la Repubblica, 9 gennaio 2020
Biografia di Niels Bohr, il rivale di Einstein
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COPENAGHEN Una cosa che non dice è che era appassionato di calcio, ma che considerava quella di fisico una carriera vagamente più sicura. La guida che ci accoglie nello studio di Niels Bohr – siamo solo in due, timidi visitatori mattutini – mette le mani avanti: non fate domande difficili sulla fisica. Per carità! Del padre della meccanica quantistica fornisce un’immagine rassicurante, ordinaria. Non ho il coraggio di chiedere se piuttosto risponde al vero la leggenda dell’uomo generoso quanto ossessivo; e mentre filtra una luce grigia dai finestroni dell’aula con la lavagna a muro, ho l’impressione che il professor Bohr potrebbe rientrare da un momento all’altro. Che tra poco riprenderà in mano il gessetto e porterà a termine una lunga equazione. Quando si sveglia negli anni Venti, Bohr è preso anche da questioni di architettura. Dà indicazioni precise sulla struttura di questo istituto di fisica teorica al 17 di Blegdamsvej, che allora era in costruzione: disegna le stanze, arriva al mattino, dopo un’ennesima notte passata in bianco tra crisi d’asma e pensieri faticosi, con nuove indicazioni. Se finisce per immischiarsi in affari di edilizia è perché sa che vorrebbe trasformare questo luogo nella sua casa-bottega (e in effetti avrà residenza qui con moglie e prole). Il momento dell’inaugurazione arriva nel 1921. L’anno prima, a Berlino, Bohr aveva avuto il primo vero confronto con Albert Einstein. La guida danese lo racconta sorridendo in modo ambiguo, e indica su uno scaffale un calco in gesso del testone capelluto del genio tedesco. «Se Bohr fosse vivo, questa piccola statua non sarebbe qui. Ovviamente». D’altra parte, i rapporti fra i due furono spigolosi al punto da finire quasi in proverbio, grazie alla stizzita – e notissima – esclamazione di Einstein, «Dio non gioca a dadi!».
Bohr, che era più giovane del rivale, lo trattò con molto riguardo, riconoscendo per lettera quanto fosse stato stimolante «avere la tanto attesa opportunità di ascoltare direttamente e dal vivo» le opinioni di Einstein «sulle domande che mi assillano e su cui lavoro da tempo in completa solitudine». Ma sui “quanti di luce”, mettiamo, quelli che poi avremmo chiamato fotoni, avevano posizioni inconciliabili: Einstein li difende («Solo uno sciocco può negarne l’esistenza!»), ed è proprio Bohr uno dei più accesi contestatori. Almeno finché ad Einstein arriva il Nobel, nel ’21: non che Bohr (a cui il riconoscimento tocca l’anno dopo) faccia a quel punto marcia indietro, ma almeno si decide a riaprire il cantiere sulla questione. Tanto più che alla sua scuola si affacciano, anche da oltreoceano, menti brillantissime capaci di mettere in discussione il maestro.
Copenaghen, nel cuore degli anni Venti, diventa una piccola, imprescindibile capitale della fisica. E dell’intelligenza. La tappa obbligata di chiunque avesse intenzione di provare a scoprire qualcosa. Così, davanti a una finestra affacciata sulla strada, mentre sfioro la piccola ordinatissima scrivania di Niels Bohr, domando alla nostra guida chi siano i visitatori di questo istituto. «Pochi danesi», risponde. «Molti orientali». Perlopiù fisici? Insisto. «No, anche gente come me che di fisica sa poco e lavora sugli appunti di Bohr, compresi quelli più indigesti, ma trova affascinante che ci sia qualcuno che vede qualcosa in più degli altri. O ciò che nessuno vede».
Curioso è che proprio a Bohr venga attribuita la seguente frase: «È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro». Forse non è sua, dicono fonti comunque incerte, che la attribuiscono alternamente a un poeta, comunque danese, e a un disegnatore, altrettanto danese. Buffo, mi dico passeggiando per il quartiere Østerbro, con la sua eleganza sempre un po’ distaccata e fuori tempo. O forse no, non è nemmeno troppo buffo: Copenaghen non prevede il futuro, prova a metterlo in piedi. Il climate plan cittadino è ambizioso. L’intenzione è quella di diventare, entro la metà del decennio appena iniziato, la prima città al mondo a emissioni zero. C’è un ufficio comunale specifico dedicato alla decarbonizzazione. La ricetta? Investire ancora sulle energie rinnovabili, sull’eolico, sulla combustione dei rifiuti, sui tragitti a due ruote, sulla rete dei trasporti pubblici. Detta così, sembra semplice. Non lo è. Tutto uno può aspettarsi, ma è difficile che gli venga in mente che un termovalorizzatore possa essere nobilitato da una pista da sci. A Copenaghen accade anche questo.
L’impianto di Amager Bakke- CopenHill smaltisce circa 400mila tonnellate di rifiuti all’anno e la sua ciminiera pare sputi solo purissimo vapore acqueo. L’espressione che tutto riassume è “sostenibilità edonistica”: porsi l’obiettivo della neutralità climatica non dev’essere solo un sacrificio. Bisogna costruire un nuovo stile di vita, o così sostiene l’anti-archistar danese Bjarke Ingels: e che non sia mortificante ma attrattivo. Desiderabile. Pattinare su una pista da sci costruita su un termovalorizzatore lo è? Sarebbe divertente chiederlo a Niels Bohr, appassionato camminatore di montagna. Me lo vedo scendere a razzo sulla neve, compiaciuto, senza prevedere nessun futuro, perché il futuro è arrivato, è lì – e lui ci sta sciando sopra.