9 gennaio 2020
Tags : George Foreman
Biografia di George Foreman
George Foreman, nato a Marshall, in Texas, il 10 gennaio 1951 (71 anni). Campione di pugilato • «Big George» • «Un gigante di 120 chili per 1,96 è stato campione del mondo dei pesi massimi, ha chiuso la carriera nel 1997» (Teo Betti, Il Messaggero, 9/1/2004) • «Ha attraversato due ere, ha combattuto nell’epoca di Ali e in quella di Mike Tyson. Ha preso tanti pugni, molti di più ne ha dati, ha regalato brividi ad almeno due generazioni di appassionati. Grande tra i grandi, ha un posto d’onore nella leggenda della boxe» (Furio Zara, Avvenire, 9/1/2019) • Famosissimo – quasi leggendario - il suo incontro proprio con Mohammed Alì a Kinshasa, in Congo, nel 1974. Ci hanno fatto il documentario Quando eravamo re. Lui perse • «Quando [aveva, ndr] 19 anni, vinse l’oro olimpico. Ne aveva da poco compiuti 24 quando divenne campione del mondo per la prima volta, battendo Frazier a Kingston, in Giamaica. A 27 divenne pastore predicatore: lo decise nello spogliatoio, dopo la sconfitta subita da Jimmy Young. A 39 celebrò il suo primo milione di dollari accumulato come imprenditore di un’azienda che produceva griglie elettriche per hamburger. A 46 vendette l’azienda ad una multinazionale ricavando una cifra iperbolica (si parla di 600 milioni di dollari) e un contratto come testimonial. Ogni domenica, caschi il mondo, alle sette in punto della mattina, George appare a The Church of Jesus Christ di Lone Oak, Houston, e arringa i fedeli con sermoni al fulmicotone» (Riccardo Romani, Corriere della Sera, 11/2/2004) • Ha detto: «La boxe aiuta a scoprire te stesso: sali sul ring e hai la morte in faccia, prendi un colpo e vedi il tuo avversario moltiplicato per cinque, se fossi un uomo normale ti fermerebbero un mese e invece dopo un minuto e mezzo riprendi: ma alla fine sai cosa hai dentro».
Titoli di testa «Dicono tutti che sono matto. Invece sono innamorato della vita e voglio godermela perché vengo da un posto in cui, a 5 anni, l’unica cosa che ricordo era l’assillo di dover trovare qualcosa da mangiare. Ero ignorante, pensavo che Lyndon Johnson fosse il presidente del Texas, e tutto quello che sono lo devo alla boxe».
Vita «In Texas, a Marshall, cresce storto, da un padre che non è suo padre, la solita storia dei pugili predestinati, 40 volte dentro e fuori dal riformatorio» (Massimo Del Papa, Lettera43, 10/1/2019) • «Mia madre era sola, faceva la cuoca per mantenere noi sette figli, al lavoro non le era permesso mangiare il cibo che cucinava» (a Emanuela Audisio, la Repubblica, 26/10/2014) • Ogni tanto, di nascosto, Nancy Foreman porta a casa una bistecca. Poi la taglia in otto pezzi: uno per sé, gli altri per ciascuno dei figli • «Quando non c’era nulla da portare a scuola per il pranzo, soffiavo dentro un sacchetto di carta, per farlo sembrare pieno. E arrivavo in classe con quello» • «La televisione la vede a casa della zia Leola: trasmettono una sitcom intitolata Il carissimo Billy e George pensa che avere una abat-jour di fianco al letto sia un lusso che chissà mai quando gli capiterà» (Cristina D’Antonio, Gq Italia, 27/5/2014) • «Sua madre Nancy gliele dava? “Sì, per farmi rigare dritto. Cinghiate, si sedeva sopra di me e mi teneva fermo con la lotta. Ero alto e grosso, immobilizzarmi non era facile. Povera mamma, non voleva bugie. E io non ero uno stinco di santo”» (Emanuela Audisio, la Repubblica, 26/10/2014) • «George ha avuto un’infanzia sofferta. A 12 anni era al centro di Fifth Ward, il ghetto della sua città. Già gigante a quell’età, se ne stava sul marciapiede e pretendeva venticinque centesimi da chi gli passava davanti. Poi spendeva tutto al bar» (Betti) • «Mi ubriacavo, spaccavo vetri e taglieggiavo chiunque passasse da quelle parti» • «“Non gli servono armi, è lui l’arma”, spiegava il fratello. Poi, si sa come vanno a finire