il Giornale, 6 gennaio 2020
In morte di Georges Duboeuf
Se una sera d’autunno un bevitore può bearsi di un vino rosso leggero e beverino chiamato novello, magari in abbinamento a delle castagne appena tolte dalla brace o di un salamino artigianale, il merito è fondamentalmente suo. Di Georges Duboeuf, morto sabato sera nella sua abitazione nel villaggio di Romanèche-Thorins, nel cuore di una delle regioni vitivinicole storiche della Francia, il Beaujolais. Una terra incastrata tra la Loira e la Saona, tra le città di Mâcon e di Lione, nella Francia orientale, in quella zona nobile per i calici che è la Borgogna ma con un suo figlio prediletto, il Gamay, che dà vita a rossi franchi, sinceri, molto fruttati.
Duboeuf aveva 86 anni ed era detto il «Papa del Beaujolais». A lui questo pezzo di Francia del vino deve tanto, perché lui in qualche modo lo reinventò. Valorizzando e imponendo in tutto il mondo il Beaujolais Nouveau, un vino sempliciotto che lui invece fece diventare di moda, trasformando il déblocage delle bottiglie, alla mezzanotte del terzo giovedì di novembre di tutti gli anni, in una liturgia attesa da commercianti e appassionati di tutto il mondo.
La vita di Duboeuf è tutta dedicata al suo terroir e ai suoi vini. Erede di una famiglia di viticoltori storici, attivi da quattro secoli nel Mâconnais, viene iniziato ai segreti del far vino fin da piccolo e a 18 anni sceglie di curare il business di famiglia piuttosto che proseguire i suoi studi. Negli anni Cinquanta, giovane ed entusiasta, raduna una quarantina dei migliori produttori della zona nell’associazione L’Écrin Mâconnais-Beaujolais per la valorizzazione dei vini del territorio, anche di quelli bianchi che hanno nel magnifico Pouilly-Fuissé il loro vanto. Li propone anche ai migliori chef di quella che è la zona a più alto tasso di gastronomia di Francia, ovvero il circondario di Lione: nomi come Paul Bocuse, Jean e Pierre Troisgrois, i fratelli Haeberlin, Gaston Brazier, Paul Blanc diventano gli ambasciatori dei vini del territorio. La svolta nel settembre 1964 quando Duboeuf fonda l’azienda Les Vins Georges Duboeuf, che fa una nuova rivoluzione. Da négociant, ovvero semplice imbottigliatore (ma i francesi riescono a rendere figa ogni parola), Duboeuf collabora con decine di viticoltori ed enologi, a cui impone standard altissimi nel rispetto per il terroir, nella meticolosa selezione delle uve, nel monitoraggio continuo della vinificazione. In questo modo persegue la ricerca dell’alta qualità a tutti i costi con pratiche che oggi sono comuni nella vitivinicoltura di livello ma che oltre mezzo secolo fa erano il manifestarsi di una visione quasi miracolosa.
Oggi la Duboeuf – già da qualche tempo gestita dal figlio Franck – è un’azienda simbolo, che distribuisce in giro per il mondo ogni anno una trentina di milioni di bottiglie non solo nel Beaujolais ma in altri prestigiosi territori del vino francese, come la Borgogna, e Pays d’Oc e che è una vera enciclopedia in bottiglia di quella fetta di Francia. Non è un caso che Duboeuf nel 1993, per celebrare degnamente i suoi primi sessant’anni, si regala il primo parco a tema dedicato a vigne e vini, ricco di scoperte e di attività multimediali: Le Hameau du Vin, che oggi è gestito dalla neo-vedova Anne.
Ma l’intuizione più importante di Georges è probabilmente quella che lega il suo nome al Beaujolais Nouveau. Un vino leggero e poco tannico, da uve Gamay, venduto poche settimane dopo la vendemmia e dopo una breve macerazione carbonica in serbatoi di acciaio. Un vino cenerentolo che Duboeuf decide di far diventare principe, inventandosi i festival del Beaujolais Nouveau che negli anni Ottanta finiscono per diventare di tendenza con tanto di coinvolgimento d chef stellati e testimonial famosi. Un modello di business imitato anche da noi negli anni successivi, con il Novello.
Á la santé, monsieur Georges. Brindiamo a lei. E ci perdonerà dal paradiso di Bacco dove sta ultimando il check-in se lo faremo con uno dei suoi Châteauneuf du Pape e non con un Beaujolais Nouveau.