il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2020
Intervista a Paolo Sorrentino
Il sesso: “C’è dappertutto, ipocrita pensare che non ci sia anche in Vaticano”. L’attentato a San Pietro: “Per esorcizzare, spero non accada mai”. In esclusiva su Sky Atlantic e Now TV da venerdì 10 gennaio, arriva il sequel di The Young Pope, The New Pope, la serie originale Sky prodotta da The Apartment – Wildside: protagonisti Jude Law e John Malkovich, crea e dirige Paolo Sorrentino.
Sorrentino, l’idea?
Antichissima. Da ragazzo volevo fare un giallo in Vaticano, avevo cominciato a scrivere delle sciocchezze. L’occasione arriva quando il produttore Lorenzo Mieli mi propone un Padre Pio in tv, ma “l’hanno già fatto, e poi – gli dico – è molto delicato”.
Più delicato del Papa?
In Italia sì, perché Padre Pio ha una serie di adoratori trasversali, non solo cattolici, insospettabili, e quindi è argomento molto spinoso. Rilanciai quasi provocatoriamente: “Allora facciamo un racconto in Vaticano”, pensando che tutto sommato fosse impossibile.
Questo accadeva prima di Habemus Papam di Moretti?
Sa che non ricordo, io stavo facendo Youth, 2013, 2014… Habemus Papam di che anno è?
2011.
Allora forse c’era già stato.
Con The New Pope scopriamo non solo un secondo, ma un terzo pontefice: Francesco II, che in realtà per destino ricorda Giovanni Paolo I, ovvero Papa Luciani.
Come destino? Ah, che dura poco… Sì, certo che ho pensato a Luciani.
Viceversa, di Papa Francesco non c’è traccia: da Francesco II si torna a san Francesco, Bergoglio non esiste, perché?
Non volevo legarmi troppo alla realtà, preferisco creare una sorta di Vaticano parallelo a quello esistente. Però Francesco II è come se portasse all’estremo le idee del Francesco attuale: dal Vaticano aperto ai migranti alla stretta sui conti.
Non essere credente l’ha aiutata a non porsi problemi?
No, io il problema me lo pongo, non mi interessa essere provocatorio e trasgressivo nei confronti della Chiesa, è già uno sport che praticano in tanti. Provo ad essere rispettoso, a raccontare i preti su una terza via, che non è quella dei santi né dei cattivi a tutti i costi, ma di uomini normali, come siamo tutti.
Serve più fede per credere in Dio o per fare un film?
Bella domanda. Forse tutte e due. Anzi, no: serve più fede per credere in Dio.
C’è il rischio che un regista si senta Dio?
Sì… sì.
L’ha provato?
No, fortunatamente ho una moglie che mi ha sempre tenuto con i piedi per terra e pure io di indole non mi piglio molto sul serio. Però è vero che il cinema è strutturato in modo piramidale, per cui tutto complotta per far sentire il regista una specie di dominus in assoluto.
Fellini?
Forse lui era l’unico autorizzato a sentirsi Dio.
All’apparenza The New Pope è una serie basata sul raddoppio, sulla doppiezza – due cuori, due papi, due Silvio Orlando… – ma alla fine guarda all’assoluto: anche lei?
Non so, non ho una unica ambizione, ne ho varie più piccole. Mostrare i preti per quel che sono, sicuramente indicare certe aberrazioni all’interno della Chiesa, per esempio l’esclusione del mondo femminile, che trovo non solo anacronistica ma sbagliata. Poi, ho l’ambizione di riflettere la grande dicotomia, la grande discrasia che c’è fra privato e pubblico nelle figure di rilevanza mondiale: vale per il papa, valeva per Andreotti. Volevo anche tener conto, a modo mio, della cronaca, legata agli attentati terroristici di matrice religiosa. Mi piaceva indagare un tema poco noto, non il fondamentalismo islamico, ma quello cattolico: in Africa il rischio c’è.
Battuta del cardinale Voiello, “c’è bisogno anche di topi come me per preparare il terreno fertile della Santità”: oggi non servirebbe piuttosto derattizzare?
Idealmente, non avremmo bisogno di topi. Ma è un atteggiamento pragmatico, molto democristiano, che il bene passi anche attraverso il ricorso a mezzi non propriamente esemplari. È un vecchio adagio della politica, e anche in Vaticano si fa politica.
Di questi tre papi quale sente più vicino?
Da un punto di vista caratteriale, il papa di John Malkovich. Non ho i radicalismi del personaggio di Jude Law, non sono sprovveduto come il Papa del primo episodio, sì, sono più vicino a Brannox: incline al compromesso, al raggiungimento di una soluzione pacifica e comoda per tutti.
La resurrezione l’affascina?
Non è vicina alla mia vita, non sono cattolico, ma è tema così misterioso, così affascinante – anche visivamente – da diventare per me materia di racconto cinematografico.
Simmetrie con Moretti: entrambi avete fatto Berlusconi, il Papa e ora per la prima volta un film non tratto da un soggetto originale, Nanni “Tre piani” da Eshkol Nevo e lei “Mob Girl”. Convergenze parallele o solo coincidenze?
Coincidenze oppure esigenze dettate dalla crescita: io all’inizio volevo sempre fare cose mie.
Crescere è accogliere l’altro?
Assolutamente, anche spogliarsi dal rivendicare “io, io, io”. È così da giovani, quando hai paura che non ti riconoscano nessuna patente, con il tempo capisci che non è più necessario, ti senti più tranquillo: oggi per me è del tutto normale lavorare con una sceneggiatrice americana che non conoscevo (Angelina Burnett, NdR).
Il libro è di Teresa Carpenter, la protagonista è Jennifer Lawrence: Mob Girl si declina al femminile.
Totalmente, e anche se ne sono ben contento continuo a chiedermi perché gli americani hanno scelto me per dirigerlo…
Nel Terzo Millennio è l’unico regista italiano ad aver vinto l’Oscar, il 31 maggio compie cinquant’anni: programmi per il futuro?
Avere la fortuna di fare quello che mi piace. Senza essere troppo limitato.