queste cose: o in quel vicolo ci crepi, o qualcuno ti salva, ti sbatte fra quattro corde» (Del Papa) • «La sua tecnica era elementare, ma era dotato di una forza fisica devastante. Era un picchiatore» (Furio Zara, Vanity Fair, 9/1/2019) • Il suo idolo è Sonny Liston, che dal 1962 al 1964 è campione del mondo dei pesi massimi • «Volevo essere come lui. Cattivo, sbagliato, spregevole» • «Alle Olimpiadi di Città del Messico Foreman è ancora un acerbo dilettante di 19 anni ma questo non lo rende più umano, l’italiano Giorgio Bambini ha la sventura di sfidarlo, il primo diretto che sembra un tram lo sfiora e lui sente fischiare l’aria e allora si butta per terra. “Alzati, vigliacco!”. “Mica son scemo, capo, quello mi stacca la testa!”» • In finale batte il campione sovietico, Jonas Čepulis • Sono anni difficili per i neri in America. Pochi giorni prima, durante una premiazione, Tommie Smith e John Carlos, oro e bronzo nei 200 metri piani, hanno alzato il pugno avvolto in un guanto nero invece che intonare l’inno nazionale • Foreman non è d’accordo. Dopo aver messo a tappeto il suo rivale, rimane sul ring e sventola una piccola bandiera americana • «Mi diedero del servo. Avevo appena vinto l’oro e volevo dire che amavo il mio paese. Erano anni di contestazione per i diritti civili. Giusto e sacrosanto protestare. Ma ci deve essere la libertà per tutti. E io non ho fatto sport per diventare agitatore politico. E nei ghetti i ragazzi non giocano a basket e football per dare voce alle critiche sociali. Lo fanno per divertirsi, non per le buone azioni. Non mi pento di quel gesto, anzi ne sventolerei sei di bandierine. Ma passare per uno che non ha conosciuto povertà e ingiustizie, questo è troppo» (Audisio 2014) • Lo chiamano «Zio Tom» • La sua carriera, intanto, decolla. «Passa nei professionisti. Nel 1969 partecipa a 13 incontri e ne vince 11 per ko entro la quinta ripresa e due ai punti. L’anno dopo stabilisce un record di 32 vittorie su 32 incontri. E nel 1972 continua ad assestare colpo su colpo» (D’Antonio) • Si allena con il sacco potenziato, quello da tre chili, che dopo un po’ aveva un buco grande come un cocomero • «Era uno di quei pugili brutti, sporchi, cattivi. Un ragazzaccio, un bullo, molto ignorante. “Non firmavo autografi, per darmi arie”. Un maleducato. A Red Smith, giornalista del New York Times, disse: “Ti dico io quando farmi domande”. E agli altri: “Fate in fretta, il mio tempo è prezioso”. “Acquistai una Cadillac, perché i ricchi dovevano averne una. Poi mi chiesero: e la Rolls non ce l’hai? Non sapevo cosa fosse, ma la comprai. Mi parlarono di un pastore tedesco. Presi anche quello, per 21 mila dollari, una fortuna”» (Emanuela Audisio, la Repubblica, 19/2/2004) • «Il 22 gennaio del 1973 è a Kingston, in Giamaica, per incontrare Joe Frazier, il campione del mondo in carica. Il match vale per il titolo mondiale. Frazier è uno forte. È il nemico numero uno di Muhammad Ali. Lo ha battuto nel 1971, ai punti, nell’evento ribattezzato The Fight of the Century […] Frazier è famoso. Foreman non ancora. Dopo 275 secondi di match, Frazier è a terra, e non è messo per niente bene. Foreman è il nuovo, disumano, imbattibile campione del mondo» (D’Antonio). Ha 24 anni • Frazier commenta: «Ha fatto di me uno yo yo» • George ormai si sente invincibile. Deride i suoi avversari: «Non pensano a vincere, ma solo a non farsi male» • José Roman vuole soffiargli la corona, ma lo batte. Ci prova pure Ken Norton, batte anche lui. Poi, il 30 ottobre 1974 incontra Alì in Africa • Il dittatore del Congo, Mobutu, vuole vedere la sfida tra i due pugili, offre 5 milioni di dollari a testa • «In un match si mescolava un po’ di tutto. Pugni e suggestione, quattrini e politica, novità e passione. Non era mai successo che un campionato mondiale dei pesi massimi mettesse di fronte due pugili di colore nel cuore dell’Africa nera. Non era mai accaduto che intorno a una sfida di boxe circolasse tanto denaro (almeno 30 milioni di dollari) e che allo sfidante fosse destinata la stessa borsa del campione (5 milioni di dollari, tre miliardi e mezzo di lire al cambio dell’epoca). Per la prima volta un combattimento pugilistico sarebbe cominciato alle quattro locali della notte […] per le esigenze della Tv americana [...]