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 2019  ottobre 15 Martedì calendario

Intervista a Guido Barbujani su "Sillabario di genetica per principianti" (Bompiani)

Dna, genoma, Ogm, ereditarietà. Oggi parliamo di acido desossiribonucleico come parleremmo di un bel film; stigmatizziamo gli Ogm senza sapere – davvero – cosa sono. Evochiamo razze, intelligenza, orientamenti sessuali come ineluttabili prodotti di quella doppia elica ormai così familiare nel linguaggio comune. Ma tocca ripartire dall’inizio, o quasi.

Discendiamo tutti da un antenato comune. Siamo cambiati, qualcuno direbbe che ci siamo evoluti, ma le «regole» genetiche sono sempre le stesse. Il modo con cui l’informazione contenuta nel Dna passa all’Rna, e da lì alle proteine, è la medesima. E ogni nostra singola cellula si porta dietro un messaggio dal passato, un messaggio in bottiglia che viaggia da quattro miliardi di anni.

Guido Barbujani è un genetista e, nel suo nuovo saggio «Sillabario di genetica per principianti» (Bompiani), che si divora come un romanzo, riesce in un’impresa avvincente: ci spiega come si legge, o almeno come si sta tentando di leggere, il messaggio nella bottiglia.

Professor Barbujani perché è importante quel messaggio?
«È come un libretto di istruzioni. Contiene nella lingua del Dna le informazioni che hanno permesso alla cellula-uovo fecondata da cui arriviamo di moltiplicarsi e formare l’organismo complesso che siamo, fatto di 37 mila miliardi di cellule».

Per questo serve un Sillabario di genetica?
«I geni c’entrano un po’ con tutto quello che siamo e con quello che facciamo. Comprendere quanto la genetica abbia a che fare con la nostra vita, sebbene infinite questioni restino aperte, è cruciale. Il nostro Dna è lungo quanto seimila volumi dei Promessi Sposi. Lo hanno scritto milioni di antenati, con un lessico che abbiamo ormai imparato a decifrare, ma con una sintassi, cioè il modo in cui ogni gene risponde agli altri geni e all’ambiente, ancora da capire. Solo studiando le basi della genetica si può discutere senza pregiudizi se gli Ogm sono nocivi o se ha senso parlare di razze, intelligenza, propensione alle malattie, orientamenti sessuali».

Esiste il gene dell’intelligenza?

«Ancora più popolare della caccia ai geni della criminalità, e altrettanto inconcludente, è stata la caccia ai geni dell’intelligenza. Quello che si può dire è che ognuno di noi ha capacità cognitive diverse, e si può pensare che queste differenze abbiano in parte una base genetica. Ma avere una base genetica non vuol dire che non si possa modificare. Come dire: le nostre capacità sono definite da geni – non possiamo fare migliaia di operazioni al secondo come un computer – ma il cervello è plastico. Pesano fattori sociali, economici, l’ istruzione, l’ambiente famigliare, le esperienze. Per esempio: a furia di fare test del QI diventiamo più intelligenti. Con l’allenamento si migliora. Ricordiamoci che se siamo come siamo vuol dire che i geni ce lo permettono, ma non che lo determinano. Come e più del diabete e del cancro, le nostre capacità cognitive sono caratteri estremamente complessi».

Oggi per appena 250 dollari si può ricevere a casa un kit per conoscere le nostre origini. Che attendibilità ha un esame del genere?
«Quanto questi esami siano attendibili, non si sa. Ci sono svariati metodi per confrontare genomi, ma le ditte non rivelano, per motivi commerciali, quale usino. Sta di fatto che in Canada, dove sono in corso test per riconoscere i discendenti delle popolazioni indigene, un signore, diffidente, ha passato il tampone per il Dna nella bocca del suo cane Snoopy, un chihuahua. Bene, abbiamo trovato l’ultimo dei Moichani: è un cane».

Nel linguaggio comune si parla ancora di di «razze», ma la genetica da tempo ha frantumato i pregiudizi peggiori. Non è così?
«Le razze non esistono. O meglio, esistono, ma solo nella nostra testa. Il fatto è che genetisti inglesi sono riusciti a estrarre Dna dai resti di un uomo di 9mila anni fa: Cheddar man. Lui, e altri suoi contemporanei europei, avevano pelli molto scure, ereditate dai loro – dai nostri - antenati africani. Tra i 7 mila e diecimila anni gli europei avevano la pelle scura. E c’è di più: è stata una migrazione dal Medio Oriente, circa dieci mila anni fa, ha “importare” la pelle chiara, un vantaggio nei climi più freddi e con meno luce, perché aiuta a fissare la vitamina D. Insomma, senza immigrati non saremmo bianchi».

E che cosa ci dice la genetica sugli Ogm?
«Su questioni che ci toccano da vicino, come la diversità umana o gli Ogm, le posizioni sono polarizzate, scatta immediatamente l’anatema. La scienza è un tentativo di ridurre i conflitti per mezzo della razionalità. Con gli Ogm oggi facciamo come Salvini ha fatto con la nave Diciotti: prendiamo in ostaggio delle persone per partito preso e per posizioni ideologiche. Selezioniamo e modifichiamo specie vegetali da quando siamo passati da essere cacciatori-raccoglitori a coltivatori, non vedo perché, ad esempio, non potremmo evitare che centinaia di migliaia bambini ogni anno perdano la vista o la vita per un deficit di vitamina A».

Come potremmo farlo?
«Abbiamo a disposizione il cosiddetto “Golden rice”, ricco di betacartotene, precursore della vitamina A. Viene prodotto da un’organizzazione no profit, ma la commercializzazione è bloccata da organizzazioni ambientaliste anti Ogm».

Cosa ci dirà su di noi la genetica in futuro?
«Auspico che la genetica riesca a fare un passo “di lato”: ovvero che invece di produrre milioni di dati e sfornare genomi su genomi, riesca a interpretarli. Così riusciremo a formulare diagnosi precoci delle malattie che ci portiamo dentro (e magari in futuro ad “aggiustare” i geni) e a fare passi in avanti nella conservazione della natura».

Esiste il libero arbitrio per un genetista?
«Non lo so. Mi viene in mente una discussione con Martino Rizzotti, fondatore dell’ Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti: lui sosteneva che noi scienziati dovremmo essere in grado di prevedere la caduta di una foglia tra cento anni, ma non è così. Noi non abbiamo una conoscenza deterministica, ma probabilistica. Le nostre conoscenze ci impediscono di avere una certezza sul futuro. La scienza non è la verità ma il diritto di affermare conoscendo il margine di errore. Quindi no, non so se esista il libero arbitrio: diciamo che per ora - ma non so ancora per quanto - possiamo vivere come se ci fosse».