il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2020
Dizionario del linguaggio politico dal 1946 a oggi
Dalla Casta del Bunga Bunga a oltranza al casto bacio dell’antipolitica. È cominciata così la Terza Repubblica. Uno smack intenso che apparve vicino alla Camera il 23 marzo 2018 e che anticipò l’inedito governo gialloverde di Giuseppe Conte. Lo disegnò un writer romano, di nome TvBoy, che unì in posa virilmente sovietica i due promessi sposi populisti Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Scrive Ettore Maria Colombo: “Un bacio davvero profetico, degno del miglior giornalismo e anche del miglior astrologo: le trattative, lunghe e laboriose, per formare il nuovo governo gialloverde ancora non erano cominciate”. Il disegno venne poi cancellato ma nella memoria resta vivido.
Giornalista parlamentare divenuto un’istituzione sui divanetti della galleria fumatori di Montecitorio, Ettore Maria Colombo oggi firma di QN e Tiscali.it ha scritto Piove governo ladro. Ovvero un dettagliatissimo, e in alcuni casi puntuto, Dizionario della Teraza Repubblica senza dimenticare le altre…che alla lettera “B” contempla il bacio di cui sopra. Appunto. Divise in tre preziosi capitoli, Colombo raccoglie le parole chiave del lessico antipolitico di oggi, le formule del passato e tutte le citazioni più note in settant’anni di Repubblica. Un dizionario da leggere e anche da consultare a seconda dei casi. E che dà conto dell’evoluzione “politichese” dei leader che affollano la scena odierna di Palazzo.
Si prenda Di Maio, volto del grillismo moderato plasmato dal realismo di governo. Dal “vaffanculo” è passato, noblesse oblige, a un più borghese “abbassare i toni” pronunciato il 13 maggio di quest’anno: “Bisogna cominciare ad abbassare i toni perché bisogna iniziare a fare le cose concrete”. Destinatario del messaggio era, of course, l’allora alleato Matteo Salvini. Il quale Salvini a sua volta ha innovato in maniera crassa al ribasso il linguaggio politico, mirando dritto alle viscere esigenti del suo elettorato. È il 3 giugno del 2018, appena due giorni dopo il giuramento dei gialloverdi, che il neoministro dell’Interno gonfia la panza e annuncia la stagione della guerra ai migranti: “I regolari e gli onesti non hanno niente da temere, mentre per i clandestini è finita la pacchia: preparatevi a fare le valige”. Da quel momento in poi “la pacchia” è l’intercalare prediletto salviniano, al punto che “l’espressione entra a far parte del folklore verbale della politica italiana”, per usare le parole della Treccani citate da Colombo.
Indi i fatidici “pieni poteri” del 9 agosto 2019 a Pescara, nel delirio di onnipotenza scatenato dall’apertura della crisi di governo con la richiesta di elezioni anticipate. Per il “Capitano” (altro termine che figura nel dizionario) è l’ora delle decisioni irrevocabili e delle certezze granitiche: “Chiedo agli italiani se vogliono darmi pieni poteri per fare le cose come vanno fatte. Dobbiamo fare in maniera veloce, compatta, energica, coraggiosa quel che vogliamo fare. Non è più il momento dei no, dei forse, dei dubbi…”. Sembra un Fantozzi mussoliniano o, viceversa, un Duce fantozziano.
Per rimanere su un piano andante simile, ma semanticamente più violento, c’è pure l’altro Matteo, oggi scissionista italovivente. Ai tempi della sua farlocca e breve golden age, Renzi non usò solo il verbo “rottamare”, come arma per far fuori l’antica Ditta rossa di casa Pd. Sdoganò nella dialettica comune di Palazzo il più potente “asfaltare”. Per la serie: “Li asfaltiamo”, invettiva lanciata contro tutti, nemici interni ed esterni. I due Mattei, peraltro, condividono finanche la stessa espressione tuttora in auge nel tormentone migranti: “Aiutiamoli a casa loro”. L’ex segretario dem la vergò nel suo fondamentale tomo Avanti.