. Ideatore dell’evento era stato Don King, un intraprendente ex galeotto la cui capigliatura sembrava percorsa da una scarica elettrica, che s’era procurato il sostegno economico di un paio di società svizzere, di un network americano, del presidente Mobutu» (Mario Gherarducci, Corriere della Sera, 29/10/2004) • È «The rumble in the jungle. La rissa nella giungla». È «Le combat du siècle. Il combattimento del secolo» • Foreman arriva da 40 vittorie di fila, tutti lo credono invincibile. «Ricordo come mi guardava la gente il giorno che ho lasciato gli Stati Uniti per l’Africa. Era quello sguardo che diceva “Ragazzi, quello è l’uomo che sta andando a combattere contro Muhammad Ali”. E poi voltavano la testa. Era paura. Nessuno mi avrebbe guardato dritto negli occhi, era una forma di ammirazione. Non avevano nemmeno il coraggio di chiedermi un autografo» • «I soliti critici italiani, che credono sempre di sapere più degli altri, scrissero che il match era stato sicuramente una combine, per poter guadagnare di più in seguito. La storia li smentì senza pietà» (Gianni Minà, la Repubblica, 18/2/1990) • Foreman ha 25 anni, Alì 32. Foreman si allena ascoltando musica gospel e s’è portato dietro una Bibbia («ma non la leggevo, per me erano solo stupidaggini»), Alì ha rinnegato la sua Chiesa metodista («la religione dei padroni») per convertirsi all’Islam. Foreman si dice «fiero di essere americano», Alì ha rifiutato di partire per il Vietnam perché «nessun vietcong mi ha mai chiamato negro». Alì rappresenta la lotta contro il razzismo e il riscatto degli afroamericani. Di Foreman gli africani pensano addirittura che sia bianco • «Foreman alloggiava in un lussuoso albergo di Kinshasa, schivando ogni contatto con la gente, Ali aveva scelto di prepararsi a N’Sele, una cittadina residenziale a 40 chilometri dalla capitale. Circondato da una corte di 35 persone, che comprendeva anche genitori, moglie, segretari e persino un biografo personale, l’ex Clay familiarizzava festosamente con gli abitanti. I suoi allenamenti erano aperti a tutti e le sue passeggiate erano infarcite di sorrisi, strette di mano, autografi e auguri. Impareggiabile press agent di se stesso, complici anche le sue convinzioni politiche, Ali s’era conquistato rapidamente la simpatia e l’affetto dell’intero Zaire» (Gherarducci) • «Com’era Kinshasa nel ‘74? “Stavo in albergo, mi allenavo, non andavo in giro. Ero ignorante: non sapevo fosse l’ex Congo belga, che la città prima si chiamasse Leopoldville, né che Mobutu avesse preso il potere nel ’65. Ero all’oscuro delle carestie, del fatto che il 65 per cento della popolazione fosse analfabeta. Non ero il solo. Qualcuno provò a mandarmi un pacco da Washington e l’impiegato chiese: lo Zaire è un’isola nel mar del Giappone? […] A me lì mancavano soprattutto i miei amati cheeseburger. Kinshasa era stata ripulita. Scrissero che Mobutu aveva radunato nel nostro stadio i peggiori criminali e ne aveva fatti fuori parecchi. Eliminò anche chi aveva sbagliato a stampare il suo nome nei biglietti, una o al posto della u, e zac, niente più vita. Don King, l’organizzatore, dovette cambiare poster pubblicitario. Il primo recitava: “Dalla nave degli schiavi al mondiale” Lei scese dall’aereo a Kinshasa accompagnato da un pastore tedesco. “[…] Hanno scritto che erano i cani della polizia belga e che la gente ne era terrorizzata. Non è vero, Dago giocava con gli africani, nessuno ne aveva paura. E io che avrei dovuto dire quando Mobutu mi regalò un leone?”