la Repubblica, 9 gennaio 2020
Migranti, i bandi per i centri vanno deserti
Keyla ha 22 anni e un bimbo di 2 anni e mezzo figlio di stupro ma nato a Parma dove la sua mamma, in fuga dalla Guinea e vittima di tratta, è arrivata con il pancione. Il piccolo va al nido, lei ha imparato l’italiano, ha preso la licenza media e ora frequenta un corso di operatore sociosanitario, tutte attività che però dovrà lasciare insieme all’appartamentino dello Sprar gestito dalla Ciac onlus per finire in un centro di accoglienza straordinario dove non potrà fare assolutamente nulla se non attendere l’esito della sua richiesta d’asilo. Perché così prevede quel decreto sicurezza che, nel giro di un anno e mezzo, ha di fatto smantellato il sistema di accoglienza diffuso nei comuni privando migliaia di richiedenti asilo e di titolari di protezione umanitaria di un percorso di integrazione.
È questo il motivo per cui la quasi totalità delle associazioni e delle cooperative del terzo settore ormai da più di un anno disertano i bandi delle prefetture che, con le nuove tariffe (scese da 35 a 21 euro a persona) ma soprattutto con le nuove regole, faticano a trovare gestori per i centri di accoglienza. Circa la metà dei posti messi a bando dalle prefetture – dice un rapporto di Actionaid e Openpolis – è andato finora deserto e sono decine i ricorsi al Tar soprattutto nelle regioni del centro nord. E si stima che già almeno cinquemila posti di lavoro di operatori del terzo settore siano andati persi. Mentre si fanno avanti, ormai numerosi, gruppi immobiliari o alberghieri che – in grado di fare economia di scala – partecipano e si aggiudicano le gare, comprando appartamenti e strutture dedicate, mettendo a reddito villaggi turistici e pensioni, disponibili ad una gestione “economica” del vitto e alloggio ai migranti. Insomma (andando paradossalmente in direzione contraria a quanto affermato da Salvini) la strada intrapresa è quella di un ritorno ai centri di accoglienza straordinari dove i migranti trascorreranno un lungo periodo ( quello dell’attesa dell’esito delle loro richieste d’asilo) senza poter usufruire di alcun percorso di integrazione, nè studiare, nè tantomeno lavorare.
Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte ma anche Puglia le regioni dove “L’errore di sistema” (così si chiama il rapporto) è più macroscopico. E, ulteriore perverso effetto di quei decreti sicurezza che il governo dice di voler (solo parzialmente e comunque in nessuna di queste voci) modificare, si intreccia dal 31 dicembre con la prevista uscita dai centri di seconda accoglienza ( gli ex Sprar) di migliaia di richiedenti asilo e di titolari di protezione umanitaria. Nonostante il Viminale abbia annunciato una proroga di sei mesi dei progetti che li riguardano, garantendo che nessuno sarà messo per strada, molte prefetture – come ad esempio a Parma – stanno già predisponendo i trasferimenti forzati dalle piccole strutture dei Comuni ai centri di accoglienza, trasformati in dormitori, vitto e alloggio e niente altro. «Noi non lasceremo andare via nessuno, ci opporremo con ogni mezzo ad ogni trasferimento forzato – dice Michele Rossi, dir ettore del Ciac di Parma – Un atto amministrativo non può interrompere percorsi di vita e di integrazione».
«Questo è l’orrore di quei decreti sicurezza. Non vano corretti, vanno abrogati», dice il deputato Pd Matteo Orfini. Ma la modifica di queste norme non è neanche all’ordine del giorno.