Ma la pietra angolare su cui oggi poggia il novello edificio della Terza Repubblica è la famigerata Casta, sempre con la C maiuscola per deprecare ancora di più privilegi e corruzione della cattiva politica. La Casta, “l’Alfa e l’Omega di tutti i mali della politica italiana”, chiosa Colombo. Ed è consolatorio, per certi versi, scoprire che uno dei primissimi ad adoperare il termine casta, stavolta con la minuscola, fu nientemeno che l’immaginifico Vate d’Italia, fautore di un sanguigno anti-parlamentarismo alla pari del suo emulo Benito Mussolini.
Scrisse Gabriele D’Annunzio nella Vedetta d’Italia del 21 settembre 1920, contro il moribondo regime liberale e giolittiano: “La casta politica che insudicia l’Italia da cinquant’anni non è capace se non di amministrare la sua propria immondizia… Basta! Questa parola noi la grideremo su la piazza di Montecitorio e su la piazza del Quirinale”. Al Colle, allora, c’è era il re, non un presidente. Dalla Casta all’urlo rabbioso che reclama onestà il passo è brevissimo. “Onestà-onestà-onestà” e “uno vale uno” sono le parole d’ordine scolpite sulla tavola della questione morale del Movimento 5 Stelle fondato da Beppe Grillo. Queste però sono cose arcinote, seppur in parte già diventate vintage.
Il lessico della fase crepuscolare dei partiti tradizionali ha poi rivalutato Antonio Gramsci, la migliore testa del comunismo italiano e morto nel 1937. Una sua definizione è talmente abusata che si è sentita persino sul palco del Festival di Sanremo. Quella della “connessione sentimentale”, cui si accosta spesso, soprattutto a sinistra, la parola “spezzata”. Per fare un esempio: “Si è spezzata la connessione sentimentale tra il Pd e il suo popolo”. Bene. “Ma cosa intendeva dire Gramsci”, si chiede giustamente l’autore di Piove governo ladro? Questo: “Secondo il filosofo comunista, l’intellettuale può pretendere di rappresentare il popolo solo quanto il rapporto è fondato su ‘un’adesione organica in il sentimento-passione diventa comprensione, quindi sapere’, scrive nel Quaderno XVIII dei Quaderni del Carcere”.
Continuando in rivisitazioni o scoperte. Sempre su Gramsci: non fu il primo a usare l’espressione “piove, governo ladro”, titolo di una sua famosa raccolta di articoli. Rivela Colombo, che poi a sua volta la riprende per il titolo del suo libro: “Ma chi la disse e perché? Si chiamava Casimiro Teja, visse a metà dell’Ottocento e fondò un giornale dal nome Il Pasquino. L’espressione veniva usata per prendere in giro i seguaci di Mazzini, sempre scontenti delle decisioni del governo sabaudo di turno”.
Ah, il governo. Volete sapere quante formule esistono nel nostro Paese per identificare un esecutivo? Ben quindici. Un elenco che impressiona e che Colombo assembla con meticolosa crudeltà. Ecco il campionario completo. Governo amico, copy Alcide De Gasperi. Governo balneare. Governo di coalizione, il Conte I e il Conte II. Governo di minoranza. Governo kamikaze, lo inventò nel 1987 il capo dello Stato dell’epoca, Francesco Cossiga: mandò l’esecutivo neonato di Amintore Fanfani a prendere la sfiducia in Parlamento per poi sciogliere le Camere. Governo della non sfiducia o delle astensioni, il primo passo del compromesso storico tra Dc e Pci. Governo di solidarietà nazionale, quando il Pci diede l’appoggio esterno. Governo del Presidente o istituzionale. Governo di larghe intese. Governo di unità nazionale o di emergenza. Governo di scopo. Governo politico. Governo tecnico. Governissimo. Governicchio. Il catalogo è questo. Per il momento.