22 gennaio 2020
Tags : Arjen Robben
Biografia di Arjen Robben
Arjen Robben, nato a Bedum, nei Paesi Bassi, il 23 gennaio 1984 (36 anni). Calciatore • «Attaccante che predilige giocare nel ruolo di esterno, soprattutto a destra, è un atleta dotato di estrema velocità, di ottimo dribbling e di un efficace controllo di palla; possiede altresì una buona visione di gioco e un preciso tiro di sinistro» (Treccani) • Ha giocato come professionista dal 2000 al 2019, quando ha annunciato il proprio ritiro. Dopo gli esordi in squadre minori olandesi, è stato lanciato, a diciott’anni, dal Psv Eindhoven. Ha giocato con il Chelsea (dal 2004 al 2007), con il Real Madrid (dal 2007 al 2009) e per dieci anni con il Bayern Monaco. Ha vinto una volta il campionato olandese, due volte quello inglese, otto volte quello tedesco. Con il Bayern, nel 2013, ha vinto la Champions League, la Supercoppa Uefa e la Coppa del mondo per club. Con la nazionale olandese ha partecipato a tre europei (2004, 2008 e 2012) e tre mondiali (2006, 2010 e 2014): con lui l’Olanda è arrivata seconda in Sudafrica nel 2010 e terza in Brasile nel 2014. È stato candidato cinque volte al Pallone d’Oro ma non l’ha mai vinto • «La sua arte, la sua classe sono senza tempo, incontrovertibilmente sublimi» (Giancarlo Galavotti, La Gazzetta dello Sport, 13/11/2004) • «È sempre stato considerato un “giovane vecchio” sin dagli esordi, forse per quei capelli già andati via in giovanissima età e per quegli infortuni continui che hanno spesso frenato uno dei talenti più cristallini del nuovo Millennio. Un sinistro magico, quello di Robben, in grado di dipingere capolavori calcistici. Il suo marchio di fabbrica è stato il tiro a giro, un déjà-vu tra piccoli tocchi di palla, sterzate improvvise e arcobaleni all’angolino» (Sky Sport, 4/7/2019) • «Quando si pensa ad Arjen, il primo gesto tecnico che viene in mente è sempre quello: finta verso la linea di fondo, rientro fulmineo per portare il pallone sul sinistro, qualche tocco ad accentrare la posizione e poi conclusione mancina sul secondo palo. Non certo una novità per chi doveva marcarlo, dopo le prime volte... ma nessuno riusciva a fermare quella giocata, eseguita così velocemente» (La Gazzetta dello Sport, 4/7/2019) • «Negli ultimi 15 anni circa, i difensori di tutta Europa hanno lottato per affrontare Arjen Robben. Nessuno ha capito come impedire all’olandese di spostare la palla sul suo piede sinistro […] e di trovare un goal dopo l’altro con la palla nell’angolo lontano. Robben è stato velocissimo all’inizio della sua carriera, ma quando quel ritmo è diminuito, una volta che ha iniziato a raggiungere il crepuscolo, avrebbe trovato nuovi modi per trovare quel cortile di spazio per un colpo. Era un genio […] ha lasciato un segno indelebile nel calcio europeo» (90min, 26/9/2019).
Titoli di testa «Sapevo cosa avrebbe fatto. Sapevamo tutti cosa avrebbe fatto. Perché non l’ho fermato?»
