Corriere della Sera, 8 gennaio 2020
Intervista a Giorgio Armani
Quattro piani per 1200 metri quadrati. Portici, marmi, onici, un giardino d’inverno, un teatrino, touche screen, un salotto per il su misura, porte di platino e profili in madreperla. Eppure quando lui arriva, in un secondo, vede la lucina che non va.
Giorgio Armani, l’instancabile, non soprassiede, mai. Domani inaugura la sua rinnovata boutique in Sant’Andrea e ieri era ancora lì, a controllare. «In Montenapoleone c’erano troppi cunicoli. Qui tutto è più chiaro».
La chiarezza è il nuovo?
«Direi il nuovo modo di fare shopping. Meno stiff. Più accessibile e confidenziale. Con la volontà di aprirsi. Un approccio meno ossequioso, senza perdere in eleganza. Ci sono le cose che amo, solo rinnovate e forse meno perfette. Questa via, così intima, è oggi la più chic».
L’imperfezione non le è mai piaciuta, però.
«Ma ogni tanto bisogna rivedere le proprie posizioni».
Un passo indietro (o avanti, dipende dai punti di vista) che non riesce a fare sul controllo, vedi la luce cui sopra.
«Controllo abbastanza poco ora».
Non le crede nessuno.
«Ma rispetto a 20 anni fa tutto si è ingrandito. Non posso arrivare ovunque».
Non convince. Anche semplicemente l’idea di questa boutique. E poi l’acquisizione degli spazi in galleria Vittorio Emanuele, i progetti su Armani Exchange. Famoso, ricco, riconosciuto: potrebbe anche rilassarsi.
«Dal momento che ci sono, sono e faccio. E poi anche Bernard Arnault ambisce a Milano e se vuole lui acquisire la squadra del Milan, io posso ancora: è la mia città, qui lavoro e respiro».
Indomabile.
«Ho deciso di vivere e vivo. E questa è la mia vita, esclusivamente per il lavoro. Non esco la sera. Non mi interessa. E mi dispiace perché perdo molte occasioni. Però preferisco che parlino le cose che faccio al posto mio».
Perché «perdere»?
«Milano è ora una città importante: puoi incontrare artisti, scrittori, uomini interessanti. Vorrei sperimentarmi in settori diversi. Frequentare altri ambienti. Giudicare e farmi giudicare. Lo so, però, mi sono isolato».
Può essere la sua forza?
«Non sono un robot, dunque ho dei limiti. Ho una bella casa e non faccio fatica a restarci. Ho sempre cercato di non farmi condizionare da quello che mi sta attorno. Una difesa forse, sì».
Sicurezza di essere, anche?
«Sicurezza è una buona parola. Sentirmi sicuro di quello che faccio, di come la gente mi vede, del mio lavoro, delle mie scelte: mi gratifica. Poi c’è sempre quel punto interrogativo: farò bene o no?».
I dubbi di Armani?
«Non posso dire quali».
Uno?
«Di sparire senza danneggiare il mio lavoro e chi mi ha aiutato, il nome che ho costruito e chi lo ha creato con me. Ecco questo».
Rinnovandosi scioglie quel dubbio.
«Ma questo mi rende anche indifferente. Sordo a tante cose perché devo anche fare i conti con il tempo. Pensare un progetto Armani a dieci anni mi è impossibile, perché forse non ci sarò più: e questo è pesante. Non possono dirmi “lei vada in vacanza che il risultato lo portiamo”. Risponderei: “Andate voi in vacanza, io non ho tempo, resto a lavorare».
Sente il limite del tempo?
«Sarei stupido se non lo sentissi».
Non è quello che percepisce la gente.
«Ci penso la sera quando mi addormento e la mattina quando mi sveglio. Poi durante la giornata ho la fortuna di lavorare e di essere distratto. Qualche volta però esce fuori: “Ma tanto... e puntini e puntini”».
Per questo agisce?
«Mi difendo con il lavoro. E poi gestendo la mia persona e il rapporto con gli altri. Fa parte del gioco, ma a 85 anni non è facile. Devo dire che ho preso da mia madre: a 90 anni sembrava una signora di 50».
Se è per questo, appunto, anche lei.
«Ma purtroppo non è così. E così mi difendo, anche fisicamente. Mi curo molto: non mangio, sto attento».
Cosa si aspetta da questi 1200 metri quadrati?
«Che sia chiaro che Giorgio Armani prima linea è la gioielleria del prét-à-porter. Con tante linee spesso è stata fraintesa. Il mondo è cambiato e anche il senza tempo, che è la nuova sostenibilità, ha bisogno di essere insegnato, specie alle nuove generazioni che sono lasciate allo sbando. Dovrebbero ascoltare e noi farci ascoltare di più: non è bello solo quello che è nuovo. La moda una volta era più protetta. Oggi è abusata. Chiunque pensa di essere in grado di farla. E invece bisognerebbe setacciare un po’».
E se un cliente del «su misura» la volesse nel salottino?
«Perché no?».
E per fortuna che non controllava più «tutto».