. Ali si acclimatava, lei si tuffava nell’aria condizionata. “E che male c’era? Avevo già combattuto in Giamaica, non al Polo Nord. E da un anno mi svegliavo alle tre del mattino per ricreare la stessa situazione del match. In allenamento il mio sudore lasciava macchie di due metri sul pavimento. Ali fu più abile di me: lui sembrava il nero, io il bianco. Eppure il mio staff era nerissimo, il suo invece bianco. Il suo allenatore Dundee e Pacheco, il medico, non avevano mica la pelle scura. Io però non ero un bel tipo: sempre scontroso, minaccioso, arrabbiato» (Audisio 2014) • «Quando Ali disse che stava raccogliendo soldi per un ospedale risposi di non preoccuparsi: ce l’avrei mandato io» • Alì gli risponde: «Me lo mangerò in un boccone. Sono troppo veloce per lui! Troppo veloce! Manderò in pensione il campione del mondo dei pesi massimi. Se il mondo si è stupito quando Nixon si è dimesso lo sarà di più quando metterò k.o. Foreman» • Quella notte nello stadio ci sono 60 mila spettatori. Quando Foreman entra nell’arena il pubblico grida: «Alì, boma ye» che significa: «Alì, uccidilo» • Cassius Clay, a distanza, lo guarda e dice: «Tu sei il toro, io il matador» • Foreman sale sul ring con la faccia di chi deve sbrigare una pratica. È fortissimo, è giovane, è il favorito • «Al primo round Alì colpisce Foreman con tredici destri. Non sono colpi qualsiasi. Si chiamano jab e per sferrarli bisogna lasciare scoperta la guardia. Negli ultimi due anni nessuno ha azzardato un colpo simile a Foreman. Per un campione è un insulto. È come dire, sei così lento che ti si può colpire in questo modo. Foreman sa che Alì vuole ballare. Lo ha annunciato da mesi: “Come potrà Foreman avvicinarsi a me? Io ballerò. Ballerò e ballerò. Diventerà matto per riuscire a toccarmi”. Ma Foreman si è allenato a tenere il centro del ring. E lo incolla alle corde. Alì non riesce ad uscire. Molti pensano che l’incontro sia finito qui. Invece va avanti. Terzo round, quarto, quinto. A metà del quinto round Foreman è sfinito. Non ce la fa più» (Lucrezia Dell’Arti, Sette, 26/10/2012) • «Adesso mi chiederà se quel coro: “ Ali, boma ye!”, “Ali uccidilo”, mi ha fatto male dentro. La verità è che non l’ho udito. Allo stadio c’erano cinquantamila persone. Io ero come autistico, allora. Però quando lo picchiavo con tutto quello che avevo l’ho sentito sfottermi» • «Si avvicinò e mi disse: “Ehi George, tutto qui quello che sai fare?”. Quanto l’ho odiato» • «Ali sostiene che per battermi usò la tecnica del rope-a-dope, che vuol dire “prendi al laccio l’imbecille”. Ali fu bravissimo: mi ubriacò prima con la sua bocca, diceva delle cose che mi mandavano fuori di testa» • All’ottavo round Alì tira il pugno decisivo. Foreman finisce al tappeto per la prima volta • «Alì aveva dalla sua gli dei della foresta e della savana. Non ho molto capito quell’incontro. Di Foreman non ho veduto un uppercut che è uno. Pareva che l’avessero stregato, che un filtro misterioso ne avesse improvvisamente ottenebrato le facoltà mentali» (Gianni Brera, la Repubblica, 1/7/1988) • Urla al mondo: «Sono stato drogato, mi hanno avvelenato» • «Come fu il suo dopo? “Terribile. Peggio di un funerale. Tutto che quello che volevo e avevo non c’era più. Essere campione del mondo era l’unica mia identità e ora non ero più nessuno. Ero senza pace. Andai a Parigi, provai con il sesso, con le donne. Comprai tigri, leoni, ville, sfarzo, ma non funzionò. Tornai a casa per scoprire che anche mio zio e mio cugino mi avevano puntato contro. La mia famiglia aveva scommesso contro di me. L’attore Bob Hope, che prima mi aveva invitato in molte trasmissioni, fece finta di non conoscermi e non mi chiamò più. Mi accorsi di essere inviso. Comprai una Rolls, perché mi seccava rientrare nel mio quartiere senza gloria. Ma il colpo più duro me lo diede mia sorella Gloria: ‘Non ti sei accorto che sei diverso da noi?’ Le chiesi in che senso. ‘Non ci assomigli perché il tuo padre biologico è un altro. Si chiama Leroy Morehood, è un veterano di guerra’. Andai a conoscere il mio vero papà, giusto in tempo prima che morisse”. Non c’è mai stata la rivincita con Ali. “La volevo, eccome se la volevo. L’ho inseguita per anni. Ma Ali non me l’ha mai data. [...]”. Nel ‘77 lei ha avuto una visione. “Sì, Dio mi è apparso. In uno spogliatoio di Portorico, avevo appena perso ai punti con Jimmy Young. La mia testa perdeva sangue. Sono morto e risorto. Mi sono messo a baciare tutti sulla bocca, pensavano che non ci fossi più con la testa” Allucinazioni per forte disidratazione, disse il medico. “Dio mi dava la pace e mi indicava la strada. Bisognava avere fede. L’ho avuta e mi sono messo a predicare. Ho venduto la Rolls, la villa a Beverly Hills, ho regalato le mie quindici tv, ho aperto una casa per la gioventù, mi sono preso cura dei ragazzi. E ho lasciato la boxe. Preferivo il titolo di reverendo”» (Audisio 2014) • «In quel momento ho capito quale era la via da seguire» • Foreman lascia perdere i pugni, fonda una sua chiesa a Houston e si fa predicatore. Gira sulla sua vecchia Ford Fiesta, predica tre volte al giorno, mangia cheeseburger e panini al pesce fritto. «Ero felice» • «La missione: cercare di dissuadere il maggior numero di persone dal vendere l’anima al diavolo. Ci volevano soldi, però. Molti. Così dieci anni dopo, ormai trentottenne, s’improvvisò pugile un’altra volta» • «Avevo contro tutti. Dicevano che ero troppo vecchio, lento, grasso. Come un destino all’incontrario ho rivissuto il match con Ali, ma stavolta nei suoi panni c’ero io. Invece nel ’94 batto Michael Moorer, che poteva essere mio figlio, e divento campione mondiale dei massimi. Venti anni dopo Kinshasa. Indossavo gli stessi calzoncini di velluto rosso di allora. È stato bellissimo. Avevo più grazia, ero meno animale, più consapevole. Come se avessi imparato da Ali a ballare un po’ anch’io. Mi sono inginocchiato, ho pregato, ho pensato a quella notte africana che mi aveva fatto soffrire così tanto. Non esisteva più, tutto quel dolore per niente. Era stata solo una grande occasione che io non avevo capito» • L’anno dopo, a Las Vegas incontra tale Leon Dreimann, uno che commercia in prodotti da cucina, e deve fare pubblicità a una griglia per cuocere cheeseburger. Gli chiede se vuole dargli una mano. «Alla fiera dove Foreman si presenta, arrivano in duecento ad ascoltarlo, lui parla per tre ore e mezza, nessuno se ne vuole andare. Il giorno dopo, pure: tutti vogliono l´autografo. Foreman non è più quel fesso, finito ai piedi di Alì. Ma un venditore eccezionale. […] avrà il 45% degli introiti. E finisce a fare dimostrazioni da Macy´s, celebre grande magazzino di New York, non sul ring, ma in cucina: a fare grigliate con il figlio. Per convincere meglio il cliente, Foreman si mette a mangiare in diretta. Un successone, in tutti i sensi. I suoi conti mensili cominciano a salire: da 5 a 100 mila dollari. Il giorno in cui perde ai punti con Shannon Briggs nel ’97 è contento lo stesso, ha appena guadagnato una percentuale di 1 milione di dollari. Dreimann gli offre di comprare il suo nome, per 137 milioni di dollari» (Audisio 2004) • «Gli bastò andare in tv e mangiare le polpette di macinata appena arrostite su un grill Salton per far saltare il banco. In pochi mesi quel forno prese il suo nome, “George Foreman Grill”, e vendette cinquanta milioni di pezzi in tutta America con un fatturato di due miliardi di dollari. […] aveva svoltato. Conti alla mano, racconta di aver guadagnato in pochi anni da testimonial duecentoquaranta milioni di dollari che fanno quasi scomparire gli oltre ottanta messi assieme nella quasi ventennale carriera da pugile» (Massimo Lopes Pegna, Gazzetta dello Sport, 7/9/2004).
