Il Sole 24 Ore, 6 gennaio 2020
Atenei a corto di nuovi iscritti
C’è un merito da riconoscere alla mini-crisi post manovra, che ha portato alle dimissioni del ministro Lorenzo Fioramonti e alla divisione del Miur in due dicasteri (Scuola e Università) affidati rispettivamente alla sottosegretaria Lucia Azzolina e al presidente dei rettori Gaetano Manfredi: aver riportato al centro del dibattito politico, almeno per qualche giorno, il futuro degli atenei italiani. Una realtà che, complice la ristrettezza di risorse pubbliche a disposizione, fa fatica a lasciarsi la crisi alle spalle. Come dimostrano i primi dati provvisori sulle immatricolazioni all’anno accademico 2019/2020. Le iscrizioni, infatti, non decollano. Restringendo l’analisi alle sole accademie statali – che in questa fase dell’anno presentano numeri più strutturati rispetto alle private e alle telematiche – le matricole risultano addirittura in calo da 266mila a 264mila. Una diminuzione che, se venisse confermata dalle rilevazioni definitive, non potrebbe passare sotto silenzio. Specialmente in un Paese come l’Italia che, annuario statistico Istat alla mano, registra più cittadini con la licenza elementare (il 17% degli over 15) che con la laurea (il 14,7%).
Matricole in calo
Pur con tutte le avvertenze del caso visto che si tratta di stime aggiornate al 30 dicembre scorso i primi numeri sul 2019/20 non lasciano ben sperare. Almeno negli atenei statali la ripresa delle immatricolazioni che si è registrata negli ultimi tre anni accademici rischia di fermarsi. Dai 266.532 “primi ingressi” nel sistema universitario registrati l’anno scorso siamo passati a 264.639, con una discesa dello 0,7 per cento. Ad aumentare le preoccupazioni intervengono anche le prime proiezioni relative alle università non statali che citiamo per completezza di informazione ma che vanno prese ancora di più con le pinze. Stiamo parlando di 17.835 matricole a fronte delle 20.215 del 2018/19. Una platea a cui andrebbero aggiunti anche gli immatricolati agli atenei telematici, che risultano però ancora più difficili da inquadrare in questa fase dell’anno e che dunque omettiamo.
Bene le lauree scientifiche
La fotografia che pubblichiamo qui accanto consente anche di abbozzare un bilancio sulle preferenze dei neostudenti. Mettendo da parte il lieve calo dell’area sanitaria, che per effetto dei tradizionali “tempi supplementari” dovuti a scorrimenti di graduatoria o ricorsi alla fine potrebbe anche cambiare verso e virare in positivo, a balzare agli occhi è innanzitutto la tenuta dei corsi scientifici (0,2%). Degna di nota, ad esempio, è la crescita degli iscritti a tutte le classi di laurea ingegneristiche oppure alle scienze “di tendenza” come quelle ambientali o informatiche. Laddove sembrano segnare il passo le scienze “dure” come fisica e chimica.
Non mancano poi le sorprese. Basti pensare alla perdita di appeal dell’area economico-sociale- giuridica che al momento lascia sul terreno il 3,8% delle immatricolazioni alle università statali rispetto a un anno prima. Un risultato che sconta le concomitanti crisi di “vocazioni” registrate per le scienze sociali (psicologia, sociologia, scienze politiche) con quelle relative a economia e a giurisprudenza (sia triennale che magistrale). Fino alla sorprendente impennata delle lauree umanistiche (+3,3%) che arrancano sul mercato del lavoro ma continuano a intercettare i favori delle matricole. Un mismatch nel mismatch.