24 gennaio 2020
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Biografia di Bill Viola
Bill Viola, nato a New York il 25 gennaio 1951 (69 anni). Artista. Esponente della video-arte. Famoso cioè perché le sue opere sono riproduzioni di immagini in movimento • «È stato definito “l’uomo che dipinge con la videocamera”» (Paolo Vagheggi, la Repubblica, 21/5/2001) • Tanti videoartisti usano immagini rubate, inesatte, sporche. Le sue invece richiedono tempi di preparazione molto lunghi, ricchi budget, riprese e fasi di post-produzione molto accurate • «Lascia stupiti con i video ispirati agli artisti rinascimentali, affascina con la tecnica che plastifica Pontormo, Mantegna, Bosch o Dürer, ma poi lascia sconcertati, quasi irritati per l’esasperante lentezza con cui si muovono i suoi tableaux […] Più che al museo, ci si sente in un “cinema d’essai” […] In uno dei video più famosi, cinque attori recitano “i colori primari” dei sentimenti, cioè rabbia, paura, estasi e dolore. Pare un’istantanea, invece è un film lentissimo: chi ha la pazienza d’aspettare mutamenti impercettibili, alla fine resta affascinato e si chiede a che cosa assistano di così sconvolgente quei volti […] In Emergence, ispirata a una Pietà di Masolino da Panicale, un uomo nudo, bianco come una statua, esce da un sarcofago pieno d’acqua ed è accolto da due Marie che lo coprono d’un telo. L’effetto è dubbio: un critico, Richard Dorment, sghignazza come davanti a “un Salvatore alle terme, aiutato da due assistenti”. Se non piace, Viola fa infuriare» (Alessio Altichieri, Corriere della Sera, 23/12/2003) • «Il cavallo di battaglia di questo popolarissimo artista è […] l’aver saputo mescolare i soggetti dell’arte classica con la tecnologia più avanzata – non sempre con i migliori risultati, va detto. Una cosa, comunque, è certa: Viola è popolare perché, oltre ad affascinare gli archeologi e gli storici dell’arte antica, piace anche a quelli che sono confusi dall’arte contemporanea, ma che si vergognano a dirlo. A loro offre immagini comprensibili (persino troppo comprensibili), condite con quella tecnologia che dà allo spettatore la sensazione rassicurante di essere davanti a un’opera contemporanea, non a una polverosa tela che piace solo ai vecchi bacucchi con la forfora sulle giacche» (Francesco Bonami, Vanity Fair, 3/2017) • Primo artista contemporaneo a essere ospitato alla National Gallery di Londra. Ha esposto le sue opere, tra gli altri luoghi, anche al MOMA di New York, alla Biennale di Venezia, al Guggenheim di Berlino, al Palazzo delle esposizioni di Roma, al Grand Palais di Parigi e a Palazzo Strozzi a Firenze • «È imbevuto di religione cattolica, contaminata da insegnamenti Zen e mistica sufica» (Altichieri) • «È un uomo gracile, assorto, silenzioso, che emana gentilezza e timidezza solo a guardarlo. Ma si accende di entusiasmo quando gli fai la più banale delle domande: “Allora, che effetto le fa ritornare a Firenze?”. “È magnifico”» (Gregorio Botta, la Repubblica, 10/3/2017) • Ha detto: «Tra qualche decennio la video art sarà ricordata come il primo passo nel mondo elettronico. Sarà un periodo storico con il nuovo inizio e la sua fine» (in Vagheggi).
Titoli di testa «Lui è malato da tempo e conduce un’esistenza molto ritirata, così a parlare è [la moglie, Kira Perov, ndr], l’alter ego di tutta una vita: la musa, la consigliera, la direttrice dello Studio Viola, la fotografa di scena, la curatrice delle sue tante mostre e dei suoi libri (“sono quella che tiene la contabilità”, minimizza lei con un sorriso)» (Antonella Barina, il venerdì, 13/3/2019).