Vita privata Ha avuto cinque mogli e dodici figli, cinque maschi e sette femmine (anche se due di loro sono adottive) • La moglie attuale si chiama Mary Joan, sono sposati dal 1985 • I suoi cinque maschi si chiamano tutti George. Ciascuno di loro ha un soprannome, sicché George II è «Junior», George III è «Monk», George IV è «Big Wheel», George V è «Red» e George VI è «Little Joey» • «Anni fa scherzando dissi che era più comodo per quando avrei perso la memoria, in realtà credo sia dovuto al trauma di aver saputo che mio padre era un altro. Voglio che non abbiano dubbi, è sempre Big George ad averli generati» (alla Audisio 2014) • La figlia Freeda Foreman si è suicidata impiccandosi nel 2019. Aveva 42 anni.
Cheeseburger «Cibo da povero, quale era da ragazzino. Bombe di colesterolo, non proprio la pietanza ideale di un atleta. Se ne ingozzava, come un pozzo senza fondo. Fino a diventarne un esperto: conosceva pregi e difetti dei cheeseburger di ogni fast-food, una volta, alla vigilia della sfida con Evander Holyfield, si divertì a ordinarli nella sua speciale classifica, roba da autentico intenditore, se non da vero gourmet» (Ivo Romano, La Stampa, 10/4/2014).
Curiosità È nonno e bisnonno • Ha 181 mila seguaci su Twitter e 82 mila su Instagram • È il più vecchio detentore del titolo di campione del mondo dei pesi massimi di sempre • Oggi la sua stretta di mano è indebolita, a chi lo incontra batte il cinque o dà un abbraccio • È stato uno degli allenatori di Contender, il reality sul pugilato pensato da Sylvester Stallone • Anche Rocky Balboa del 2006, sesto episodio della saga, in cui Rocky ormai cinquantenne torna sul ring, è ispirato alla sua storia • «Non parla bene di Tyson. “Se ha fatto qualcosa per la boxe? Io dico che la boxe ha fatto tanto per lui”» (Betti) • Ha pubblicato un cd di canti religiosi • Ha 28 automobili, colleziona orologi, fino al 2018 è stato commentatore sportivo per la Hbo, ha anche un jet privato • Amico di Donald Trump, ha votato per lui nel 2016 • Ha fatto pubblicità anche per la Pepsi, i panini McDonald’s e le Doritos, patatine fritte fatte con farina di granoturco. Tra i giovani, in America, è quasi più famoso per le apparizioni in tv che non come pugile • Quando, nel 1996, il film Quando eravamo re fu premiato con l’Oscar per il miglior documentario, Foreman ha aiutato Mohammed Alì, ormai malato di Parkison, a salire i gradini del palco. Per lui non prova rancore, anzi. «Quella notte era un’alba che ci apriva un grande futuro. Per questo gli voglio bene. Non è più un nemico. Condannandomi, mi ha fatto rinascere. Non rinnego quel Foreman pieno di odio e di rabbia, è un altro me, ma mi trovo meglio ora» (Audisio 2014) • «La vita è divertente. Sono un predicatore, sono un evangelista, un venditore di griglie» • «L’Africa non ha più avuto una notte così. “Nemmeno io. E forse nemmeno il secolo”» (Audisio 2014).
Titoli di coda «Nella mia carriera ho una sola sconfitta per ko. Quella. In ottantuno incontri sono stato dominato solo una volta. Quella. È stata la mia salvezza».