Vita Figlio di Hans e Marjo Robben • «È nato nell’anonimo e isolato villaggio di Bedum, nel vento dell’Olanda del nord, ad appena sessanta chilometri dalle coste tedesche della Frisia Orientale. È raro che giocatori olandesi forti vengano dal nord del Paese, e nessuno è mai arrivato da Bedum. Prima, il villaggio era conosciuto per la sua torre pendente, più pendente di quella di Pisa, come dicono vantandosi i residenti» (Simon Kuper, Rivista Undici, 27/6/2019) • Il padre, Hans, ha giocato a calcio in passato e Arjen comincia a tirare calci al pallone da piccolo. A cinque anni è già nella squadra del suo paesino. Entra prestissimo nelle giovanili di una squadra vera • «Sono stato il suo allenatore per quattro anni. Ha iniziato a giocare nel Groningen che non ne aveva ancora compiuti dodici. Per la cronaca, nessuno può dire di aver “scoperto” Arjen Robben; è entrato nella nostra società durante una giornata organizzata per scovare nuovi talenti. […] Non mi prendo il merito di avergli insegnato a giocare; aveva un tale intuito, un senso innato per il gioco che mi sono solo goduto il percorso. Quel ragazzo aveva un potenziale grandissimo, lo si vedeva subito» (Barend Beltman, allenatore, al The Guardian, 4/6/2010) • «Il tipico giocatore olandese è un ragazzino di Amsterdam che ha iniziato a giocare per l’Ajax nel periodo delle scuole elementari, che ha ricevuto l’indottrinamento nelle complesse geometrie su cui si basa il calcio totale, e dotato di un’arroganza anche conosciuta come “Amsterdam bluff”. Pensate a Wesley Sneijder, Rafael van der Vaart o Nigel de Jong, membri come Robben della generazione d’oro olandese dei nati nel 1983 e 1984. Se Robben fosse cresciuto nella parte ovest dell’Olanda, i suoi allenatori gli avrebbero fatto dimenticare come si dribbla […] ricordo bene l’urlo che si alzava ogni volta che un bambino abbozzava una corsa palla al piede: “Niet pingelen!”, non dribblare!. Già a otto anni i bambini olandesi sanno che il pallone si muove più veloce del giocatore. Ma, piccolo genio campagnolo senza istruzione, Robben crebbe senza grandi lezioni di calcio. Fu così che diventò un’ala, il Garrincha olandese» (Kuper) • «Il suo terzo anno nelle nostre giovanili non fu facile. Era sempre stato un piccoletto. Molto mingherlino. Tutto d’un tratto, ha iniziato a crescere e gli faceva male la schiena. […] Arjen non ha potuto giocare per settimane […] Ha dimostrato di saper resistere, in quei tempi difficili. Quando non è a posto fisicamente, ce la mette tutta per tornare in campo» (Beltman, l’allenatore) • «Un giorno, quando aveva sedici anni ed era a scuola, ricevette un messaggio. Per leggerlo uscì dalla classe, e scoprì che era stato selezionato dalla prima squadra del Groningen per la loro prossima partita, nella massima divisione olandese» (Kuper) • «Arjen era motivato e determinato, fin da giovanissimo. Sempre puntuale, mai una volta che arrivasse in ritardo. Solo una volta, un venerdì pomeriggio, si è presentato un quarto d’ora dopo l’inizio dell’allenamento. Gli ho chiesto cosa fosse successo. “Eravamo in piazza a divertirci”. C’erano alcune ragazze con lui e i suoi amici, e allora gli ho detto: “Com’era lei? Meritava?”. Risposta: “Sì, mister, meritava”» (Beltman) • «Oltre alla velocità e alla tecnica sa metterci anche il cervello (non butta mai via un pallone, fa sempre la scelta giusta) e soprattutto il carattere. S’era già capito quando, a 15 anni, aveva detto al Psv, che l’aveva comprato, di rimandare di un anno il trasferimento perché voleva restare a Groningen a terminare le superiori» (Emilio Marrese, la Repubblica, 27/6/2004) • «Mi ricordo una partita a Enschede, era il 13 maggio 2000. All’intervallo ha già segnato sei o sette reti e mi fa: “Mister, non ho mai segnato dieci gol nella stessa partita”. Gli rispondo: “È la volta buona”. Arriva a nove, scarta due giocatori e corre di nuovo verso la porta. E allora, d’un tratto, passa la palla a un suo compagno, uno che non aveva segnato quasi mai. Il suo carattere è così: un ragazzo gentile, che fa gioco di squadra. Quando è tornato verso l’area tecnica, gli ho detto: “Ora