Vita Nato nel Queens, a New York. Il padre lavora per la Pan American Airlines • «È di origini italiane (il nonno era di Pavia, emigrò negli Stati Uniti nel 1910)» (Vagheggi) • Un ragazzo timido e introverso, cui piace disegnare. Alla scuola materna, una maestra prende un suo lavoretto fatto con le dita immerse nei colori tempera. Lo trova bellissimo, vuole mostrarlo a tutta la classe. Lui per l’imbarazzo si nasconde sotto un tavolo • «La maestra appese il dipinto alla parete per farlo vedere a tutti e Viola, mezzo serio mezzo no, anni dopo dirà che fu quella la sua prima “mostra”» (dal sito thearthistory.org) • «Avevo sei anni, ero in vacanza con la mia famiglia vicino a un lago. Andavamo in barca, io all’improvviso scivolai e caddi giù. Mi ricordo che andavo sempre più in fondo, con gli occhi aperti […] Sentivo che stavo passando da questa vita in un’altra vita. Ero tranquillo. Mio zio, che non mi vedeva più, si tuffò e mi venne a riprendere. Come fosse un angelo salvatore. Mi ricordo che quando mi fece uscire dall’acqua per respirare scoppiai in un pianto dirotto» (Ranieri Polese, La Lettura, 23/2/2014) • «Non provai paura. Solo bellezza. Non sono morto, fortunatamente. Ma la mia arte nasce da lì. Cercare di riprodurre quella purezza» (a Simona Antonucci, Il Messaggero, 22/01/2012) • Nel 1969, quando Bill è alle superiori, grazie a una donazione la scuola si procura una Sony Portapak, il primo modello di telecamera portatile • «A differenza delle vecchie e ingombranti telecamere, il sistema era alimentato a batterie, autonomo, quindi era possibile riprendere fuori dagli studi televisivi […] il sistema Portapak incoraggiò una forma audiovisiva dinamica, interattiva. Un’invenzione che modificò radicalmente il pensiero corrente dell’epoca, l’uso della tecnologia, la relazione tra i media, la musica, l’arte, creando una forte e solida identità culturale. Il suo utilizzo in tempo reale fu l’aspetto che entusiasmò una folta schiera di artisti, performer e attivisti» (Serena Antinucci, il manifesto, 2/12/2017) • «Nel tardo 1969, sono stato immediatamente catturato dal video e dai media elettronici dal primo momento in cui li vidi» (a Stefano Volpato, Art Tribune, 12/2/2012) • A Bill la luce blu che fa la telecamera quando registra ricorda quella volta che stava annegando nel lago • «Alla fine degli anni Sessanta il video rappresentava la nuova tecnologia, la cosa nuova, come è oggi internet. Era innovativo, eccitante. Agli artisti offriva la possibilità di creare delle immagini elettronicamente, immagini in movimento. Potevi prenderle e trasmetterle attraverso una televisione e presentarle, nella loro forma originale, anche fuori da un museo, fuori dal mondo dell’arte contemporanea» (a Vagheggi) • Finite le superiori, Bill vorrebbe iscriversi a una scuola d’arte. Il padre acconsente a fargli studiare arte, ma lo manda all’università: alla Syracuse University • «Mi ha salvato. Tantissimi miei amici volevano andare alla scuola d’arte, se fossi andato con loro sarei rimasto indietro di almeno cinque anni» (citato nel sito The art history) • Nel campus, Viola ha accesso a tutta l’attrezzatura elettronica d’avanguardia, che alla scuola d’arte non si sarebbero potuti permettere. Frequenta corsi di cinematografia sperimentale. Gli insegnano tutti i trucchi per usare la telecamera • Aiuta l’università a far partire la loro prima tivù via cavo, e passa un’estate a collegare cavi attraverso il campus, a far passare cavi per i tombini. Lavora come custode del laboratorio audio-visivo. Ha le chiavi e passa le notti a studiarsi la tecnologia per riprendere a colori. Nel 1972, crea Nastro 1, la sua prima opera d’arte. Si vede lui stesso riflesso in uno specchio che urla e poi distrugge il nastro mettendo un dito sulla bobina • «Erano anni di sperimentazione intensa» • Si convince che la telecamera è in grado di mostrare cose altrimenti ineffabili: «Non si tratta solo di puntarla contro qualcosa e registrare. È un mezzo di introspezione, la telecamera può fratturare il nostro io. Ti rendi conto che esistono due dimensioni: quello che vedi e quello che provi, e