Esce "Hammamet", il film di Gianni Amelio su suo padre, Bettino. L’ha visto?
«Sì, e inizialmente ho avuto uno scazzo con Amelio e la produzione, perché l’elemento romanzato prevale su quello politico. Mentre scorrevano le immagini mi dicevo continuamente "ma Bettino non parlava così". Oppure mi arrabbiavo per certi fatti non veritieri».
È un film.
«Me ne sono fatto una ragione. C’è un elemento di libertà dell’artista che non può essere sindacato da nessuno. Credo che Amelio avesse in mente la stessa operazione che fece Carlo Lizzani sugli ultimi giorni di Mussolini. Ricordo che mio padre mi portò a vederlo, ero bambino, mi fece grande impressione perché si apre con l’immagine del vilipendio del cadavere del Duce».
Favino l’ha convinta?
«In certe pose è in stato di grazia».
Craxi per vent’anni è stato dimenticato. Ora "Hammamet" non riapre almeno un dibattito?
«Sì, anche se poi non analizza le ragioni profonde su cosa accadde in Italia dopo la fine della Guerra fredda».
Cosa accadde?
«Bisognava ristabilire un nuovo ordine, in economia e in politica. E mio padre si rifiutò di guidare una rivolta nazional-capitalistica del sistema, perché come disse in un famoso discorso al congresso socialista di Bari, citando Ugo La Malfa: "Io sono un uomo del sistema". Allo stesso tempo il nuovo ordine mondiale non poteva più tollerare eccessivi elementi di autonomia nazionale. E siccome non erano più tempi di golpismo militare si scelse l’arma del golpismo giudiziario o della purificazione morale».
I magistrati come espressione di quest’ordine?
«Sì, in parte consapevolmente, in parte no».
E da chi venne l’ordine, se così si può dire?
«Da chi aveva vinto la Guerra fredda, dagli americani».
E le tangenti, per le quali Craxi venne condannato più volte?
«Erano finanziamenti illegali ai partiti. I partiti si finanziavano così».
Miliardi di tangenti solo come finanziamento politico?
«Tutto il sistema funzionava così. E quella era una democrazia poggiata sui partiti».
E non ci fu arricchimento personale?
«Mah! La mia casa a Roma è finita all’asta perché non riuscivo più a pagare il mutuo, ancora adesso sono alle prese con le tasse giudiziarie per i processi di mio padre, c’è in corso un contenzioso. Vivo facendo delle consulenze. Il politico è una nobile professione intellettuale».
La gente la riconosce per strada?
«Da qualche tempo mi ferma per esprimere rimpianto per i tempi della Prima Repubblica. Del resto cosa ha prodotto Tangentopoli? Un capitalismo liberista senza regole. Una destra populista, che è una forma rinnovata di neofascismo. Perfino il procuratore Borrelli alla fine fece autocritica sul mondo emerso dopo la sua inchiesta. Come vede, la ruota gira».
Suo padre non era simpatico.
«Ma il potere non deve esserlo».
Trova sgradevole il fatto che la prima a dare un’intervista sia stata l’ultima amante di Craxi?
«Quando Bruno Vespa l’intervistò nel 2007, mi arrabbiai moltissimo, ma feci male. Oggi mi dico: chi sei tu per esprimere dei giudizi? Anche questa fu la vita di Bettino Craxi. "La storia non ha nascondigli", per citare Francesco De Gregori».
Dov’era quando gli tirarono le monetine davanti al Raphael nel 1993?
«A Milano, nella nostra casa di via Foppa. All’indomani trovai una scritta inneggiante a Di Pietro sul muro. La nostra vità cambiò».
È più tornato al Raphael?
«Sì, la stanza di mio padre è diventata un ristorante».
E la sede del Psi di via del Corso ora ospita la Nike.
Che padre era Bettino?
«Ma i piani del partito sono della Presidenza del Consiglio, la sala delle riunioni, intitolata a Riccardo Lombardi, è rimasta».
«Non c’era. Prima veniva la politica, poi il partito, poi gli amici, e infine venivamo noi. La politica era totalizzante, non implicava vita famigliare. Non c’era fisicità. Ho due figli, una ragazza di 26 anni, e un ragazzo di 21, e ho cercato essere un padre diverso».
Era una figura ingombrante?
«Lo è ancora. Ma non era un uomo complicato, o contorto. Era cocciuto».