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 2020  gennaio 09 Giovedì calendario

Intervista a Renato Pozzetto

Di fronte ai quasi 35 milioni per Checco Zalone, che con il suo primo film da regista Tolo Tolo macina un record dopo l’altro, c’è chi non si scompone. Renato Pozzetto, per esempio. Lui, che tra il 1984 e il 1985 (gli anni di Troisi e C’era una volta in America) con due film, Lui è peggio di me e Il ragazzo di campagna, fece i migliori incassi della stagione. Lui, che ancora oggi in tv batte i record con Il ragazzo di campagna (il film più visto dello scorso 2 gennaio). Lui, che con Mollo tutto nel 1995 anticipò il grande tema di Tolo Tolo: un imprenditore che scappa in Africa per rifarsi una vita. Renato Pozzetto, 80 anni a luglio, di fronte al successo di Zalone sorride sornione. «La ruota gira dice, reduce da un pranzo di Natale da 50 persone ogni epoca ha il suo Pozzetto».
Zalone è il nuovo Pozzetto?
«Mi fa sorridere l’idea. Io sono stato fortunato: se un collega lo è altrettanto mi fa piacere. In comune abbiamo il fatto di essere osannati dai giovani. E disprezzati da una parte della critica».
Ma a lei Zalone piace?
«Il film non l’ho visto. Spesso i nuovi comici sono lontani dall’umorismo che mi appartiene. Ma non mi faccia fare il maestrino».
Zalone è politico. Lei lo è mai stato?
«Ho fatto il 68, come tanti. Ma la visione politica si può modificare nel tempo».
Perché non fa più film?
«Ne ho fatti 70, non posso lamentarmi. Con il tempo i ruoli diminuiscono. Amavo raccontare i rapporti tra uomini e donne, a questa età non sarei più credibile. Non è che si può fare il cinema fino alla morte».
E il sequel de Il ragazzo di campagna, il suo Una mucca in paradiso?
«L’idea c’è, non trovo entusiasmo nelle produzioni. Nessuno me lo fa fare».
Pensa di aver fatto passi falsi?
«Il passo falso si fa sempre. In passato mi hanno chiesto di fare cose che non condividevo, o di lavorare con persone che non volevo. Ho detto molti no. A un certo punto a me e Cochi offrivano solo film che scimmiottavano il passato: i due carabinieri, il prete e il sindaco, tutte cose già viste. Forse un passo falso fu fare il primo film: avevo i miei amici, facevo teatro con loro, stavo bene. Chi me lo fece fare?».
Già, chi?
«Nel 1974 Flavio Mogherini mi offrì una commedia, Per amare Ofelia. Chiesi il permesso di partire ai colleghi con cui facevo cabaret. Feci leggere il copione a Jannacci. Mi disse che era una cagata. Cochi mi suggerì di seguire l’istinto. Morale: partii da solo con una valigia di cartone, tornai con un bel po’ di soldi. E un premio David».
Il primo e l’ultimo. Non ha mai vinto neanche un premio alla carriera.
«Le spiego qual è il mio rapporto con i premi. Quando nel 1997 morì mia madre, andai con i miei fratelli a sistemare la casa sul Lago Maggiore. Rimettendo a posto le cose, tra gli scatoloni, ho ritrovato quel David. Me ne ero dimenticato».
Con Cochi siete ancora amici?
«Ci sentiamo e torneremo a teatro con uno spettacolo sulle nostre vite. Amici nel cinema ne ho avuti pochi. Paolo Villaggio. Lino Toffolo. Marcello Mastroianni: mi ricordo che quando andavo in giro con lui lo fermavano tutti. Una volta un pullman di turiste giapponesi inchiodò per fotografarlo. Un’altra, in motoscafo, passammo davanti a una fabbrica di cappelli: le operaie si buttarono in acqua per salutarlo».
È vero che Fellini era un suo ammiratore?
«Lo incontrai una volta, a Ostia, mentre pranzavo con De Laurentiis padre. Si alzò, venne a farmi i complimenti».
E Pozzetto pilota? Ha fatto la Parigi Dakar.
«Tre volte. Due volte in auto e una un camion. Dodicimila chilometri, dalle 10 alle 15 al volante. Una volta mi si è rotta la macchina in mezzo al deserto. Sono rimasto un giorno e una notte ad aspettare i soccorritori».
A Sanremo andrà anche quest’anno?
«Ci sono stato l’anno scorso per un omaggio. Ma del Festival a me non frega assolutamente nulla».