che c’è un’area grandissima da esplorare» • Nel 1973 si laurea in belle arti, poi va a lavorare al museo d’arte di Syracuse. Hanno aperto un nuovo dipartimento audio-visivo, lo prendono come tecnico • Conosce il pianista David Tudor, compositore d’avanguardia che scrive musica elettronica • «Il primo incontro di Viola con il Rinascimento italiano risale al 1974, quando […] andò a lavorare per diciotto mesi a Firenze come direttore tecnico di Art/Tapes/22, centro sperimentale intorno a cui ruotavano i pionieri italiani e stranieri dell’arte del video allora agli esordi: da Kounellis a De Dominicis, da Vito Acconci a Nam June Paik...» (Barina) • «C’è un ricordo particolare di quegli anni Settanta in riva all’Arno? “È il ricordo di un giovane squattrinato e pieno di entusiasmo. Sono arrivato senza troppa passione per l’arte del Rinascimento. Non trovavo quella sensazione e quei sentimenti che andavo cercando. All’università odiavo storia dell’arte, volevo giocare con i video e con le cineprese» (Olga Mugnaini, La Nazione, 8/3/2017) • «Ero giovane, tutto quello che era passato non mi riguardava. Il mio metro di giudizio era: se una cosa piace a tua madre, se per lei è comprensibile, allora è per definizione bad. I musei d’arte antica erano per me come ospedali tirati a lucido, fatti per conservare opere morte che interessavano solo vecchi studiosi. I pittori che mi piacevano erano Pollock, de Kooning, Rothko: arte astratta» (a Polese) • «Poi ho visto il David di Michelangelo e quello mi ha davvero lasciato il segno […] avevo 23 anni e ho iniziato a lavorare nello studio di Maria Gloria Bicocchi in via Ricasoli […] Ho cominciato a creare con loro mettendo a disposizione le mie idee, che venivano poi prodotte dallo studio. È stata una stagione assolutamente fervente, perché ho avuto la possibilità di lavorare al fianco di altri artisti italiani e internazionali. Ognuno era diverso, ma tutti avevamo un punto in comune: eravamo rivolti al futuro, guardavamo avanti, cercavamo di proiettare la nuova arte verso il domani”» (Mugnaini) • «Lo chiamavano il “tecnico americano” perché sapeva tutto di videocamere e videotape, la tecnologia più avanzata dell’epoca. Per un americano sensibile doveva essere un’esperienza sconvolgente vedere tutta la bellezza dell’arte rinascimentale diffusa nelle chiese, nelle strade e non solo nei musei ai quali era abituato: “Avevo capito presto che qui la storia era veramente parte del presente”» (Botta) • Gli italiani gli dicono che il suo cognome pronunciato all’americana, «Vaiola», ricorda troppo una brutta malattia. Inizia a farsi chiamare «Viola», all’italiana • «Passava ore nelle chiese fiorentine a registrare i rumori di sottofondo, il brusio di chi pregava, sussurrava, si inginocchiava. Suoni d’ambiente che tuttora accompagnano i suoi video» (la moglie Kira, alla Barina) • Rimane impressionato dalla Deposizione di Pontormo, nella chiesa di santa Felicita. «Fui molto colpito dai colori. Uscendo mi domandai, sinceramente, che cos’avesse fumato il pittore per dipingere quei rosa, quegli azzurri incredibili. Sembrava avesse lavorato sotto l’effetto dell’Lsd» (a Polese) • A Firenze «si consuma la metamorfosi del giovane “tecnico americano” in “pittore elettronico”» (Andrea Cortellessa, il manifesto, 19/3/2017) • «Avevo venticinque anni quando realizzai il mio primo video e fu trasmesso a New York da Canale 13. Fu per me un momento importantissimo, non solo a livello visuale ed estetico. Lo videro migliaia di persone, compresi la democraticità di questo mezzo» (a Vagheggi) • «Appena Bill conobbe Kira, nel ‘77 - quando lei lo invitò a esporre in una mostra a Melbourne: “Di lui non sapevo nulla, se non che era un giovane artista con un padre alla Pan Am, quindi con biglietti aerei gratis” - fu il colpo di fulmine. E l’avvio di lunghi viaggi insieme. Nelle isole del Pacifico per esplorare, videocamera alla mano, la maestria di chi cammina sui carboni ardenti o si trafigge con spilloni senza sanguinare. Nel Sahara tunisino, per filmare i miraggi (“Siamo affascinati dalla soglia tra illusione e realtà. E dal deserto: in quello