ItaliaOggi, 9 gennaio 2020
Periscopio
Non vedo un futuro per la sinistra italiana se si ostinerà a essere il partito dei mercati finanziari e dei governi stranieri, in nome di un europeismo beffato proprio da tedeschi e francesi. Federico Rampini, La notte della sinistra. Mondadori, 2019.
Giuseppe Conte, in quest’anno da lui definito bellissimo, forse per lui e per la sua famiglia, si è cimentato in capriole politiche da acrobata di Moira Orfei. Renato Farina. Libero.
Salvini bacia il rosario, è vero. Potrebbe anche fare la via Crucis o travestirsi da Padre Pio. Come spottone elettorale forse gli andrebbe bene. Sergio Staino, disegnatore satirico, creatore di Bobo (Antonio Gnoli). la Repubblica.
I giornalisti sono tutti matti, sennò farebbero un altro mestiere. Guglielmo Zucconi, Il cherubino. Camunia, 1991.
L’SS che canta un «happy birthday to you» (tutto intero) e poi finge di soffiare sulle candeline della torta. Alberto Arbasino, Super-Eliogabalo. Einaudi, 1969.
Instagram social ha un’impennata di «mi piace» verso sera perché tutti postano foto di paesaggi al calar del sole. Paolo Landi, esperto di comunicazione e di web (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Sul tema delle droghe, pesanti o leggere, La Russa ha sempre avuto una posizione netta («Io sottoporrei tutti i parlamentari al test del capello») pure se adesso il più piccolo dei suoi tre figli, Leonardo Apache (gli altri sono Antonino Geronimo e Lorenzo Cochis), fa il rapper, si fa chiamare Larus e canta «sono tutto fatto». «Ma si capisce che canta e basta», spiega La Russa senior, «e che è un bravo ragazzo!». Ignazio La Russa, vicepresidente del Senato (Fabrizio Roncone). Corsera.
Il contesto: la Milano del Salone del Mobile, il gran sabba dei prosecchi e dell’autostima lombarda. La Milano di oggi è tornata – banalità – da bere, e i brindisi hanno l’epicentro in Triennale, in questo augusto palazzotto progettato dall’architetto Giovanni Muzio negli anni Trenta. Lì non solo si è aperto, con gran frinir di bandiere e tutto il governo al completo, il primo e unico museo del design italiano, ma si è pure celebrato il party più cool del Salone, il «confusion party» con la Boschi che danzava, confusa e felice, in una Oktoberfest con würstel e dj set, tra stilisti e influencer. Con sponsor, giustamente, Ramazzotti (Milano da bere, in purezza). Michele Masneri. Il Foglio.
I cinque edifici della nuova Bocconi comprendono una residenza per studenti da 300 posti letto, due sale conferenze (fra cui l’auditorium intitolato a Michele Ferrero) e la nuova sede della Sda School of management, presentano requisiti d’avanguardia in termini di efficienza e sostenibilità ambientale; il complesso è stato progettato aperto alla città con il parco di 17 mila metri quadrati e il centro sportivo polifunzionale: due piscine, di cui una olimpionica, area fitness, un campo di basket e pallavolo, tribune, servizi vari di ristorazione. Sergio Bocconi. Corsera.
Il rapporto con Siri fu sempre assai conflittuale. Il porporato era considerato un conservatore fra i più retrivi. Venuto a sapere che il giovane Giulio Anselmi leggeva L’Espresso, ne fu addolorato come se lo avesse scoperto a trastullarsi con le rivistine porno. Vietò al quasi figlioccio, nel frattempo fattosi giovanotto, di comprarsi l’automobile e persino il televisore. I due si riconciliarono soltanto dopo che l’arcivescovo rinunciò al governo della diocesi di Genova per raggiunti limiti di età. Anselmi andò a salutarlo. Lo trovò con uno scialletto sulle spalle, tipo la mamma mummificata di Norman Bates in Psyco. «Sua eminenza non è più la stessa persona, credo che non preghi nemmeno più», gli confidò il vecchio Ugo, che era stato per una vita l’autista di Siri. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, I Buoni e i cattivi. Marsilio, 2014.
L’unità politica del 1861 ha senz’altro migliorato le cose sul piano dell’italiano moderno. Intanto, ha dato voce all’addormentato Meridione, con vette come Giovanni Verga e Luigi Capuana, sia pure complicando il quadro delle differenze. Alla fine, però, unificazione scolastica e martellamento tv ci hanno resi, vivaddio, simil parlanti. Giancarlo Perna. LaVerità.
All’inizio del Risorgimento, Torino e Milano erano due medie città europee di circa 140 mila abitanti, molto più piccole di Napoli. Milano aveva ed era destinata ad avere un immenso prestigio culturale: fulcro dell’illuminismo italiano, città natale e d’adozione dei due artisti più importanti dell’Ottocento, autori del romanzo e delle opere fondativi dell’unità nazionale: Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi (i due si stimavano moltissimo e il loro incontro fu commovente). Torino però era la capitale di uno Stato piccolo ma fiero e indipendente, l’unico ad avere una tradizione militare, un arsenale, un esercito, e un genio come Cavour. Milano era occupata dalle truppe austriache, spesso violente, come quando stroncarono a schioppettate e sciabolate lo sciopero del fumo (ma che furono sconfitte dal popolo in armi nelle Cinque Giornate). Aldo Cazzullo. Corsera.
Alla fine della guerra 1915-18 l’Italia vittoriosa (dopo una piroetta, va ricordato, con cambio di alleanza al volo) venne ricompensata con la restituzione delle terre irredente, cioè Trento e Trieste. Col trattato di Saint Germain arrivò anche la mancia per aver mollato sul più bello la Triplice alleanza con Germania e Austria: la mancia era l’Alto Adige. Fino a quel momento, a nessun irredentista italiano era mai venuto in mente di avanzare pretese anche su Bolzano e il Tirolo meridionale. E per forza, viene da dire, essendo assodato che in quelle vallate di italiano non ci fosse nulla da riprendersi, se non una sparuta presenza di italotirolesi, sotto il 10%. La geopolitica può essere più forte della storia e della geografia: e fu così che il confine attraversò il Südtirol, fino al Brennero e lo inglobò nel Regno d’Italia. Maurizio Pilotti. Libertà.
Esiste a Napoli un passaggio coperto chiamato Galleria Umberto I. È una via di mezzo fra una stazione ferroviaria e una chiesa. Senza i bar e le botteghe avreste l’impressione di trovarvi in un museo. Una volta, questa galleria aveva una cupola a vetri ma i bombardamenti americani di Napoli hanno infranto la cupola e il vetro è caduto sul pavimento tintinnando come neve crudele. Eppure la vita nella Galleria era andata avanti. Nell’agosto del 1944 era il cuore vero, anche se non riconosciuto, di Napoli, un centro di attività sempre pieno di vermouth, di soldati alleati e di italiani. John Horne Burns, La Galleria - Un americano a Napoli. Baldini & Castoldi. 1997
Com’è difficile credere in Dio ma anche com’è difficile non credergli. Roberto Gervaso. Il Giornale.