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 2020  gennaio 04 Sabato calendario

Intervista a Oleg Ivenko

Quest’intervista non è stata facile da realizzare ma l’appeal dell’intervistato ha ampiamente giustificato l’impresa. Il 23enne ballerino ucraino Oleg Ivenko parla solo con l’ausilio di un interprete dal russo, poiché il suo inglese è molto fragile. Per di più è un giovanotto riservato. Sembra avere l’indole di un adolescente sospettoso riguardo alle intrusioni. Nel nostro incontro su Skype espone un viso annuvolato, oltre che di bellezza misteriosa e non comune. Si può capire perché fu scelto dal regista (e grande attore) Ralph Fiennes come protagonista del biopic su Rudolf Nureyev The White Crow, uscito in Italia nel 2019. Nessuno, prima di quel film, aveva sentito parlare di Oleg, nato a Kharkov, in Ucraina, e diplomatosi in danza a Minsk, nella Bielorussia. Dal 2010 vive a Kazan, nella Repubblica russa del Tatarstan, lavorando nel Tatar Academic State Opera and Ballet Theatre Musa Djalil, dove danza in ruoli di spicco del repertorio (gli piacciono «le figure di Albert in Giselle, di Basilio in Don Chisciotte e di Solor ne La Bayadère, tre personaggi diversi e per me complementari», ci racconta). Nel 2012 è stato promosso “Principal Dancer” della compagnia. Di lui non si sa granché d’altro. E adesso le sue risposte denotano un certo grado d’innocenza. Eppure in The White Crow esibiva una magica sicurezza e robuste qualità di danzatore e attore. Si è prestato credibilmente alle rabbie, agli accessi d’ira e ai risucchi depressivi abissali di “Rudy”, icona rimasta insuperata. Oleg è riuscito a farlo proprio, ricreando lo charme tortuoso ed enigmatico del “tartaro volante”. Tra non molto partirà per Roma per partecipare al Gala internazionale Les Étoiles, appuntamento accolto ogni anno da un enorme successo di pubblico e curato dal produttore Daniele Cipriani che lo organizza come una successione di prodezze mozzafiato “in volo e sulle punte” (secondo il motto della serata) affidate alle massime star mondiali della danza. Si svolgerà all’Auditorium Parco della Musica, nella Sala Santa Cecilia, il 24, 25 e 26 gennaio. Oleg Ivenko, è pronto per Roma? «Durante un viaggio nella vostra capitale mi è capitato di passeggiare davanti al Colosseo e di provare emozioni indescrivibili per intensità. La mia fantasia s’è accesa con visioni di antichi romani, soldati, lotte, gente che urla e incita nell’arena…». Sarà la prima volta che ballerà in Italia? «Sono stato nel suo Paese qualche anno fa con una compagnia russa per uno Schiaccianoci ma non ho mai danzato in uno spettacolo di prestigio come Les Étoiles. Farò un passo a due tratto da Harlequinade insieme a una star della danza a sorpresa. Non posso rivelarle neppure il titolo del secondo pezzo che avrò in scaletta: il programma della serata prevede sempre un certo numero di sorprese». Può dirci qualcosa sulla sua formazione? «Avevo cinque anni quando mi misero in una scuola di danza perché ero troppo vivace e volevano che mi sfogassi. È capitato solo perché la scuola di balletto era più vicina a casa del club di football per bambini. Non provengo da una famiglia di artisti teatrali. Mia madre fa la stilista e mio padre è un imprenditore. A quindici anni mi resi conto che il balletto m’interessava e che poteva essere un mestiere che mi avrebbe permesso di guadagnarmi da vivere». Come la scelse Ralph Fiennes per il film su Nureyev? «Due casting director giravano il mondo alla ricerca di un giovane Rudolf, mi era arrivata la notizia di quest’indagine. Mi giunse persino una mail, qualcuno aveva visto le mie immagini sui social, ma l’ho buttata. Pensavo a una bufala. Poi un’amica mi ha detto che si trattava di audizioni serie e ci ho provato. Dopo la prima