Agi, 5 gennaio 2020
Sole, operazioni belliche e ruminanti. Ecco i sono i responsabili del cambiamento climatico
Lasciamo il 2019, anno del Signore durante il quale ci siamo dedicati a difendere con forza i diritti della Terra, a denunciare in modo emozionale i malesseri del nostro Paradiso Terrestre, con l’entusiasmo della prima volta, sorseggiando acqua in bottiglie di plastica e organizzando tecnologici flash mob, oltre che a chiederci, tra cieli di selfie, quale ruolo abbia ancora l’uomo in tutto questo, come tanti extraterrestri.
Già, la popolazione mondiale, 7 miliardi di affamati abitanti di un giovane pianeta, tra cui molti poveri, alienati o mal occupati, vittime e autori di spreco, alimentare e ambientale, portati per indole a qualsiasi tipo di dipendenza, oltre che alla fantasticheria, starebbe continuando a divorare l’unica nicchia vitale disponibile, per fame o per fama, con gli occhi rivolti verso le stelle e gli altri improbabili pianeti, da noi distanti anni luce, consumando l’ennesimo gesto di speranza, di resa o di guerra, oppure dando inizio ad un’odissea senza abecedario.
Le notizie che provengono dagli enti internazionali di controllo sfuggono alla nostra comprensione, sebbene i dati quantificabili siano difficilmente accessibili, come quelli che prevedrebbero il sopraggiungere ad ampie falcate di un’imminente (e da molti smentita) nuova era glaciale a causa del riscaldamento globale antropico, il terribile effetto serra.
In realtà, prima che le intensive attività umane legate all’utilizzo di combustibili fossili, e dei suoi derivati, lo corrompessero, con quel termine gli scienziati dell’atmosfera dello scorso millennio amavano spiegare un fenomeno naturale di fine regolazione della temperatura, fondamentale per consentire la vita su un pianeta con atmosfera come la Terra.
Sebbene nel 1896, anno in cui si svolsero i primi Giochi Olimpici dell’era moderna e Becquerel scoprì la radioattività, lo svedese Svante August Arrhenius, premio Nobel per la chimica nel 1903, avesse calcolato a mano un aumento di circa 3 °C della temperatura terrestre, come conseguenza di un raddoppio della anidride carbonica (CO2) sulla Terra, lo sregolato effetto serra si presenta alle masse solo nel 1990, subito terrorizzando i forti mercati dei governi occidentali con i suoi futuribili divieti e dazi. Un semplice gas fuori controllo faceva tremare le gambe del solito capitalismo.
Un panico crescente che ebbe come immediate risoluzioni salva-vita la messa al bando della vecchia lacca a spray, il cambio delle norme sulla sicurezza ambientale e sul riciclaggio dei rifiuti, la ricerca di nuovi materiali e sorgenti energetiche, mentre il buco dell’ozono entrava silenzioso nelle nostre case insieme alla plastica.
È notizia del 2019 che sia giunta la fine anche per gli inalatori anti-asma a dosaggio misurato, tipologia che contiene gas idrofluoroalcano, utilizzato come propellente per espellere il medicinale dall’inalatore. I ricercatori della prestigiosa Università di Cambridge, infatti, affermano che questi spray rappresentano il 4% delle emissioni di gas serra prodotte in ambito sanitario nel Regno Unito.
Queste nuove misure preventive si mettono in atto mentre il Pentagono, secondo l’Università statunitense di Brown, continua a immettere nell’atmosfera milioni di tonnellate di CO2 (più di Svezia e Danimarca) per gestire i suoi oltre 560 mila edifici e per alimentare i suoi efficienti aerei militari, come il bombardiere Northrop grumman B-2 spirit (che emette oltre 250 tonnellate di gas serra su un raggio di 6 mila miglia nautiche) e l’aerocisterna Boeing KC-135 stratotanker.
Per non parlare degli oltre 400 milioni di tonnellate di CO2 emesse negli ultimi 16 anni di operazioni belliche, equivalenti alle emissioni di gas serra di quasi 85 milioni di auto in un anno. E mentre l’atmosfera si popola anche di satelliti internazionali dedicati al monitoraggio di precisione dell’anidride carbonica, un promettente indotto dai costi plurimilionari, sorge il dubbio che si sia passati dalla questione di sicurezza nazionale ad una bolla di interesse planetario.
Intanto, che fine ha fatto il barbaro effetto serra? Non esiste più, o meglio i mass media gli hanno cambiato il nome con un più mite mutamento climatico. Si tratta di una parola molto simile al termine variabilità climatica che in climatologia si riferisce al cambiamento climatico generato da cause naturali, come le emissioni di azoto derivanti dal suolo che, insieme alle emissioni di metano dovute ai processi digestivi dei ruminanti, sembrerebbero contribuire per il 52% alle emissioni di gas-serra, secondo il WWF.
