La Stampa, 9 gennaio 2020
Il documentario di Herzog su Gorbaciov
Le biografie non sono un buon terreno su cui fare cinema, di solito non funzionano. Per questo non ho mai realizzato una vera e propria biografia di qualcuno» premette Werner Herzog. Il regista tedesco che ha raccontato in cinquant’anni vite di uomini non illustri e volti noti ridefinendo il significato di biopic, aggiunge: «Nemmeno questa volta si tratta di una biografia». Il documentario Herzog incontra Gorbaciov (al cinema il 19, 20, 21, 22 gennaio, distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection), co-diretto da André Singer, è piuttosto un colloquio, a più riprese, tra il maestro del cinema tedesco e una figura chiave del Novecento. Uno stream of consciousness in forma di domanda e risposta, uno sguardo sulla storia tra aneddoti e interrogativi insoluti.
«Bravo soldato»
«Incontrare Gorbaciov è stato speciale, l’ho sempre ammirato per il suo ruolo nella riunificazione della Germania. A parte questo, è la figura più grande del Ventesimo secolo. Non ci sono altri del suo calibro. Ed è ancora vivo, ha 88 anni. È malato, ma è un bravo soldato che combatte per la sua salute». Il regista tedesco si trova faccia a faccia con l’uomo, a Mosca, ancora sofferente per gli orizzonti sfumati- uno su tutti l’accordo con Reagan sul messa al bando degli esperimenti nucleari - e le precarie condizioni di salute. «C’erano limitazioni di tempo durante le interviste perché Gorbaciov non si stancasse. Ogni volta lo portavano dall’ospedale davanti alla mia telecamera, il pubblico non lo vede. In una delle conversazioni si vede una mano fasciata, aveva un catetere venoso, e la benda serviva a coprirlo».
L’infanzia
Mikhail Gorbaciov parla lentamente, ricordando il passato - l’infanzia rurale, il trionfo nelle file del partito, l’elezione a Segretario Generale del PCUS, gli incontri istituzionali con Margaret Thatcher- si ferma spesso per prendere fiato. «Volevo guardare dentro l’anima dell’uomo, non solo agli eventi storici che ha messo in moto. Proprio per questo è stato uno scambio di opinioni molto intenso…» dice Herzog in una sorta di dichiarazione d’intenti.
Dagli esordi in politica-«all’ultimo anno scolastico» rivela sorridendo Gorbaciov- ai primi passi verso il disgelo, passando per le promesse della Perestrojka e del Glasnost, la storia è una lucida analisi che procede per memorie e impercettibili dettagli. «Avevo letto i diari di Gorbaciov, la sua biografia, persino le conversazioni finora segrete del Soviet Supremo, ora rese pubbliche. Avevo parlato con uno scrittore americano che lo conosce da decenni. Ero ben preparato ma non avevo una lista di domande, semplicemente ci parlavamo e cercavamo di interpretare l’uno quello che sentiva l’altro».
La spontaneità si coglie nei retroscena: un aneddoto d’infanzia che stupisce Herzog, la tensione palpabile tra i due quando, in riferimento a Chernobyl, Herzog pone l’accento «sull’incompetenza dilagante del sistema» e sul ritardo nell’aver compreso cosa stesse accadendo. E ancora «sincera è la commozione di Gorbaciov quando ricorda la voce e il profumo della moglie, la confidente e compagna di vita Raissa», scomparsa nel 1999, mentre lui posa, ormai solo e anziano, accanto a un ritratto in bianco e nero di lei.
I samurai
Herzog cita il Dio del momento giusto dei Greci, Kairos, racconta la sfera privata, si interroga sulla politica- strategia o capacità di fiutare il presente?- si pone il dilemma dell’inevitabilità della fine dell’URSS. Cosa non è stato incluso nella narrazione? Ci sono domande lasciate ai margini? «Avrei voluto parlare del Giappone del 1603, quando i samurai rinunciarono alle armi da fuoco. Si tratta di una battaglia molto ben documentata in cui combatterono 180.000 samurai, 60.000 di loro avevano armi da fuoco e decisero di rinunciarvi - confida - . C’è un legame intrinseco tra le armi da fuoco e le armi nucleari, e sul perché non riusciamo a sbarazzarcene».
I silenzi
Il rischio delle armi nucleari, tema caldo a cui la politica non riesce a porre rimedio, è presente nel documentario. «Mi chiedo che cos’è che rende l’uso delle armi atomiche così durevole?» si interroga Herzog. E’, però, uno dei rari casi in cui affiorano i nodi del presente. L’attualità rimane sempre in secondo piano. «C’erano delle limitazioni per quanto riguarda i contenuti durante le interviste- conclude Herzog -. D’altra parte, non potevo parlare con lui di idee completamente nuove. Non ha voluto parlare dell’attuale situazione politica. Non ha voluto parlare di Donald Trump, né di Vladimir Putin, né della Brexit… Era qualcosa che lui non voleva fare, e io l’ho rispettato».