selezione, Fiennes mi ha invitato a uno “screen test” a San Pietroburgo. Lì ci siamo incontrati per la prima volta». Non ha sentito il peso d’incarnare un tale vertice artistico assoluto? «È stato Ralph ad assumersi la responsabilità di scegliermi (ride). Ha avuto il coraggio di prendere un danzatore privo di background da attore, che non balla né a Mosca né e San Pietroburgo. Che rischio! Grazie a lui sono stato messo al torchio dai migliori coreografi e maestri di ballo mentre direttamente con Ralph mi sono tuffato negli aspetti attoriali del lavoro, in una simbiosi spirituale e affettiva. Chiamo Ralph il mio “kinopapa” ("papà cinematografico")». È un regista che lascia spazio all’interprete? O che guida l’attore anche nei dettagli? «È minuzioso. Ambisce alla perfezione. Tutto dev’essere come lui lo vede. Se fossi stato un professionista del cinema, mi avrebbe forse dato più libertà. Ma siccome non lo sono, mi ha detto sempre come dovevo fare ogni scena, cioè con quale prospettiva e intonazione. Era preparatissimo per le riprese. Ha raccolto più informazioni possibili sul personaggio e io mi sono affidato completamente alla sua qualità di regista. Gli ho esposto i miei punti di vista e abbiamo fuso le nostre idee». E quali sono i suoi punti di vista? «Tutti immaginano Nureyev come un artista adulto, irrequieto e scandaloso nei comportamenti. Un eccentrico litigioso che faceva ogni cosa di testa sua. Ma si sa poco sul giovane Rudolf. Su Internet ci sono poche foto di lui da ragazzo e quasi non esistono filmati delle prime esibizioni. Da dove arrivava? E come divenne ciò che è diventato? È stato quest’approccio che mi ha conquistato. La vicenda del giovane Nureyev è complessa quanto quella dell’artista maturo». Secondo lei, da che dipende la persistenza dell’"ossessione Nureyev”? «Aveva una folle energia che lo attraversava ed era spinto dall’urgenza di mostrare il proprio talento, che arrivava alla punta del grattacielo più alto che si possa immaginare. Ha rivoluzionato le regole della danza mettendosi a esplorare, lui che era un danzatore classico, anche i migliori linguaggi della danza contemporanea. Perciò ha acquisito una dimensione pop. Ha sfidato il più rigido comunismo e ha cercato la libertà. D’altra parte apprezzava gli ideali comunisti di equità. Il che non gli impediva di compiacersi della sua vanità fastosa, fatta pure di sete, velluti e cachemire. Era tutto e il contrario di tutto». Sente di avere lati caratteriali in comune con Nureyev? «Come lui non mi arrendo davanti agli ostacoli. Non ho paura di mettermi alla prova, anzi: mi piace guardare le mie paure negli occhi. La vita è una sola». Pensa che Nureyev fosse devastato dai tormenti, come si è detto spesso? «Usava il successo per nascondersi dalla propria solitudine. Nel profondo era infelice e non spavaldo e arrogante come appariva. Indossava maschere per difendersi. Era un gatto che soffia e graffia per poi farti comprendere che desidera carezze». Il film ha cambiato la sua vita? «Certo. Ho realizzato che esiste qualcosa oltre al balletto e a Kazan. Sono stato in città come New York e Londra. Sono mutate le mie ambizioni». Farà ancora cinema? «Al momento sono impegnato soprattutto a ballare. Parlo un inglese insufficiente e sto studiando la lingua. Assurdo sperare che mi capiti subito un altro ruolo come quello di Nureyev, per cui è bastato il mio inglese scarso. Devo progredire». Cosa fa, oltre a ballare? «Coltivo la vita privata! Ho una fidanzata. E dirigo una mia scuola di danza. Apriremo presto una sede a Roma. È ancora un segreto, ma a lei lo dico. Curo anche un festival di danza contemporanea. Per il resto gioco a tennis, faccio pugilato e m’interessa la psicologia. A volte, con la mia ragazza, usciamo per andare a fumare il narghilè».