentammo a New York nel ‘65 ed era incredibile se si pensa che, a fine anni 50, i primi computer occupavano stanze. Con Olivetti, collaborava già Ettore Sottsass: furono create due unità, lui coordinava i grandi computer, io i prodotti di consumo. Gestivo 50 persone in un ufficio bellissimo nella natura, chiamato, non so perché, pollaio”. Andava d’accordo con Sottsass? “Ci siamo cordialmente ignorati. Lui era lì da prima, gli piacevano i giovani, a patto che facessero parte del suo ballo e io non sognavo di fare il suo aiuto. Ero indemoniato di lavoro, nel frattempo, disegnavo anche mobili, elettrodomestici, di tutto”» (Morvillo) • Nel 1972 il MoMa di New York organizza una mostra sul design italiano. «“Chiesi al museo una lettera di presentazione che spiegava che, su loro incarico, studiavo la cultura americana […] Partii con Binfaré e il fotografo Davide Mosconi: eravamo tre pazzi scatenati, pieni di macchine fotografiche, cineprese. Suonavamo ai campanelli, entravamo nelle case. Senza quella lettera, saremmo stati arrestati”. E che cosa avete visto? “Siamo entrati nelle ville di Beverly Hills occupate dai figli dei fiori, nella stanza da letto di Hugh Hefner in sua assenza, nella chiesa di uno che si diceva Satana, nello studio di Andy Warhol che, altro che factory, sembrava un loft altoborghese. Abbiamo intervistato un ‘apostolo’ mormone sulla poligamia”» (Morvillo) • Lui al MoMa presenta Kar-a-sutra, un modello di automobile innovativo: «Era una monovolume prima delle monovolume, pensata per essere più vivibile, per mettere le persone in relazione fra loro, per consentire anche a quelli dietro di vedere bene fuori; non era un’auto-casa come certe ipotesi che vedo oggi, che immaginano l’auto con il bagnetto e il cucinino. Era un’auto che smontava il noioso assetto di uno che guida, un altro che accanto a lui guarda davanti e tutti si annoiano» (a Aurelio Magistà, la Repubblica, 10/4/2019) • «Nel 1973 disegna la Divisumma, prima calcolatrice completamente in gomma e in colori fluo, oggi feticcio per appassionati, uno dei primi “device” non deprimenti bensì allegri e animati, che ispirarono come è noto Steve Jobs. Il fondatore della Apple assistette nel 1981 a una lezione che Bellini tenne all’International Design Conference ad Aspen, in Colorado. Lo citerà in seguito nella sua autobiografia, ma non riuscirà mai a convincerlo a collaborare (due volte verrà a incontrarlo a Milano nel suo studio)» (Masneri) • «Perché disse no a Steve Jobs? “Venne a trovarmi due volte, dopo avermi conosciuto ad Aspen […]. Sarei finito a disegnare tavolette. L’iPhone e l’iPad sono niente, sono superfici su cui compare un’immagine: non c’è nulla da disegnare”. Sarebbe diventato molto più ricco. “Lo sarei diventato anche se avessi chiesto le royalties sul Pop 45, il mangiadischi colorato. Ne hanno venduti milioni. Era il ’68 e portò la musica fuori casa. Ma, almeno, reinventare quello è stato divertente”» (Morvillo) • «Perché per anni non ha disegnato edifici? “Non mi piaceva interagire con le gabbie dell’urbanistica né con la politica. Poi, negli Anni 80, realizzai i due condomini industriali di via Kulishoff a Milano e farli mi piacque» (ibidem) • «Nell’87 […] il [MoMa, ndr] gli dedica una grande esposizione e per lui si chiude quasi un capitolo: si mette a fare edifici. Tra gli ultimi progetti, nel 2011 a Francoforte la sede centrale di Deutsche Bank, a Parigi nel 2012 il Dipartimento delle arti islamiche al Louvre, secondo innesto contemporaneo nel grande museo dopo la famosa piramide di Ieoh Ming Pei. L’anno scorso [2018, ndr], anche, il nuovo T3, il terminal dei voli internazionali a Fiumicino, che rilancia il progetto del 1960 di Morandi e Luccichenti, e contribuisce a quel poco di orgoglio romano per una delle poche cose belle e funzionanti che vi siano nella capitale» (Masneri) • «Qual è il segreto del successo del design? “Prima di tutto è il successo della parola, che non appartiene al nostro vocabolario e che noi italiani usiamo con leggerezza, senza preoccuparci di usi impropri, fino a renderla una parola magica, che oggi funziona anche per vendere una casa o un quartiere, un vestito o un’auto; si presta a ogni cosa e finisce per non significare più niente. Se provassimo a