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 2020  gennaio 06 Lunedì calendario

Chi minaccia la lingua italiana

Un individuo esteticamente differente, mentre era alternativamente lucido, ha insultato una fornitrice di cure sessuali diversamente bianca e una persona cronologicamente svantaggiata, compagn* della ministra alle pari opportunità, in passato sindaca. Finiremo per parlare così, al tempo del politicamente corretto, a causa di quell’ipocrisia linguistica che ci impedisce di chiamare le cose con il loro nome e ci impone di ricorrere a sgangherati sinonimi, assurde perifrasi, cacofonici cambi di desinenze e sostituzioni delle stesse con asterischi pur di non offendere alcune categorie sensibili. Questa prassi ormai dilagante in Occidente ha creato, come fa notare il linguista Massimo Arcangeli nel bel pamphlet Una pernacchia vi seppellirà. Contro il politicamente corretto (Castelvecchi, pp. 48, euro 6), una nuova forma di totalitarismo che da un lato inibisce la libertà di espressione, e dunque mette a repentaglio i princìpi basilari della democrazia, dall’altro offende le stesse categorie che vorrebbe proteggere. Perché definire un sordo «non udente», «ipoacusico» o «audioleso» significa privare la persona in questione di un’identità positiva, connotandola per negazione, e indicarla con un eufemismo burocratico, che attenua la realtà e crea distanza emotiva tra sé e quel soggetto. 

VOCABOLARIO POLITICO
Nondimeno il vocabolario politicamente corretto si afferma attraverso la definizione di codici di linguaggio appropriato (speech codes), avvertenze per maneggiare con cautela testi pericolosi (trigger warnings) e appelli pubblici o creazioni di commissioni per limitare il ricorso alle espressioni di odio (hate speech). Ne vengono fuori mostri linguistici, in alcuni casi già in voga, in altri in procinto di esserlo, che modificano radicalmente il nostro modo di parlare e rischiano di trasformare il nostro sguardo sulla realtà. Ormai queste espressioni bonificate e purificate non vengono destinate solo a soggetti come neri, gay, immigrati (guai a dire negro, frocio o clandestino) ma riguardano decine di categorie ritenute svantaggiate e concetti considerati scivolosi. Ecco che allora Arcangeli si sbizzarrisce nell’elencare alcune possibili nuove definizioni di termini giudicati troppo scorretti: nella neo-lingua politically correct, errato diventa «differentemente logico», brutto «esteticamente differente», pigro «deficiente a livello motivazionale», prostituta «fornitrice di cure sessuali», ubriaco «alternativamente lucido», drogato «chimicamente limitato», ignorante «non in possesso di conoscenze di base», grasso «portatore di adipe», vecchio «cronologicamente svantaggiato» o «diversamente giovane», zoppo «non deambulante», nano «verticalmente svantaggiato», disoccupato «involontariamente agiato», disabile «differentemente abile» o «specialmente normale». Questa ipocrisia tocca anche diverse professioni per cui i contadini diventano «periti agrari», gli spazzini «tecnici delle pulizie», i bidelli «collaboratori scolastici», gli infermieri «operatori sanitari», le commesse «assistenti alle vendite» e le badanti «operatrici dell’assistenza». Arcangeli va alle origini storiche e geografiche di questo fenomeno, nato negli Usa negli anni ’30 del Novecento e poi diffusosi a partire dagli anni ’60, prima con la New Left e quindi con la protesta sessantottina, e infine esploso e codificato tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 con la definizione di regolamenti verbali (speech codes) nelle università statunitensi e con la pubblicazione di un’opera manifesto, una sorta di bibbia del politicamente corretto, Words that wound, letteralmente «parole che feriscono». 

RAGIONI IDEOLOGICHE
Ma l’autore indica anche le ragioni ideologiche che hanno consentito a tale perversione linguistica di attecchire in tutto il mondo e di venire accolta come nuova frontiera di civiltà anziché essere scartata come folle tentativo di autodistruzione. Da un lato c’è la trasformazione genetica della sinistra, passata dalla difesa del proletariato alla tutela dei “diversi”, emarginati ed esclusi da un punto di vista etnico, sessuale, religioso; e quindi la sua conversione dalla storia all’etica, dalla società all’individuo, verosimilmente nella speranza di legittimarsi nuovamente e di rifarsi una verginità dopo il fallimento storico del comunismo. Dall’altro c’è l’impatto dell’americanizzazione, il «tu vuo’ fa’ l’americano» che non sta più nel ballare il rock and roll e nel fumare le Camel ma nell’adottare i tic del puritanesimo e del perbenismo a stelle e strisce. Questo combinato disposto genera le derive cui oggi assistiamo e che trovano varie forme di manifestazione. Una è l’adozione del linguaggio inclusivo del genere (gender-inclusive language) che intende riscattare la donna da secoli di sottomissione linguistica: da qui non solo il cambio di desinenze (assessora, ministra, presidenta) ma anche la volontà di sostituire espressioni come «caccia all’uomo» in «caccia all’individuo» o di usare la parola neutra «persona» al posto di «uomo» (vedi in inglese il ricorso a chairperson e spokesperson anziché a chairman e spokesman). Un altro sintomo di questa follia è il tentativo di applicare il politicamente corretto in chiave retroattiva, pentendosi per il passato schiavista, maschilista, integralista cattolico dell’Occidente e mettendo mano ad alcuni capolavori della nostra letteratura apparentemente infarciti di pregiudizi: ecco allora la censura delle opere “sessiste” di Shakespeare e di Ovidio, dei componimenti “scabrosi” di Mozart, delle tragedie “violente” di Euripide e dei versi “anti-islamici” di Dante. 

CENSURA
E ancora, imperversa la censura su qualsiasi motto o modo di dire tacciabile di essere fascista, razzista, sessista o anti-animalista: diventa così proibito dire «boia chi molla» (sebbene risalga agli insorti milanesi delle Cinque giornate), «me ne frego» (creato dagli Arditi, ben prima del fascismo), «in bocca al lupo», «chi dice donna dice danno», «sgobbare come un negro». Da ultimo, si diffonde la pratica di ripensare l’immagine di personaggi e supereroi dei fumetti, con un maquillage estetico-sessuale-morale, per cui l’Uomo Ragno assume le fattezze di un ispanico dai tratti neri, Thor diventa una donna o Wolverine smette di essere uno sciupafemmine. Le conseguenze di questo andazzo sono, nell’immediato, l’autocensura di chi sarebbe tentato di esprimersi come ha sempre fatto pur di non incorrere nella gogna mediatica e nella riprovazione pubblica; a lungo termine, il suicidio di un’intera civiltà che rimuove il proprio passato, si vergogna dei propri miti fondativi, si pente di ciò che è. E, insieme alle parole, smarrisce anche la propria identità.