La Stampa, 8 gennaio 2020
L’economia degli abbonamenti
Dagli abiti alle auto, dagli smartphone al software: è l’economia dell’abbonamento. Il modello è quello di Netflix o di Spotify, dove un canone mensile, di solito piuttosto basso, consente di accedere a vari contenuti digitali, ma qui gli oggetti si noleggiano o si acquistano.
Un flusso costante
Il sito Rent The Runway affitta abiti, ad esempio. Bastano 99 dollari (che diventano 159 dopo il primo mese di prova), e si possono prendere in prestito quattro capi firmati da tenere senza limiti di tempo, e scambiare quando si vuole. Il guardaroba è di alto livello, con una scelta tra oltre 15 mila pezzi di 650 stilisti. Menguin è l’equivalente maschile, per le occasioni più formali: si paga un piccolo abbonamento, e in cambio è possibile scegliere tra smoking e abiti da cerimonia, con tutti gli accessori, dalla cravatta alle calze; anche questo funziona solo negli Stati Uniti. In Italia Quomi, offre in abbonamento piatti gourmet, recapitati direttamente a casa: si può optare per il piano coppia o per quello famiglia, personalizzare gusti e preferenze, poi basta seguire le istruzioni e cucinare. Nutribees invece consegna piatti già pronti.
Per gli appassionati di musica, servizi come Vinyl Me, Please o Flying Vinyl recapitano ogni mese ellepì e 45 giri scelti sulla base dei gusti musicali dell’abbonato. Il vantaggio per le aziende è evidente: non vendono una sola volta il loro prodotto a un cliente più o meno occasionale, ma possono contare su introiti stabili, prolungati nel tempo e relativamente sicuri. Si instaura un rapporto nuovo con il consumatore, dove la fiducia gioca un ruolo primario. Non è importante tanto il prodotto o la transazione, quanto la capacità di concentrarsi sul cliente, offrendogli ascolto e attenzione costante.
La fedeltà premiata
Un esempio è Amazon, con Prime, che include servizi come musica e video gratuiti, spedizioni veloci e altri vantaggi. Jeff Bezos ha anche declinato la subscription economy in molti altri modi: la musica in streaming, come Spotify, appunto, oppure gli eBook: con Kindle Unlimited è possibile scegliere tra un milione di libri e leggerne a volontà, pagando 9,99 euro al mese. Ma attenzione: non è possibile prenderne in prestito più di dieci alla volta, un po’ come nelle vere biblioteche.
Microsoft, Adobe e altre aziende che vendono software hanno trovato negli abbonamenti il modo di conquistare una clientela fedele, e allo stesso tempo di sconfiggere la pirateria: oggi il prezzo per usare Office e Photoshop è alla portata di tutti, e non c’è bisogno di setacciare il web alla ricerca di copie craccate. Il problema, semmai, è che la somma di tanti piccoli abbonamenti alla fine dell’anno si traduce per chi li usa in un impegno economico rilevante.
Apple vende meno iPhone di una volta, così a Cupertino la strategia sta cambiando. Da una parte col lancio di un Programma di aggiornamento, che è una specie di abbonamento per iPhone. In cambio di una piccola somma mensile, si può avere un iPhone e cambiarlo quando arriva il nuovo modello. Tecnicamente non si può parlare di proprietà, ma alla fine per chi lo usa, dov’è la differenza?
Dall’altra parte la priorità è sui contenuti e sui servizi in abbonamento. C’è iCloud, Apple Music, quindi - dallo scorso novembre - Apple TV+, per film e serie tv, che ha un canone di soli 4,99 euro al mese. Esiste pure Apple News, per leggere giornali e riviste ma è attivo solo in alcuni Paesi. In Italia Readly offre qualcosa del genere: 11,99 euro per decine di testate. E tuttavia, proprio perché la fiducia è così importante, giornali e organi di informazione tendono ad avere un rapporto diretto con i lettori, e non passare attraverso piattaforme di terze parti. Il New York Times, il Washington Post, e tante testate grandi e piccole, all’estero come in Italia, puntano sempre più sugli abbonamenti digitali. Non offrono solo notizie, ma contenuti esclusivi, offerte speciali, approfondimenti, incontri. E soprattutto cercano di ricostruire una relazione con i lettori, visti non come consumatori occasionali di testi, ma come parte integrante di una comunità civile e intellettuale.