vai col decimo”. E ovviamente ce l’ha fatta. Per tutto la partita, la panchina ha tremato. Abbiamo scoperto dopo che quel giorno era esplosa una fabbrica di fuochi d’artificio a Enschelde, poco più giù, in quella stessa strada. Erano morte ventitré persone» (Beltman) • «Nel 2001 l’Olanda partecipò per alcuni giorni al Mondiale Under 20 in Argentina […] Il ragazzino più giovane di quella squadra era un diciassettenne con le gambe un po’ storte di qualche villaggio nel nord del Paese. L’allenatore della Nazionale, un ex maestro con la faccia larga e allampanata chiamato Louis van Gaal, non era un tipo incline a lodare il talento individuale: per lui era meglio quello che chiamava, con la sua parola preferita in olandese, il collectief. Nonostante questo, ammise che non aveva “mai visto un talento simile”» (Kuper) • Nel 2002 Robben passa al Psv di Eindhoven, vince il titolo olandese e la supercoppa d’Olanda. Il papà gli fa da agente • «Ha detto di no al Manchester United e al Real Madrid, scelta spiegata così dalla mamma: “Mio figlio non vuole andare in quelle squadre dove i presidenti ogni estate cambiano le stelle come macchine di seconda mano”. Poi Roman Abramovich gli ha fatto cambiare idea» (Emilio Marrese, la Repubblica, 27/6/2004) • L’offerta è di dodici milioni di sterline • In due stagioni passate a Londra, Robben vince due titoli in Premier League, una Fa Cuo, una League Cup e una Community Shields • «Giocavamo con due attaccanti e due ali; era un 4-4-2, giocavamo sempre all’attacco. Ma quello che ricordo di quel periodo è la squadra: una vera squadra; eravamo molto uniti, le nostre personalità si amalgamavano molto, molto bene. Avevamo un grande manager in Mourinho, che creava un grande spirito di squadra. E per me era un passo grandissimo perché avevo vent’anni. Era la mia prima volta all’estero. Soprattutto se sei così giovane, ti fa crescere molto in fretta» (a Nick Ames, The Observer, 16/2/2019) • Ha due caratteristiche. Si fa male di continuo (è sempre infortunato, lo soprannominano «l’olandese di cristallo») ed è capace di segnare con una tecnica particolare. Un tiro a giro, improvviso, veloce, teso, che gli avversari non riescono a fermare. La giocata prende il suo nome. I francesi la chiamano le Robben, gli inglesi cut inside, i tedeschi, der Robbenmove, gli italiani «gol alla Robben» • «Il tiro è meno arcuato di quello di Del Piero, il dribbling meno imprevedibile di quello di Messi, la corsa meno esplosiva di quella di Mbappé, eppure per i difensori avversari è rimasto un rebus irrisolvibile, e lo rimarrà per sempre» (Marco d’Ottavi, l’Ultimo Uomo, 5/7/2019) • «Nel 2010, un’esperta di scienze cognitive di nome Shanti Ganesh, dell’università olandese di Radbound, ha condotto uno studio sul movimento di Robben. Il cervello del difensore, stando alla Ganesh, segue inconsciamente le finte di Robben, anche se sa benissimo, nel profondo, che sono solo finte. Nel tempo che impiega a correggere l’errore, Robben – proprio come tutti si aspettavano che facesse – tira a giro e segna, “Il difensore riesce a riconoscere l’errore – dice la Ganesh – ma sempre solo un attimo dopo, quando ormai è troppo tardi”» (Rory Smith, New York Times, 12/3/2019) • Il 29 agosto 2009 gioca la sua prima partita con il Bayern Monaco. Si prende la maglia numero dieci. «L’atmosfera è avvolta in un’aria di attesa. Non per il gol, che arriverà prima della mezzora con un tap-in di Mario Gomez, ma per l’esordio di Arjen Robben, l’olandese arrivato il giorno prima da Madrid […]. Il momento arriva all’inizio della ripresa, quando Robben prende il posto di Hamit Altintop, accolto da un’ovazione dei suoi nuovi tifosi. Nessuno tra i presenti […] poteva immaginare che la vera attesa era un’altra […]. Che avrebbero dovuto aspettare altri diciotto minuti per assistere a quella che oggi coincide con l’alba di un’era: il momento in cui sveste la tuta e fa il suo ingresso in campo Franck Ribéry, condividendo per la prima volta il terreno di gioco con quello che sarebbe diventato il suo futuro gemello […] Sette minuti dopo il suo ingresso in campo, Ribéry prende palla sulla