www.repubblica.it, 9 gennaio 2020
La diplomazia del tweet
Ora che la terza guerra mondiale sembra di nuovo scampata, qualcuno inizia a dire che è stato anche per merito di Twitter se alla fine Stati Uniti e Iran si sono fermati. La questione ovviamente è molto più complessa, ma certo la crisi nel giro di poche ore ha dimostrato in maniera lampante come sia cambiata la diplomazia al tempo dei social media. Subito dopo l’attacco missilistico dell’altra notte il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif in un inglese perfetto (ha studiato a Denver) ha detto al mondo tre cose in meno di 280 caratteri: 1) la risposta iraniana era proporzionata; 2) l’azione era giustificata da un articolo della carta delle Nazioni Unite; 3) l’Iran non è in cerca di escalation militari né di guerre ma vuole solo difendersi.
Appena dodici minuti dopo il presidente americano Trump, che di solito usa Twitter come una clava al punto che molti vorrebbero che fosse escluso dalla piattaforma, ha risposto con un tweet quasi celebrativo, “fin qui tutto bene!”, che lì per lì è parso surreale visto il personaggio e invece era una dichiarazione di pace. È dal 2011 che si parla di twitdiplomacy, cioé dell’utilizzo di Twitter da parte di capi di governo per gestire le relazioni e in particolare le crisi internazionali. Il motivo è che Twitter offre la possibilità di comunicare istantaneamente, pubblicamente e per scritto in modo conciso. Rispetto al passato, anche recente, si tratta di un passo in avanti formidabile. Lo storico della Guerra Fredda Garrett Graff ha ricordato che al tempo della crisi cubana dei missili all’ambasciata americana a Mosca ci vollero 12 ore per decodificare e inviare a Washington il messaggio dei russi (cinque pagine, non esattamente un tweet).
Il ministro Jarad Zarif
E la risposta americana fu affidata dall’ambasciata sovietica a Washington ad un messo in bicicletta diretto ad un ufficio postale della Western Union. Era il 1962 e la scena non era molto diversa dai metodi antichi, quando per dichiararsi guerra o pace i re dovevano inviare messi che a volte percorrevano personalmente decine di chilometri per recapitare il messaggio (si pensi al povero Filippide che percorse 42 chilometri con l’armatura da soldato da Maratona ad Atene per poter annunciare la vittoria sui persiani).
Fu allora che russi e americani decisero di creare un telefono rosso, per comunicare direttamente, anche se in realtà non era un telefono bensì una telescrivente (che da Washington passava per Londra, Copenaghen, Stoccolma ed Helsinki prima di arrivare a Mosca); perché quando c’è di mezzo la guerra, meglio scriversi ed evitare i rischi di equivoci con la traduzione. Come accaduto l’altra notte. Ma senza segreti: in diretta, sotto gli occhi del mondo, con il fiato sospeso. E così abbiamo capito che se un giorno scoppierà la guerra, lo sapremo da Twitter. Ma intanto è arrivata la pace.