dei nativi americani, nel Sud degli States, abbiamo vissuto in tenda cinque mesi facendo riprese notturne”). Quindi in Giappone: un anno e mezzo a studiare il buddhismo zen, mentre Bill lavorava nei laboratori di ricerca Sony. Tuffi nelle più svariate culture, che portano Viola a fondere elementi di tradizioni spirituali diverse: dal pensiero buddhista alla mistica cristiana al sufismo islamico. Così come i valori del cattolicesimo si fondono in Michelangelo con quelli della filosofia neoplatonica» (Barina) • «Ricordo che durante una passeggiata nella foresta, l’uomo con cui stavo camminando mi spiegò che nella loro lingua esiste una parola per indicare lo spazio tra gli alberi. Uno spazio intermedio che chiamano Ma. Che altro non è che il vuoto. Ma non inteso come assenza di qualcosa. Ma come luogo o tempo che contiene tutto quello che può succedere. Il mio tempo è il movimento, saltare in quello spazio vuoto» (alla Antonucci) • «Nell’81 Bill e Kira si trasferiscono a Long Beach, in California, dove vivono tuttora. Fanno due figli. Studiano e filmano di tutto, perfino il livello di coscienza degli animali nello zoo di San Diego. Ogni giorno Bill legge, ascolta musica, sogna le immagini più adatte a esprimere le proprie emozioni, e si confronta con Kira, che incoraggia, raddrizza, sconsiglia, facendo poi tutto il necessario perché quelle idee si concretizzino in opere d’arte. “[…] abbiamo trascorso mesi nell’Istituto di ricerca Getty, a Los Angeles: era appena morto il padre di Bill e, nel tentativo di conciliarsi col proprio dolore, lui scoprì come l’arte degli antichi maestri sia d’enorme aiuto per riconoscere le emozioni e affrontarle”» (Barina) • Nel 1983 diventa professore di cinematografia al California Institute of Art • Un giorno rimane a osservare il viavai di un aeroporto e ha l’ispirazione per The Messenger. «Il video di un uomo che affiora lentamente dalla profondità dell’acqua e, giunto in superficie, esplode in un respiro a lungo trattenuto, spalancando gli occhi, per poi riprendere fiato e tornare a inabissarsi. Così via senza sosta» (Barina) • «Sovente di un libro mi colpisce una frase o un pensiero. Che, poi, possono generare in me una visione. In seguito, eseguo qualche disegno. Infine, io e Kira […] esaminiamo questo materiale. Solo allora decidiamo se iniziare la produzione» • «Quando nasce un’opera, quando arrivi a vederla prima di farla è come avere una visione. Anzi è come risvegliarsi. Prima dormivi, dopo sei sveglio e finalmente vedi» • Si imbatte nella Visitazione di Pontormo e ha la folgorazione: di quel quadro vuole fare un video. È il pittore che tanto lo aveva colpito a Firenze. «Ero andato in una libreria, cercavo un libro: non ricordo più quale. Mentre stavo uscendo vedo con la coda dell’occhio un volume appoggiato sul banco, un nuovo testo su Pontormo. Sulla copertina era riprodotta la Visitazione; mi colpirono i colori […] non riuscivo a smettere di guardarlo. Ho comprato il libro e l’ho portato a casa. Ma aspettai mesi prima di prenderlo in mano. Alla fine, apro il libro, lo leggo, resto affascinato dalle idee, dai colori di quel pittore. Nasce così l’idea di The Greeting: affittiamo uno studio a Los Angeles, cerchiamo tre attrici. Abbiamo usato una cinepresa speciale, 300 immagini al secondo, per dare l’effetto di slow motion, di tempo rallentato: così 45 secondi di girato vengono espansi fino a durare 10 minuti. All’epoca era qualcosa che non potevi fare con la videocamera. Era un film, che poi è stato riversato. Lo portai in prima mondiale alla Biennale di Venezia. Fu accolto subito con giudizi molto positivi» (Polese) • Raffigura proprio la Visitazione, come quella di Pontormo. La Madonna incinta che va a trovare la cugina Elisabetta. «È il crepuscolo: il cielo ha una totalità fra l’azzurro tenebra e l’oltremare. La scena è spoglia, anonima. Al centro dell’immagine conversano due donne. È estate: una lieve brezza muove i tessuti, scompiglia appena i capelli. Poi nell’inquadratura entra una terza donna. È più giovane delle altre, e sorride luminosa. Anche la donna anziana s’illumina, e le due si abbracciano