Trump minaccia l’Iran evocando la crisi di quarant’anni fa. Ha senso?
«Quegli eventi ancora influenzano, perseguitano, la relazione fra i due Paesi. Da entrambe i lati c’è chi guarda l’altro attraverso il prisma di quei tempi. Io no. Da quando ci hanno liberati, ho sempre detto che la Repubblica Islamica esiste e, ci piaccia o meno, dobbiamo dialogarci. La tragica esperienza di ostaggio mi ha fatto apprezzare particolarmente la mia professione: la diplomazia».
Ha raccontato più volte quanto fosse difficile quel dialogo...
«Durante la nostra prigionia le relazioni erano difficili. Ma apprezzo la diplomazia proprio perché è un mestiere che ti insegna a risolvere problemi e differenze comunicando. Cercando un terreno comune, anche sottilissimo. È vero: all’epoca fu frustrante. Ci stordivano di slogan. Non ascoltavano, impegnati solo a urlare. Era una situazione orwelliana. Ciascuno di noi trovò la sua forma di sopravvivenza. La mia fu cercare di entrare nelle loro teste e mostrare loro che ci stavano facendo qualcosa di orrendo, vergognoso per un popolo civile.
Non so se riuscii, ma il mio messaggio a Khamenei fu che stavano violando i principi della loro stessa cultura».
La via diplomatica non è quella che sta seguendo quest’amministrazione...
«Mi sgomenta che non abbiano un piano. Mi sembra che nessuno abbia previsto le conseguenze. Non entro nello specifico dell’uccisione di Soleimani, ma ho visto troppe volte cosa succede quando si prendono decisioni senza valutazioni adeguate in regioni come quella. In pratica, da quando gli Stati Uniti sono usciti dall’accordo sul nucleare, Trump ha chiesto all’Iran una resa unilaterale. Non funziona così. Nei negoziati ciascuno cede qualcosa».
Cosa passa nella mente degli iraniani in questo momento?
«Non sono mai più tornato in quel Paese. Non voglio fare speculazioni. Ma Trump a noi americani sembra spesso ipocrita, è probabile sia visto così anche fuori. La mia impressione è che di Teheran non gli importi granché. Non quanto ad alcuni membri della sua amministrazione. O a Israele che preferisce un Iran palesemente nemico».
Perché una decisioni così grave, dunque?
«Vuol andare nella direzione opposta a quella dei predecessori.
Cancellare l’accordo sul nucleare è stato un errore, perché dopo 40 anni non siamo certo diventati amici degli iraniani. Ma avevamo stabilito un canale di comunicazione. La direzione intrapresa ora potrebbe provocare un nuovo disastro in Medio Oriente. E in quella regione di disastri ne abbiamo visti già troppi».