Il famoso grado in più di temperatura ambientale registrato in meno di 50 anni (e non è poco, credetemi!), che sta mettendo a rischio le produzioni agro-alimentari di mezzo mondo, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, sembrerebbe non essere causato dall’attività del Sole. Sebbene la piccola era glaciale di qualche secolo fa coincise con un periodo di bassa attività solare detto minimo di Maunder, nel 2009 si è registrato il minimo dell’attività solare in assenza di glaciazioni a tal punto che tutti i media del pianeta brandivano, come spada di Damocle, l’ “imminente” spegnimento della stella di Galileo.
Sembrerebbe che anche i cambiamenti dell’orbita terrestre non rivestano un ruolo chiave nella velocità di surriscaldamento del pianeta (l’orbita terrestre intorno al Sole si allunga del 5% ogni 405.000 anni grazie all’influenza gravitazionale di Giove e Venere). Tuttavia, un allungamento dell’orbita della Terra può essere messo in correlazione sia al cambiamento della polarizzazione del campo magnetico terrestre, che dei cambiamenti climatici e geologici.
Invece, tutti sembrano non avere dubbi: i vizi capitali e gli avidi capricci di una società indolente e senza memoria, dalle diverse priorità multiculturali, giocherebbero un ruolo decisivo nello scioglimento dei ghiacciai groenlandesi a bassa salinità, rendendo l’acqua meno pesante e meno realizzabile l’atteso sprofondamento dell’acqua fredda a tal punto da rallentare del 15% la Corrente del Golfo, da cui dipendono le temperature europee.
Si tratta di un rallentamento della circolazione termoalina atlantica (in gergo AMOC) di 3 milioni di metri cubi al secondo, il più importante dell’ultimo millennio. Da qui potrebbe avere origine una progressiva e grave riduzione delle temperature in Europa del Nord fino al probabile avvio di una nuova era glaciale, e alla formazione di nuovi poli.
Poco male per il nostro giovane pianeta abituato alle cicliche glaciazioni, direbbero alcuni. Da non crederci, risponderebbero altri, viste le imbarazzanti temperature di questi ultimi Natali. In realtà, mentre gli scienziati discutono ancora su tanti dubbi, le piazze affollate trasudano certezze assolute. L’attuale periodo interglaciale, un “breve” periodo caldo che normalmente ricorre ogni 100.000 anni, è iniziato “solo” 11.000 anni fa, e molti credono che durerà più a lungo del previsto a causa delle attività antropiche.
Secondo David Archer dell’Università di Chicago, una sempre maggiore immissione di carbonio antropico, pari a 1000 Gt, impedirebbe l’avverarsi di una nuova era glaciale per 130mila anni. Se l’immissione antropica raggiungesse i 5000 Gt o più l’attesa glaciazione verrebbe impedita per almeno mezzo milione di anni. Ne deriva che il pianeta deve fisiologicamente raffreddarsi per garantire la sua salute, e lo ha sempre fatto indipendentemente dai suoi abitanti. E se non si raffreddasse?
In questi anni sempre più caldi, assistiamo a un rapido cambio dei territori, caratterizzati da suoli sempre meno fertili e lavorati, segnati da grandi inondazioni e da alti costi di produzione e trasporto. L’accesso al cibo, quindi, è a rischio per i più poveri e i più deboli. Inoltre, stiamo assistendo a un maggiore utilizzo sulle nostre tavole di alimenti (cereali, frutta o carni) provenienti da paesi sempre più lontani e ad alto rischio tossinfettivo, come quello causato dalle contaminazioni da micotossine oppure dal letale virus Nipah veicolato dai grandi pipistrelli della frutta.
E come spiego agli allievi che seguono il corso in Medicina Climatica e Ambientale alla Scuola Superiore Sant’Anna, gli effetti del caldo si sommano a quelli determinati da alte concentrazioni di CO2 che acidificano gli oceani, rendendo la vita difficile alle nostre barriere coralline, ai molluschi e ai pesci, sorgenti essenziali di protettivi omega 3 marini, cui le prossime generazioni non potrebbero più accedere così facilmente.
È come se la storia si ripetesse al contrario: 195 mila anni fa, una glaciazione nota come Marine Isotope Stage 6, indusse un radicale cambio della dieta in un nostro antenato sudafricano, l’Homo naledi di Pinnacle Point, costretto ad abbandonare l’abituale dieta terrestre per attingere alla ricca fauna marina che ne avrebbe potenziato le sinapsi neuronali, forse rendendolo più intelligente, senza, però, evitargli l’estinzione. Questa volta, invece, le cose potrebbero essere molto diverse.
Dopo l’impoverimento del contenuto di proteine e sali minerali nei cereali, l’acidificazione da CO2 antropica delle acque degli oceani desertificherà le acque, sempre più ricche di pesci di piccole dimensioni e dallo scarso potere nutrizionale: un patrimonio ittico chiaramente insufficiente per saziare 7-10 miliardi di persone affamate e con il naso all’insù a guardar le stelle.
Buon 2020!