sostituirla con ‘disegno’, la più ovvia delle traduzioni possibili, farebbe uno strano effetto: museo del disegno, settimana del disegno… […] ho sfogliato molti giornali che raccontano il Salone del Mobile e le molte pubblicità di cose che con l’arredamento non c’entrano niente mi hanno fatto pensare a un rapporto tra il parassitario e il simbiotico. Si usa il design come un grande seduttore commerciale” Anche lei si unisce al coro “il design è morto” e se la cava con il comodo prefisso "post"? “Che sia morto non lo dico io ma molti altri. Uso l’espressione post-design perché penso che oggi siamo ben oltre l’espressione form follows function, la forma che deriva dalla funzione, comandamento del Movimento Moderno, quando negli Venti e Trenta il design prendeva forma e il Bauhaus diceva basta alla licenziosa dittatura degli stili”. E dove siamo? “Abbiamo capito che la funzione può seguire la forma, perché certe forme ci danno emozioni e anche l’emozione è una funzione: l’uomo ne ha bisogno per vivere ed essere felice”» (Magistà) • «È una menzogna dire che l’unione tra stile e funzionalità sia figlia del XX secolo. Io l’ho trovata in un artigiano dell’antico Egitto. Costruì una sedia per il figlio del Faraone Amenophis II, ritrovata nel tesoro di Tutankhamon. Cercavo un antenato, ho scoperto un maestro. Tolti alcuni elementi decorativi, quell’oggetto è un capolavoro di essenzialità e di design, ha un rapporto miracoloso tra linguaggio estetico ed economia della funzionalità: il sedile con la curvatura nelle due direzioni, lo schienale avvolgente e inclinato con due asticelle che allo stesso tempo danno alla membratura leggerezza e rigidità, le barrette tra le gambe che garantiscono un assetto stabile. Se si era giunti a quel risultato già allora, chissà nelle centinaia di anni precedenti quanti esperimenti erano stati fatti. E noi oggi che cosa disegniamo se non la stessa sedia?» (ad Alessandro Cannavò).
Vita privata Sposato con Elena Marco, giornalista del Corriere. Vivono assieme in una casa di via Borgonuovo a Milano, a Brera, vicino al suo studio.
Curiosità «Il suo studio si occupa anche di architettura degli interni e di progettazione nel campo dell’edilizia pubblica popolare» (Treccani) • Ha scritto Il design spiegato ai bambini (Bompiani, 2018) • «Nuoto a lungo ogni mattina» (a Magistà) • «Tanta frutta, verdura e proteine sane in un rapporto equilibrato. Senza dimenticare il piacere della buona cucina e dei sapori autentici» (alla Consenti) • Gli piace viaggiare: «Sono stato ovunque. Difficile trovare un posto, mettendo il dito sulla carta del mondo, dove io non sia stato per curiosità, piacere della scoperta. Sa che sono stato velista? Avevo una bella barca danese con la quale ho fatto diverse regate vincendone molte» • Gli piace anche la fotografia: «Pensi che amavo fare scatti sui treni veloci giapponesi; mettevo la macchina sul finestrino e mentre andavo tenevo il dito sul tasto della mia Hologon e... via con le foto» (Consenti) • Ama vestire di nero • Tra i suoi ultimi progetti ci sono una rielaborazione del suo storico tavolo La basilica di Cassina fatta per contenere il nuovo televisore arrotolabile R65R9 della LG e perfino una città in Cina: «Sarà una vera eco-city. Un arcipelago di 5 piccole città, ciascuna di 250 mila persone, che galleggeranno nel verde con tramvie elettriche e piste ciclabili» • «Una volta ha detto che il design è lo stile dei nostri anni. “Sì, è lo stile del nostro tempo. In passato ci sono stati barocco, roccocò, biedermeier, neoclassico ecc. Oggi è design, anzi forse è già finito”» (Dell’Orto) • Il famoso slogan della Apple «Think different» ricorda quello della P101 «Think fast»
• «Una carriera segnata da successo e fortuna la sua, architetto, è andata come sognava? “Sono contentissimo della mia vita, è stata generosa, ha richiesto un impegno infinito, ma è una fatica appassionante. Rifarei lo stesso mestiere, o forse il poeta, mi piace progettare anche il linguaggio, taglio, sposto, ricucio…”» (Minervino).
Titoli di coda Nel 2017 la Triennale di Milano gli ha dedicato una retrospettiva. Quando, nel 2018, fu ripetuta a Mosca lui la preferiva chiamare prospettiva: «Non si sa se in onore alla Russia o a una sana scaramanzia» (Masneri)