con trasporto. La nuova arrivata dice qualcosa all’orecchio dell’amica, che la guarda in preda allo stupore. Infine il gruppo si scioglie […] Pontormo ovviamente non ci può mostrare l’arrivo di Maria, né la sua conversazione con Elisabetta; l’unico flash a sua disposizione è il momento in cui le due si abbracciano» (Cortellessa) • Allo stesso modo nascono Catherine’s Room, cinque schermi che ripetono lo schema delle predelle della Caterina di Siena di Andrea di Bartolo, Emergence, ispirato al Cristo in Pietà di Masolino da Panicale • «Ecco il Metodo-Viola. Decisivo innanzitutto è il prelievo di alcune iconografie e di alcuni artifici del passato. Queste fonti, poi, vengono rimodulate, riscritte e ri-locate ricorrendo a raffinati dispositivi tecnologici: l’immaginario rinascimentale è reinventato con abilità. Si perviene così a una pittura-in-movimento, attraversata da una forte tensione mistico-religiosa, abitata da personaggi che indossano abiti contemporanei e compiono gesti di estenuante lentezza, folgorati in un’attesa dilatata all’infinito» (Vincenzo Trione, La Lettura, 26/2/2017) • «“All’inizio il rapporto con gli attori non è stato facile. Ma poi abbiamo trovato un modo di procedere”. Tipo? “Dopo il provino, parlo con gli attori scelti e ad ognuno di loro pongo delle domande, anche personali, del tipo: sei mai stato lì lì per annegare? Oppure, hai mai avuto un incontro ravvicinato con la morte? Questo per capire cosa provano. A volte gli attori, lavorando con Los Angeles, sono un po’ commerciali e si dimenticano del loro Io interiore. A me invece interessa riportarlo a galla, riscoprire questa voce del profondo”» (Mugnaini) • Alcuni suoi video sono brevi, altri lunghissimi. The return dura cinque minuti. I do not know what it is I am like ottantanove • «La tecnologia annulla l’idea di unicità e quindi di differenza, portandoci fuori dalle gabbie dello zoo e proiettandoci in una globalizzazione positiva. Le macchine non sono nemiche. Hanno occhi per vedere, producono suoni e luce. Si possono toccare. Preservano il passato, predicono il futuro» • «Con la tecnica della slow motion, come un sacerdote orientale, ci invita a percepire ogni momento della nostra esistenza, secondo dopo secondo. Fuoco, acqua, morte e rinascita, Oriente e Occidente: simboli e temi antichissimi si affacciano da schermi ipertecnologici, mettendoci di fronte al mistero dell’esistere. Viola non ha paura che la sua arte possa essere definita religiosa. “Ma è meglio dire spirituale – precisano insieme Bill e Kira – Nella parola religione c’è l’idea di un dogma. Ma sì, crediamo che questa sia la funzione dell’arte: aiutare gli altri a conoscersi, a riflettere su se stessi e sull’esistenza”. Come accade nell’ultima stanza della mostra, dove due anziani nudi indagano sul proprio corpo in disfacimento. Le immagini sono proiettate su grandi lastre di granito nero. Lapidi. “Sì – dice Viola – sono pietre tombali. Quei due cercano l’eternità, ma stanno morendo e ancora non lo sanno”» (Botta).
Curiosità Nove lauree e un dottorato honoris causa • «Ha donato alla Galleria degli autoritratti degli Uffizi il suo autoritratto. È il primo video che entra nel Corridoio vasariano. Camicia azzurra, pantaloni scuri, al collo un rosario buddista, l’artista è immerso nell’acqua con gli occhi chiusi, in un atteggiamento di assoluta quiete. Ha le braccia quasi conserte sul petto, mentre la camicia si increspa lentamente nel fluire dell’acqua» (Polese) • «Con quale monumento romano vorrebbe confrontarsi? “Non mi chieda di scegliere. Non è possibile. Sogno però di poter stare a piazza Navona, ventiquattro ore senza muovermi, al centro del mondo che scorre. Sentirmi un po’ come Eraclito”» (Antonucci) • «Desideri aggiungere qualcosa per concludere l’intervista? “Sì, due parole per i nostri giovani. Per favore, non arrendetevi! Non scoraggiatevi! Voi sarete presto i custodi del futuro dell’umanità”» (Volpato).
Titoli di coda «Il mio lavoro viene dal profondo: da un luogo cui non posso mai accedere direttamente. Per raggiungere quello spazio, devo essere paziente; e superare la mia razionalità».