trequarti, osserva il movimento in profondità di Robben e lo serve sui piedi. L’olandese riceve il pallone e si infiamma nell’accelerazione che diventerà iconica, si defila un po’ sulla sinistra e trafigge il portiere Benaglio. Robben è colmo di gioia per il gol all’esordio, scivola sotto la curva bavarese e poi scosta l’emozione per l’esigenza di ringraziare il compagno francese. È il primo di centinaia di abbracci celebrativi tra i due. Passano dieci minuti e Robben dà il via a una ripartenza fulminante dalla sua trequarti mettendo in mostra, di nuovo, quello sprint folgorante scandito da moltitudini di dolci e quasi impercettibili tocchi, con quel pallone che mai si azzarda a scappar via dal suo controllo. Alza la testa e si accorge che davanti a lui c’è un audace compagno disposto insieme a lui a sfidare tutti i difensori del Wolfsburg rimasti a protezione, pronto ad accompagnarlo in quella piccola avventura temeraria. […] È l’inizio di una storia d’amore fredda e ideale, è la spettacolare genesi di quel binomio, Robben-Ribéry, che da lì a poco sarebbe stato ribattezzato Robbery» (Federico Corna, Esquire, 13/5/2019) • Con il Bayern vince tre volte il campionato tedesco, la supercoppa tedesca, la coppa di Germania, la coppa dei campioni, la supercoppa Uefa e il mondiale per club. Nel 2014 diventa capitano. Ormai dicono che lui e Ribery sono come Bud Spencer e Terence Hill, come Starski e Hutch, come Batman e Robin • Nel 2019 scade il suo contratto con il Bayern. Ha vinto tutto, tranne il mondiale • «Sembrava potesse tornare in patria, ma evidentemente i tanti infortuni subiti in carriera e il sopraggiungere di esigenze extra calcio lo hanno convinto a concludere la sua storia di calciatore» (Sky Sport) • «Ci ho pensato a lungo nelle ultime settimane e alla fine ho deciso di mettere fine alla mia carriera da giocatore professionista» (lui, al De Telegraaf) • Thomas Muller: «Uno dei più grandi lascia il calcio» • Edwin van der Saar: «È stato un piacere aver giocato con te» • Franck Ribery: «Non avrei potuto desiderare miglior complice. La Robbery non sarà mai dimenticata. Che carriera amico mio, ora goditi il tempo libero».
Vita privata Nel 2007 ha sposato Bernadien Eillert, la compagna delle superiori per cui, quindicenne, aveva fatto tardi a un allenamento. Hanno avuto due figli, Luka (n. 2008) e Kai (n. 2012) e una figlia, Lynn (n. 2010).
Giudizi «Il suo marchio di fabbrica taglio e modo di tirare, la testa calva scintillante e la sua camera dei trofei non saranno dimenticati. Né i suoi spettacoli a volte sciocchi per le simulazioni, ma hey, ci stiamo concentrando sugli aspetti positivi qui» (90min).
Curiosità È alto 1 metro e 81, pesa 75 chili • È uno dei grandi mancini tecnici del calcio, assieme a Maradona, Messi, Gigi Riva, Özil, Bale e Mihajlovic • Una volta, presentatosi a un allentamento con una mano fasciata, disse alla stampa di essere stato morso da un coccodrillo. Si era fatto male in palestra • Parla correntemente tedesco, inglese, spagnolo e olandese • Nel 2004 si è sottoposto a un esame medico. Sembrava avesse un cancro al testicolo sinistro, ma era tutto a posto • Ogni anno in Olanda organizzano una gara di nuoto nei canali tra Zoutkamp e Groninga per raccogliere fondi da dare alla ricerca sul cancro. Nel 2019 ha partecipato anche lui, nuotando per otto chilometri • Il calciatore più veloce di sempre. Nel 2014 stabilì il record di 37 chilometri all’ora • Tra i suoi allenatori il suo preferito è Guardiola: «Mourinho mi piace, ma Guardiola è meglio» • «Lo stadio peggiore per me è quello di Liverpool. Tutti hanno i loro rivali preferiti» (a Ames) • «Non ho mai rivisto la finale di Champions, ma mio figlio ogni tanto mi mostra il gol su YouTube e dice che sono stato grande. Amore per il papà? No, spesso mi critica e ha ragione: i bambini sono onesti, dicono la verità» • «Sì, a volte sono caduto esagerando un po’. Non riesco a controllare le cadute. Ho subito molti falli, ma a volte ho un po’ esagerato. Ci sono dei video nei quali non faccio una bella figura».
Titoli di coda «Ho dedicato 19 anni della mia vita alla mia passione».